È la notizia del giorno: l’elemosiniere del Papa, il cardinale Conrad Krajewski ha tolto i sigilli ad un contatore di energia elettrica per ripristinare la corrente di un immobile abitato da 450 persone in via Santa Croce in Gerusalemme a Roma. Si è calato personalmente nella centralina, consapevole delle responabilità cui andava incontro: conosceva da tempo la situazione di quel difficile contesto sociale dichiarando “Dal Vaticano mandavamo l’ambulanza, i medici, i viveri. Stiamo parlando di vite umane”, a dimostrare che la carità del Papa vive di esperienza duratura, anche senza i riflettori dell’ultim’ora.
Da diverse ore giornali e tv rilanciano la notizia, celebrano l’eroismo del Cardinale su cui a tratti vince – da un punto di vista mediatico – più l’entusiasmo per la rabbia manifestata da Salvini (“Conto che l’elemosiniere del Papa, intervenuto per riattaccare la corrente in un palazzo occupato di Roma, paghi anche i 300mila euro di bollette arretrate”) che la normale carità perpetrata dalla Chiesa. È il rischio legato agli eventi, agli avvenimenti letti per quello che rappresentano e comunicano al momento, piuttosto che per il percorso da cui vengono…
La Chiesa non ha paura di pagare le bollette…!
Anzi, la Chiesa sa muovere la carità, quella evangelica, più e meglio di questo gesto, affidando ad azioni coraggiose di cuore, mani e piedi di uomini e donne comuni, l’esercizio dell’amore compiuto ogni giorno nelle grandi città italiane e del mondo, nei piccoli borghi remoti della nostra Italia.
La carità di Mons. Krajewski è solo la punta di un iceberg la cui grande massa è sotto la superficie…così come nei mari artici, dove l’enorme massa di ghiaccio, il cuore di quella punta che appare, rimane al buio e all’ombra rispetto agli spettacolari scatti fotografici che da lì ci sono raccontati.
Gli eloquenti gesti di don Corrado (così chiamato nel nostro territorio matesino per l’amicizia bella e sincera coltivata in passato e ancora oggi con alcune famiglie e ragazzi di un tempo, quando ancora studente a Roma raggiungeva Piedimonte Matese ed Alife per trascorrere tempi di servizio e formazione pastorale) cui ci ha abituati da qualche anno, senza dubbio manifestano il volto della nuova Chiesa, l’estensione di quel primo insegnamento di Papa Francesco che ci sorprendeva trovando poi operosità nei gesti di quel Monsignore di poche parole e di tanti suoi collaboratori che quotidianamente, per volontà della Santa Sede, portano la carità del Papa.
Il mio pensiero tuttavia corre indietro di qualche anno, ma sempre a contesti di povertà e lotta per i poveri.
Immagino don Luigi Di Liegro, fondatore della Caritas di Roma nel 1979 che ho conosciuto dai giornali, dagli scritti a lui dedicati, dai racconti di chi ha avuto la fortuna di conoscerlo e vederlo operare e reagire a favore dei poveri. sul campo minato dal perbenismo e dal bensssere di quegli anni.
Non mi riesce difficile in queste ore pensarlo fiero ma anche ironicamente incredulo.
Fiero perché l’Italia della carità, in particolare delle Caritas diocesane e parrocchiali è quella dell’eterna presenza tra la gente in nome di Gesù Cristo, incarnando le parole che riporta l’evangelista Marco, “Voi stessi date loro da mangiare” (Mc 6,37), dove l’invito è quello di fare ed essere per gli ultimi, senza delegare ad altri.
Sono le Caritas e le associazioni ad essa ispirate – o similmente nate sull’insegnamento di carità di di Santi o Beati – animate e guidate da volontari giovani e anziani, sacerdoti, professionisti, artisti, studenti, pensionati, lavoratori.
Spazi di accoglienza e di ascolto prima di tutto; mense e consultori medici; laboratori di sviluppo e progettazione sociale; formazione al mondo del lavoro e alla cooperazione; turni per la distribuzione di viveri e coperte nelle stazioni delle metro e in quelle ferroviarie, consegna di cibi nelle case lì dove le famiglie preferiscono nascondersi; assistenza scolastica; evangelizzazione: eccolo l’universo della carità senza rfilesso mediatico.
Allo stesso tempo immagino un don Luigi Di Liegro incredulo di fronte all’atteggiamento di chi scopre solo oggi una Chiesa capace di simili gesti, ma forse più realisticamente totalmente disinteressato alle pagine dei giornali, se non a quelle del Vangelo e a quelle che narrano per davvero le vite e i bisogni degli uomini.
L’ultimo rigo, le parole sommerse di questo articolo, quelle a cui difficilmente giunge il lettore frettoloso, è per l’esperienza di carità della Diocesi di Alife-Caiazzo e di tante parrocchie: per restare in tema di case e diritti mi viene in mente la bella azione compiuta pochi anni fa (2016) a Caiazzo dalla Caritas diocesana per evitare lo sfratto di alcune famiglie dalle case popolari (leggi anche qua) e poi la nascita della Mensa Panis Caritatis; i tanti tetti garantiti a molti altri; il riscaldamento in inverno e il funzionamento dei frigoriferi nelle abitazioni; la gratuità dei servizi medici e psicologici del Centro diocesano per la Famiglia “Mons. Angelo Campagna”; i centri di ascolto diocesani e parrocchiali; la vicinanza alla gente di tanti operatori e volontari; la discrezione, la disponibilità e la preghiera dei nostri sacerdoti.
La Chiesa cammina…