“È stato un incontro interessante, da cui sono emerse buone prassi adottate nella vostra Diocesi, anche se forse ancora poco condivise”. Si dice soddisfatta suor Veronica Donatello, responsabile del Settore per la catechesi delle persone disabili dell’Ufficio catechistico della Cei, ospite dell’incontro di aggiornamento del Clero di Alife-Caiazzo che si è svolto lunedì scorso. A questo ha fatto seguito, nel pomeriggio dello stesso giorno, l’incontro che ha visto suor Veronica confrontarsi con un gruppo di catechisti che già vivono nelle loro parrocchie l’esperienza con disabili.
Suor Veronica, nell’illustrare ai sacerdoti il suo continuo progetto di inclusione dei disabili nella vita della parrocchia, parte da quello che va considerato un assunto catechetico e cioè la necessità di “comprendere quante sono le persone disabili in Italia”. La consapevolezza è il primo gradino da salire per dare forma a una “comunità generativa“, concetto che rappresenta la forma compiuta dei percorsi inclusivi a favore delle persone diversamente abili. “In Italia i disabili rappresentano il 15% della popolazione e molti di loro sono affetti anche da due o tre disabilità”.
Ogni diocesi può lavorare per costruire una comunità generativa, ma solo dopo aver affrontato e superato tre tipologie diverse di pregiudizio, che finiscono per inibire la vita pastorale di una parrocchia. “Il primo è il pregiudizio cognitivo, che si verifica ogni qualvolta guardiamo l’altro non solo in base al deficit che lo ha colpito, penalizzandolo come persona e quindi negandogli il diritto di esistere”. In secondo luogo, il pregiudizio religioso “c’impedisce di riconoscere alle persone con disabilità la possibilità di peccare, di credere, di ricevere i sacramenti, trascurando il fatto che anche loro hanno ricevuto il battesimo e quindi sono parte della comunità”.
Indispensabile, inoltre, il lavoro sul “pregiudizio comunitario“, quello più ostico, in base al quale “accogliere e inserire il disabile nel contesto parrocchiale non è solo compito del parroco, in quanto spetta a ogni membro desiderare i disabili e accompagnarlo, prendersene cura”. Una comunità generativa non è pensabile senza rendersi conto che “l’inclusione dei disabili non è un atto di carità, perché sono loro a salvarci da una comunità sterile“.