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Tommaso, il discepolo del dubbio e della fede più audace. Commento al Vangelo della II domenica di Pasqua

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Di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano
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Anthonis van Dyck (1599-1641), Apparizione di Cristo agli Apostoli (Incredulità di Tommaso), 1625 ca.

II Domenica di Pasqua
At 5, 12-16; Sal 117 ; Ap 1, 9-11.12-13.17-19; Gv 20, 19-31

Il Risorto viene a cercare i suoi nelle loro paure e nelle loro “chiusure” … li viene a cercare in quello spazio asfittico e colmo di terrori e di dubbi, in quello spazio di non-senso (“…mentre erano chiuse le porte per timore dei giudei”). Giovanni nel passo evangelico di oggi ci dice che Gesù entra a porte chiuse: è una notazione sottile e precisa. Lui è uscito dalla tomba, e quell’ingresso sbarrato dalla gran pietra è stato aperto…i suoi amici, però, sono ancora in una “tomba” fatta di paure, fallimenti, tradimenti, dubbi, incredulità (Maria di Magdala ha già incontrato il Risorto, ma loro non le hanno creduto!)…ora, la sera di quel giorno di risurrezione, Gesù va a liberarli!

Il Signore è risorto ma la sua vittoria e la sua risurrezione sono per noi…a Pasqua non si ricorda una gran vittoria individuale, non si ricorda, come dicevamo a Pasqua, che Dio s’è presa una rivincita sugli uomini cattivi che hanno crocefisso il Figlio, ma si celebra una risurrezione, una vittoria che desidera fortemente entrare nelle infinite porte chiuse di cui sono malate le nostre vite… Gesù vi entra con le sue piaghe! Che strano! La risurrezione non ha guarito quelle ferite? Perché il Risorto le ha ancora sul suo corpo? Qualcuno ha detto che è per rendersi riconoscibile, e per affermare una indubitabile continuità tra il Crocefisso ed il Risorto! E’ vero, ma mi sembra troppo poco! Mostra quelle ferite con cui – certo – lo riconoscono non come semplice “segno distintivo”, ma come segno dell’amore! Li ha amati così, “fino all’estremo” (cfr Gv 13,1).

Gesù entra in quello spazio chiuso e porta lì, proprio lì, le “cose” che aveva promesso: la gioia (cfr Gv 16,22), la pace (cfr Gv 14, 27), lo Spirito Santo (cfr Gv 15, 26-27).

E così vediamo che quando Gesù mostra le sue piaghe essi gioirono: gioiscono certo non per le piaghe in sé, ma per l’amore che leggono in esse; gioiscono perché quelle piaghe sono ormai gloriose, sono cioè narrazione di Dio e del suo Amore che davvero “pesa” (“gloria” vuol dire “peso”!). Le piaghe di Gesù sono narrazione di quanto noi “pesiamo” per Dio, pesiamo tanto per Lui da lasciarsi ferire per noi, e ferire di ferite che non scompaiono, di ferite che entrano nell’eterno di Dio perché davvero, come canta il Salmo “Eterno è il suo amore” (cfr Sal 136), si gioisce solo dall’essere amati! Per questo i discepoli gioiscono alla vista di quelle ferite.

Gesù, poi, entra dicendo semplicemente shalom…pace: se essi sono nella paura vedendo le loro vite in pericolo, se sono attanagliati dal non-senso apparente di tutto quel che è accaduto, Gesù dona loro la pace … è la pace biblica, la quale non è sospensione delle guerre, ma è pace-unificazione con se stessi, con il mondo, con Dio. La pace è il grande bene che rende uomo l’uomo! E’ dono pasquale perché essa si raggiunge solo se si trova il senso profondo del vivere e della storia, un senso che è dischiuso solo dal Cristo Risorto!

Ed ecco che poi soffia lo Spirito: è Colui che aveva promesso, è Colui che impedirà di essere orfani (cfr Gv 14,17); è Colui che porterà a pienezza quei doni pasquali della gioia e della pace; è Colui che, consegnato alla Chiesa in quel giorno pasquale, sarà causa di gioia e di pace perché porta la remissione dei peccati. Gesù lo soffia, lo dona ma i discepoli devono accoglierlo … non sono ricettori passivi dello Spirito; infatti Gesù dice loro: Accogliete lo Spirito santo(l’espressione greca è “làbete”, dal verbo “lambàno”). Lo Spirito è soffiato da Gesù Risorto perché, accolto,  trasformi quei paurosi,  chiusi ancora nel loro “sepolcro”, in testimoni di pace e di gioia. Ma come saranno testimoni? Solo in un modo: essendo portatori della remissione dei peccati…se non annunzieranno la remissione dei peccati non potrà esserci nel mondo né gioia vera e profonda, né pace radicale e duratura.

La Chiesa è posta nel mondo per essere luogo di perdono: troppe volte noi Chiesa ci siamo messi ad annunciare solo i peccati e non la remissione dei peccati. Pensiamoci: in questo modo non abbiamo portato né gioia né tanto meno pace … e non abbiamo mostrato neanche le piaghe gloriose di Gesù! Queste non vanno mostrate per accusare gli uomini, ma per salvare gli uomini raccontando loro Dio! Le piaghe di Gesù sono e restano gloriose per l’eternità perché sono le ferite che narrano di un Dio che s’è lasciato ferire dall’amore per le sue creature … di un Dio che così ci ha guariti e ci guarisce (cfr Is 53,5).

Nel testo dell’Evangelo di oggi vediamo proprio come quelle piaghe guariscono: infatti guariscono quei prigionieri paurosi e disorientati, per poi andare a cercare Tommaso e guarirlo dalla sua autosufficienza ed incredulità. Il Risorto va a cercare proprio lui, Tommaso! Le piaghe del Crocefisso non sono un amore generico; sono un amore che cerca i nostri singoli volti, le nostre singole e personali storie: che manchi Tommaso a quel primo incontro la sera di Pasqua non è, per Gesù, un fatto secondario o trascurabile … e così, otto giorni dopo, lo va a cercare con quelle ferite che, raccontando Dio, guariscono e portano gioiapaceperdono. E da allora, di otto giorni in otto giorni, il Risorto viene a cercare i suoi: gli smarriti, gli infedeli, i distratti, ma anche i cercatori appassionati di Dio, gli innamorati di Lui … li va cercare per guarirli, per confermarli, per dare loro la forza dell’Evangelo … per dare loro quella forza che, paradossalmente, è capacità di essere deboli e feriti come Lui per amore del mondo.

Tommaso è nostra “icona” (il IV Evangelo dice che è detto Didimo, cioè “gemello”, gemello di ognuno di noi tentato di incredulità e di autosufficienza!): è il discepolo del dubbio ma anche, alla fine, della fede più audace! Tommaso è colui che chiede di mettere brutalmente il dito nelle ferite del Risorto, ma è anche colui che pronunzia la formulazione di fede cristologica più alta di tutto il Nuovo Testamento: Mio Signore e mio Dio! Tommaso arriva a comprendere che quelle mani ferite e quel fianco trafitto da una ferita mortale sono le mani ed il fianco di Dio! Per credere ad un Dio così non bastano le vie e gli strumenti “intelligenti” del razionale Tommaso, è necessario arrendersi dinanzi ad un Dio talmente altro ed impensabile che non può che essere il vero Dio!

Quando ci si arrende al Crocefisso è possibile la fede … e ci si arrende al Crocefisso quando si è visitati dalle sue piaghe gloriose! Quelle piaghe che “parlano” con la loro verità che è storia di un dolore assunto liberamente e per amore!

Tommaso percepisce che Gesù cercava proprio lui, l’incredulo, l’autosufficiente che pensava di stare al di sopra degli altri creduloni e deboli … sente che Gesù cercava proprio lui con quelle piaghe aperte, disponibili ad essere toccate purché lui si lasci vincere! Così Tommaso fu vinto … e, vinto, è divenuto “via” per tutti quelli che, come lui, nei secoli, crederanno di essere troppo intelligenti per credere, per arrendersi a qualcosa che travalica le vie del solito “buon senso” e del “credibile”!

Se l’ha fatto Tommaso può farlo ogni uomo: piegare il capo in un’obbedienza di fede che, da ora in poi, dovrà deporre la pretesa di vedere, di pesare, di quantificare, di dimostrare, di dedurre … una fede che è beatitudine perché è credere a quelle mani ferite e a quel fianco aperto, in cui si spalancano vie “incredibili” di perdono, di gioia, di pace!

La Pasqua è questo!

 

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