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Disastri naturali e povertà. Anche il Matese accoglie la sfida globale

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Matese. Tra moderno e contemporaneo

Sulla nostra rubrica, a cura di Armando Pepe, questa settimana, ci apriamo ad una riflessione glocale accogliendo con gratitudine l’interessante contributo del Prof. Manuel Vaquero, docente di Storia economica all’Università degli Studi di Perugia, tra i massimi esperti italiani di storia, politica ed economia lacustre.
Con lui entriamo nel tema “ambiente” che in questo momento tocca la riflessione sociale, politica, economica ed etica del Mondo. Dalla Laudato sì di Papa Francesco al Fridays for Future di Greta Thunberg (e le sue ripercussioni sociali e mediatiche), la riflessione di tutti resta focalizzata da qualche anno sull’urgenza di cambiare e sui criteri da adottare.

Disastri naturali e povertà: una sfida globale

di Manuel Vaquero Piñeiro
Prof. associato di storia economica. Dipartimento di Scienze Politiche. Università degli Studi di Perugia

Come è noto le calamità naturali contribuiscono all’incremento della povertà e della precarizzazione della vita delle persone. Secondo calcoli della World Bank il potenziamento della resilienza delle comunità più povere produrrebbe un risparmio di risorse di circa cento miliardi di dollari ogni anno, riducendo l’impatto delle catastrofi naturali sul benessere dei cittadini dell’ordine del 20%. Le aree del pianeta più arretrate a causa del predominio di strutture sociali ed economiche più vulnerabili, senza gli aiuti internazionali non sono in grado di affrontare i costi delle catastrofi naturali. In questi casi la ricostruzione risulta molto difficile, a volte quasi impossibile, con gravi conseguenze sul livello di istruzione e di salute. La povertà diventa ancora più profonda e irreversibile.

Soltanto nei primi anni del XXI secolo, il costo dei danni generati da «disastri naturali» ha ammontato a quasi 2.500 miliardi di dollari, ma i calcoli compiuti dall’ONU indicano una sottostima dell’ordine del 50%. Se guardiamo le statistiche riferite a oltre un secolo di disastri naturali (1900-2015) i dati raccolti sono da capogiro: 8 milioni di morti e 7 trilioni di danni in dollari USA.

È vero che le stime più numerose e attendibili cominciano solo dopo il 1950. Vale a dire, per la prima metà del XX secolo le informazioni a disposizione sono poche e non consentono di tracciare una serie continua. Ciò nonostante tale disparità risponde a differenti motivi: dalla progressiva raffinazione nelle tecniche adoperate per la raccolta dei dati, all’inserimento nell’analisi di alcuni grandi paesi (India, Cina), al crescente interesse maturato nella opinione pubblica mondiale per le emergenze planetarie. Anche per quanto riguarda l’andamento delle vittime i riscontri posseduti dimostrano la pluralità di aspetti da prendere in considerazione perché se da un lato i disastri naturali sperimentano una tendenza crescente a partire dall’ultimo ventennio del ‘900, le vittime accertate sembrano aver conosciuto un radicale ridimensionamento passando da 200.000 persone morte nel 1970 a meno di 30.000 nel 2011.

L’evoluzione positiva è risultata dall’applicazione di sempre più efficaci sistemi di sicurezza e prevenzione, pure sulla qualità degli edifici. Non a caso le problematiche delle strutture abitative delle comunità colpite da catastrofi naturali sta diventando una delle linee di fondo che guida le strategie nazionali e internazionali di intervento.

Che il tema sia di notevole importanza lo dimostra l’attenzione rivolta al tema da parte delle grandi compagnia assicurative, attente, non a caso, a monitorare e fornire continui riscontri. Per fare riferimento alle stime fornite dalla tedesca MunichRe, nel 2018 si sono verificati 850 eventi naturali catastrofici.

Eventi geofisici come terremoti, tsunami ed eruzioni vulcaniche hanno rappresentato il 5% del totale. Le tempeste hanno raggiunto il 42%, inondazioni e frane il 46%, mentre il 7% è caduto nelle categorie di caldo, freddo e incendi. In generale, la distribuzione ha seguito la tendenza verso un numero maggiore di tempeste e inondazioni. I continenti più colpiti sono stati l’Asia (43%), il Nord America (20%), l’Europa (14%) e l’Africa (13%).

Secondo la FAO, tra il 2005 e il 2015 i disastri naturali hanno generato nell’agricoltura dei paesi in via di sviluppo delle perdite per un totale di 96 miliardi di dollari. Si tratta di una cifra ingente praticamente impossibile da recuperare in quanto si tratta di sistemi economici privi di risorse. La metà delle perdite si localizzano in Asia a causa del combinato disposto di lunghi periodi di siccità e di fenomeni di piogge torrenziali. Se a i danni verificatisi nel continente asiatico aggiungiamo quelli dell’Africa e dell’America Latina, la siccità da sola ha provocato perdite per circa 30 miliardi. Il rapporto FAO, nell’intento di offrire un quadro complessivo, non lascia di sottolineare l’intreccio esistente tra danni derivanti da calamità naturali e perdite in seguito a guerre e malattie delle piante e degli animali domestici. Infatti in ampie zone del pianeta è andata in crisi l’intera catena alimentare. Per tutto ciò, secondo la FAO, nell’ottica del raggiungimento degli obiettivi previsti dall’Agenda 2030, risulta essenziale la necessità di predisporre sistemi finalizzati a contenere le perdite, soprattutto nel settore agricolo. Azione che viene considerata prioritaria in quanto per milioni di piccoli contadini, pastori o pescatori, un qualsiasi disastro naturale può occasionare la drammatica distruzione di risorse appena sufficienti per l’autoconsumo.

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