Riceviamo e condividiamo un inedito spunto di ricerca realizzato dal dott. Rosario di Lello, benemerito cultore di Storia locale
di Rosario di Lello
Nella basilica di San Francesco ad Assisi è possibile ammirare stupende immagini, in più che famosi dipinti, opera di competenti maestri del ’200. Il ciclo attiene alle Storie del Santo ed è stato oggetto di studi e di pubblicazioni. Uno degli affreschi, sulla parete a sinistra dell’ingresso, misura cm 230×270 e raffigura: il Poverello d’Assisi che vola verso il cielo, un uomo che, in presenza di due guardie, esce dal carcere mostrando gli anelli che gli avevano trattenuto i piedi ed un vescovo che, davanti a cinque religiosi che lo seguono, gli sta inginocchiato di fronte. Alla base del dipinto, una iscrizione in latino, il titolo, tradotta dice: ”Il Beato Francesco liberò questo prigioniero accusato di eresia e per mandato del signor Papa raccomandato sotto pena dell’episcopato al vescovo Tiburtino, e ciò fu nella festa dello stesso beato Francesco nella cui vigilia il medesimo prigioniero secondo l’uso della chiesa aveva digiunato”.
Più nel dettaglio –e segnalo ancora in corsivo altri particolari che sembrano utili per quanto si dirà– già a quel tempo Tommaso da Celano e Bonaventura da Bagnoregio avevano reso noto che durante il papato di Gregorio IX –1227-1241– in diversi luoghi avevano avuto inizio processi contro gli eretici sicché quidam Petrus nomine de civitate Alifia, ossia un tale, Pietro di nome, della città di Alife, accusato di eresia –e perciò d’essere nemico della Chiesa– era stato, così come altri imprigionato a Roma e dal papa consegnato in custodia al vescovo di Tivoli, pena la perdita del vescovado se fosse fuggito; nondimeno, sembrando innocente venne trattato con minor rigore. Senonché, nobili della città, gli suggerirono come evadere ed egli accondiscese. Ripreso, fu incarcerato, incatenato e sottoposto a severissima sorveglianza. Ma Dio avendolo riconosciuto innocente lo aiutò: il prigioniero, devoto di san Francesco, lo implorò con pianti e preghiere, diversamente dagli eretici che aveva udito latrare a lungo contro il santo –e perciò contro la Chiesa–; e fu così che, nel giorno della sua festa il Beato gli apparve chiamandolo Pietro e il detenuto vide che i ceppi gli s’erano spezzati, la porta della prigione cadeva in frantumi ed egli era libero. Informato del fatto, il vescovo, benché malato, si recò sul posto e vi adorò il Signore. Infine le catene furono portate al papa e ai cardinali i quali benedissero Dio, riconoscendone la potenza (1). Leone, Rufino e Angelo –?– scrissero che Gregorio IX era stato benefattore insigne e difensore, fino al termine di sua vita, dei frati, così pure di tutti i religiosi e specialmente dei poveri di Cristo (2).
Che vi siano stati eretici anche nella diocesi alifana si desume dal che in abbondanza erano penetrati dalla Lombardia nel Regno di Sicilia, nella prima metà del secolo, né erano mancati, nella seconda metà, tanto è vero che, tra alcuni miscredenti che l’inquisitore mandava […] a prendere, vennero fatti i nomi di dimorandi, al di là e al di qua del Matese, in Venafro, San Massimo, Boiano e Alife, in numero non esiguo e di differenti stati sociali (3).
A questo punto si è indotti a chiedersi: “Pietro era laico o ecclesiastico? era stato reputato eretico in Alife o a Roma e per dottrina contraria a fede, dogma e culto della Chiesa cattolica oppure per motivi dissimili ?”
Stanislao da Campagnola, autorevole studioso, ha rilevato che, nella basilica superiore di Assisi e procedendo dall’altare, a destra, uno dei ventotto riquadri attiene “ad un vescovo, infine, accusato d’eresia e liberato dal carcere (XXVIII)” (4).
Ma di quale monsignore si tratta? Alla di lui identità hanno prestato attenzione due autori alifani. Il Farina dopo aver rimarcato che “nessuno dei due”, Tommaso e Bonaventura, “dice chi fosse Pietro e perché si trovasse a Roma”, ha dichiarato che “Le ricerche per rintracciare Pietro d’Alife”, laico, “vissuto durante il Pontificato di Gregorio IX […] furono infruttuose”; passato poi al “vescovo accusato di eresia e liberato dal carcere”, ha spostato l’indagine su quattro fonti che hanno fatto riferimento al prelato di Alife in quegli anni e ha epilogato che “nessun contributo, purtroppo” gli “è stato fornito dai brani suddetti riportati integralmente” e da citazioni “nella <<Cronaca>> di Riccardo da San Germano” dal 1231 al 1242 (5).
Secondo il Martino, Pietro è stato “un personaggio di tutto rispetto”, sicché “lo stesso Gregorio IX se ne interessa”, per non farlo fuggire. Inoltre “Varie ipotesi sono state azzardate sulla personalità del miracolato, ipotesi che non trovano il minimo riscontro nella realtà”. Perciò, “Resta alla fine l’interrogativo iniziale che ci ha accompagnato durante queste ricerche infruttuose: chi era?” E conclude: “A lume di logica […] sorge spontanea un’altra domanda: Pietro da Alife è da ritenersi veramente eretico?” (6).
Si sarà trattato, comunque, di un individuo notevole e per giunta di un ecclesiastico, dal momento che, oltretutto, sorpreso a Roma, consegnato al papa e da questi alla subordinata custodia di un presule, sottoposto a blanda sorveglianza, fuggì con l’ausilio di gente altolocata; fu riacciuffato, ma sempre devoto al Beato Francesco –tenendo da conto la considerazione diffusa in Alife già nel primo quarto del ‘200 (7) – gli si rivolse non come un eterodosso, bensì secondo la Chiesa e il Santo gli apparve, lo chiamò finanche per nome e lo liberò dai vincoli; ragion per cui, accreditati storici francescani ricordarono Pietro indicandone altresì la provenienza e pittori non da poco lo scelsero, fra i tanti miracolati, anche carcerati e prigionieri liberati, e lo effigiarono in una basilica, edificio di culto riconosciuto particolarmente importante dalla Santa Sede.
Non solo: alla luce di quanto segnalato e di altri quattro indizi rinvenuti in quattro scritti di altrettanti esperti locali, mi pare sia possibile almeno formulare una ulteriore congettura sulla identità; vediamo:
In un catalogo manoscritto sui presuli di Alife, lo Iacobellis, ha registrato, già all’inizio e quasi a difendere il prelato “Anonimo V”:
“ Benché ci sia ignoto il nome di questo Vescovo, sappiamo però che Egli governava la chiesa d’ Alife circa l’anno 1200,e possiamo giusta.e argomentare, che fosse stato un uomo pieno di zelo, e di coraggio per l’amore di Dio nel correggere le sregolatezze specialmente de’ Clerici dal che il Papa Innocenzo III gli scrisse delle lettere relative all’osservanza della disciplina ecclesiastica, e gli ordinò di scomunicare quei Clerici, che avevano avuto la temerità di chiamarlo al Tribunale secolare per cause ecclesiastiche. Poi ché ove il Pontefice avesse per poco dubitato della condotta del Vescovo, anziché scrivere a lui direttam.e avrebbe incari.ta altra persona a prendere informazione, e a tutt’altri avrebbe ordinato di scomunicare i Clerici refrattari. […] Non cessava questo S. Pontefice di deplorare li mali della Chiesa, e la corruttela de’ costumi; onde per appressarvi opportuni rimedi convocò un Concilio Generale nel Laterano, che si tenne dagli 11. a 30 Novembre 1215.[…] Non sappiamo se a questo Concilio vi fosse intervenuto il nostro Vescovo; anzi neppure se a tal epoca fosse vivente […]” (8).
Invece, il detto monsignore anonimo era vivo (9), eccome!
Nella serie dei feudatari di Alife, il Finelli, ha rammentato che il conte Diopoldo di Schweinspeunt, scomunicato da papa Onorio III, passò dalla parte di Ottone IV di Brunswich venuto a conquistare il regno; questi, però, pure lui scomunicato e sconfitto da Federico II di Svevia e Filippo Augusto di Francia, abbandonò l’impresa e ritornò in Germania. Inoltre:
“Diopoldo, legato sempre ai nemici di Casa di Svevia tentò, nel 1216, rientrare nel regno, ma, riconosciuto a Roma, venne condotto in carcere. Liberatosi per denaro […], varcò il confine l’anno seguente, per riaccendere la guerra civile. Ma nel 1219, fu menato in prigione da Giacomo Sanseverino, conte di Avellino e vi restò fino al 1221” (10).
Quando fu rilasciato, si unì ai Cavalieri Teutonici, espatriò e non fece più ritorno in Italia (11).
Nella cronotassi dei presuli alifani, il Marrocco, volgendo dal latino ciò che aveva pubblicato l’Eubel del “NON NOMINATO” successore dl Landolfo, ha chiarito:
“ […] Le accuse contro l’intruso erano state rivolte al papa da alcuni canonici della cattedrale, secondo i quali era stato eletto vescovo non ancora trentenne, era stato imposto dal potere politico, aveva ottenuto la consacrazione sebbene fosse scomunicato per prepotenze fatte a un ecclesiastico, e aveva anche privato dei suoi diritti il predecessore. / Il papa si rivolse per informazioni al vescovo di Teano; Datum Later. Vii Kal. Sept. A II (1217). Ma le prove addotte furono sottratte in quanto il vescovo era probabilmente persona di fiducia del conte di Alife […]. Con tutto ciò la condanna venne, anche se tardi: il 21 Agosto 1217 fu espulso” (12).
Il successore si rivelò sempre aperto sostenitore del pontefice (13) e Il Trutta scrisse in un elenco di prelati:
“ […] Egli fu creatura di esso PP. Gregorio IX. e tanto a lui benaffetto, che perciò cadde nell’odio dell’Imperador Federico II. Da cui fu mandato in esilio, ed indi preso, e posto nelle carceri finì la vita in miserabile povertà, come ci dicono gli atti m. s. dello stesso Gregorio, esistenti nella biblioteca Aniciana […]” (14).;
Pertanto, allo stato della ricerca, mi pare possa quantomeno ipotizzare che l’ innominato, così come Diopoldo, suo probabile sostenitore, fu scomunicato, non per motivi di credo; andò via da Alife e, al fine di incontrare e seguire il conte, raggiunse Roma dove visse finché non lo trassero in arresto in quanto ritenuto per fede avverso alla Chiesa; riuscì ad evadere, con l’aiuto di comuni amicizie nobili, ma ripreso fu menato in cella. Vi rimase fino a quando, dopo la morte del Poverello d’Assisi e devoto del Santo, avendolo invocato e digiunato, non proprio da eretico, ma da cattolico, si vide libero; perciò, nel giorno del prodigio, le autorità ecclesiastiche lo riconobbero innocente e forse, per condotta politica, ancora contrario all’imperatore Federico II, come il già conte Diopoldo e il pontefice Gregorio IX.
Dunque, il Pietro miracolato da san Francesco fu, è verosimile, l’anonimo –non più vescovo– il quale aveva governato la diocesi di Alife dalla morte del predecessore Landolfo, al 1217.
Note
1- Cfr. Tommaso da Celano, Trattato dei miracoli di san Francesco, XI, trad. di T. Lombardi e M. Malaguti in “Fonti Francescane”, Padova, Messaggero-Assisi, Movimento francescano, 1977-1980, pp. 785-786; Bonaventura da Bagnoreggio, Leggenda maggiore, V, trad. di S. Olgiati, ibid., pp. 991-992. 2- Leone, Rufino e Angelo (?) Leggenda dei tre Compagni, trad. di V. Gamboso, in “Fonti Francescane”, cit., pp. 1115-1116. 3- Cfr. Gli eretici d’Italia, Discorsi di Cesare Cantù, Volume primo, Torino, Unione Tipografica-Editrice, 1865, pp. 104-110. 4- Cfr. S. da Campagnola, Introduzione alla Sezione seconda in Fonti Francescane, cit., pp. 370-371. 5- Salvatore Farina. Pietro d’Alife in un miracolo di S. Francesco d’Assisi e in altre fonti storiche, Archeoclub d’Italia, sez. di Alife, s. d., ma 1977-’78, s. p., ma pp. 19 e 25-31. 6- Aurelio Martino, Pietro da Alife Un eretico?, in “Annuario 1979”, Piedimonte Matese, ASMV, 1980, pp. 145-153. 7– Cfr. Dante B. Marrocco, Il Vescovato Alfano nel Medio Volturno, Piedimonte Matese, ASMV, 1979, pp. 132-134. 8- Copia del Catalogo de’ Vescovi di Alife Pel Can. D. Giacinto Iacobellis <<Maestro Domenicano>> 1847, ms., in., § 13, p. 31. § 13, p. 31. Circa i provvedimenti presi contro gli eretici, cfr. Heinrich Denzinger, Enchiridion symbolorum, Editorial Herder, Barcellona, 1946, p. 208. 9- Cfr. ultra, D. B. Marrocco, Il Vescovato Alifano, cit. p. 22. 10- Francesco. Saverio Finelli, Città di Alife e Diocesi, Cenni storici, Scafati, Rinascimento, 1928, pp. 40-42. Cfr. pure Gio. Vincenzo Ciarlanti, Memorie historiche del Sannio, Isernia, Cavallo, 1644, p. 328. Ernesto Pontieri, Federicao II d’ Hoestaufen e i suoi tempi, Napoli, LSE, 1966, pp. 151-163, 191-193. D, B. Marrocco Note storiche sulla contea di Alife, in “Annuario 1975”, Napoli, Laurenziana,1975, pp. 115-145. 11- Riccardo di San Germano Annales casinenses, MGH, XL, p. 912. 12- D.B. Marrocco, Il Vescovato Alifano, cit., p. 22. 13- Cfr. Id., ibid. pp. 22-23. 14- Dissertazioni istoriche delle antichità alifane, scritte dal canonico arciprete Gianfrancesco Trutta, Napoli, Simonuana, MDCCLXXVI, XXVIII, p. 387.
Nel celeberrimo Battistero di Parma si nota il personaggio in saio francescano con in mano gli schiavettoni e nemmeno la guida sapeva spiegare questa figura.
In effetti questo fatto che riguarda Francesco d’ Assisi è del tutto sconosciuto benché rappresentato in pittura.
Invito alla divulgazione.