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Storia di un “necessario” convento a Piedimonte Matese

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Matese. Tra moderno e contemporaneo

Scuola agraria a Piedimonte Matese

Questa settimana, per la nostra Rubrica storica, l’intervento del dott. Pasquale Simonelli (foto in basso), presidente dell’Associazione Storica del Medio Volturno con il racconto dell’antico convento dei padri Cappuccini, soppresso nel 1811, poi divenuto sede della Regia scuola pratica di agricoltura e successivamente Istituto tecnico Agrario.
Nel testo di Simonelli emerge l’urgenza e la necessità di una realtà cara al territorio matesino non solo per il “soccorso spirituale” legato al servizio dei religiosi, ma anche per il valore culturale e sociale che il luogo e chi lo abitava rappresentava.

Cronistoria del convento dei Cappuccini in Piedimonte

di Pasquale Simonelli

Geografia conventuale
Il convento dei Cappuccini in Piedimonte fu fondato nel 1577 da padre Urbano da Giffoni. Alle falde di Monte Muto, in una zona denominata La Petrara, per 300 ducati i sindaci del paese avevano comprato un terreno da Bernardino Tartaglia.
I religiosi erano stati chiamati dalla duchessa Cassandra De Capua Gaetani che, a proprie spese, costruì l’edificio conventuale. La nobildonna, come legato testamentario, nel 1609 dispose che 200 ducati servissero per la costruzione di un acquedotto a favore dei frati. Come ultima volontà manifestò il desiderio di essere sepolta proprio nel convento. Nel 1688 il padre provinciale Emanuele da Napoli comprò un esteso terreno per ingrandire il giardino annesso al convento.

La prima soppressione
Da una relazione che il vicario generale della diocesi di Alife, nell’intento di scongiurare la soppressione conventuale, inviò all’intendente di Terra di Lavoro nel 1811, si apprende che «nel convento vivono sei frati e due laici professi. Li Cappuccini prestano il comodo della messa al quartiere di Piedimonte denominato La Petrara, dov’esiste la loro casa religiosa, distante dalla parrocchia [di Santa Maria Maggiore]; nel quartiere non vi è altra chiesa ove poter ascoltare la messa, e specialmente per le donne e per gli acciaccosi [ i malati]. Inoltre i religiosi somministrano il comodo della messa non solo a detto quartiere della Petrara, ma anche ai vicini casali di Scorpeto, Sepicciano e San Potito; esercitano anche la predicazione o in Piedimonte o in altri luoghi dove sono chiamati. Coadiuvano il parroco nell’amministrazione dei Sacramenti nell’accennato quartiere. Danno anche il comodo delle piccole scuole ai ragazzi. Onde la soppressione di detta casa riuscirebbe di grave danno spirituale per la detta popolazione».
Tuttavia l’11 giugno 1811 il convento fu soppresso.

I commissari incaricati della liquidazione, dopo aver convocato il padre vicario Ludovico D’Arienzo  e altri 8 frati, misero i sigilli alla libreria e «agli altri oggetti che si sono creduti necessari».
Successivamente stilarono un particolareggiato inventario dei beni, con oltre 1400 libri, di cui 48 «proibiti» e conservati in uno «stiglio di legno con ferriate di ferro filato davanti». C’era pure un antico e pregevole atlante geografico. Furono inventariati anche 35 quadri, di motivi sia religiosi (tra cui due grandi tele raffiguranti rispettivamente San Francesco e l’Ultima Cena) che boscherecci; gli argenti, che servivano per il culto, rimasero nella disponibilità della chiesa, che non era stata inclusa nel dispositivo di soppressione.
Nella chiesa vi erano tre altari di legno, sovrastati da tre dipinti raffiguranti tre santi: San Felice da Cantalice, San Giuseppe (Desideri) da Leonessa, San Fedele da Sigmaringen; c’erano inoltre un’acquasantiera di marmo, un confessionale di legno, le statue lignee di San Francesco e  di Sant’Antonio. L’inventario riferisce inoltre che «sulla porta del primo ingresso vi è il coro con sedili di legno ed in esso un crocefisso in legno, un salterio con tre breviari vecchi e sette quadri di diversi Santi». Anche nella sagrestia vengono inventariati diversi oggetti, tra cui due statuette in cera raffiguranti San Giovanni e la Santissima Vergine. La soppressione del convento destò malumore e dispiacere in tutta la popolazione di Piedimonte e dintorni. In particolare ne rimasero scossi gli abitanti dello Scorpeto e di Sepicciano, che vivevano in stretta familiarità con i Cappuccini, sempre pronti alle necessità dei più poveri. Il 14 giugno 1811, il sindaco Nicola Cenci e i decurioni [consiglieri comunali] di Piedimonte scrissero all’intendente di Terra di Lavoro manifestando il disappunto per la soppressione del convento e chiedendo un ulteriore intervento per evitarla.

Diceva l’accorata petizione che «il convento non solo è utile, ma anche necessario al popolo per le opere religiose; si è reso necessario così alle popolazioni di Piedimonte, come anche alla città di Alife, per la continua applicazione dei Padri Cappuccini nell’amministrazione dei sacramenti, del viatico all’infermi, dell’assistenza ai moribondi e dell’istruzione ai figliuoli; e soprattutto risentono l’utile di tal convento il quartiere della Petrara, dello Scorpeto e di Sepicciano. Se questi Padri sono stati sempre benemeriti della popolazione per le loro apostoliche fatiche, molto più lo sono ora dopo la soppressione di Domenicani, Carmelitani, Celestini ed Agostiniani. Vostra Eccellenza [l’intendente di Terra di Lavoro] patrocinerà senza dubbio la giustificata premura dei supplicanti per la esistenza dei Padri Cappuccini che, per la loro esemplarità di vita ed indefessa fatica a pro delle anime, hanno meritato la benevolenza della popolazione».

Perorazione del vescovo di Alife Emilio Gentile
Il 14 giugno 1811 anche  i decurioni di San Potito scrissero all’intendente di Terra di Lavoro perorando per l’esistenza di quella comunità religiosa. L’intendente chiese il parere del vescovo di Alife Emilio Gentile, prelato coltissimo e da tutti stimato, il quale, con lettera del 1° luglio 1811, rispose che «il convento dei Cappuccini non solo è utile, ma è precisamente necessario al popolo ed ai vicini  casali e borghi di San Potito, Castello, Scorpeto, Sepicciano e ad Alife, che han bisogno di soccorso spirituale. Questo luogo è stato ben riguardato; la casa di Laurenzana ci tiene una cappella con sepoltura gentilizia, dove sono stati sempre seppelliti  gli antenati morti qui e le loro mogli; e la famiglia [dei religiosi] del convento è stata ed è buona ed esemplare. Quindi stimo più che necessaria l’esistenza di detto convento».

Canonico Giuseppe Sanillo

Il destino dei libri
Tuttavia non fu data alcuna risposta alla lettera di monsignor Gentile. Il 13 gennaio 1812, l’intendente di Terra di Lavoro scrisse al ministero del Culto, comunicando l’intenzione del rettore del seminario diocesano di prelevare diversi libri provenienti dal soppresso convento perché il seminario «era totalmente sprovvisto di libreria».
La richiesta trovò accoglienza, tranne per i libri che sarebbero potuti servire alla Reale Biblioteca di Napoli. I libri consegnati al Seminario diocesano furono 237 unità, come risulta da un elenco sottoscritto per ricevuta dal rettore, il canonico Giuseppe Sanillo.
Gli altri 1163 volumi che fine fecero? Nei documenti esaminati non se ne parla.

La confisca
Completata nel frattempo la confisca di tutto il convento, il 29 giugno 1813 una parte fu affidata al comune di Piedimonte, che la destinò a caserma della Gendarmeria Reale. Però la struttura del convento, per la notevole capacità, faceva gola a qualche industriale. Fu acquisita così dall’imprenditore Giovanni Reull, che in Piedimonte era già direttore della  «fabbrica dei panni» per le truppe del Reale Esercito. Il sindaco e i decurioni di Piedimonte si opposero e scrissero direttamente al Re, supplicandolo di annullare il contratto d’acquisto. Il sotto-intendente del distretto Piedimonte, consultato in merito, si mostrò invece favorevole, dato che « la manifattura  è un oggetto di pubblico interesse».

Le disposizioni del re Gioacchino Murat
Il 24 novembre 1814 il re Gioacchino Murat firmò una convenzione (composta da quattro articoli) con cui  si accordava Giovanni Reull l’uso gratuito della chiesa e dell’ex convento per 10 anni. Reull s’impegnò a far funzionare la fabbrica di panni entro un anno. Nell’intesa era contemplato il diritto di prelazione. Intanto la vita scorre e gli eventi che si susseguono travolgono ogni  progetto.

Dopo Waterloo
Il 23 giugno 1815, pochi giorni dopo la disfatta di Napoleone a  Waterloo, il vescovo di Alife Emilio Gentile, con una nuova e supplichevole missiva, si rivolse al ministro del Culto per far riaprire almeno la chiesa annessa al convento; caduto il regime murattiano, non c’era più motivo di tenere chiusa la chiesa. Pertanto, concludeva il vescovo «prego dare ordini al sotto-intendente di Piedimonte di consegnare le chiavi all’arcidiacono don Vincenzo Meola, che ne era il custode». Anche il sindaco e i decurioni di Piedimonte chiesero al re Ferdinando IV di emanare disposizioni per la riapertura della chiesa. Finalmente, il 12 agosto 1815 il ministro degli Affari Ecclesiastici scrisse all’intendente di Terra di Lavoro comunicando la volontà del re di far riaprire almeno la chiesa. La fabbrica di panni, invece, fu acquisita dall’imprenditore Raimondo Poissonnier. Dopo la chiusura della fabbrica, perché non più economicamente utile, e nonostante le proteste delle lavoratrici  rimaste disoccupate, nel mese di maggio del 1820 al convento, con una solenne processione, tornarono i Cappuccini.
I frati utilizzarono i telai rimasti e continuarono a tessere la lana per gli abiti dei religiosi fino all’ applicazione delle leggi eversive del 1867, quando tutto il fabbricato fu confiscato; il 2 ottobre 1867 l’amministrazione per il Culto lo consegnava al comune di Piedimonte. Il 12 luglio 1888, con Regio Decreto  numero 5644, l’ormai ex convento venne requisito e, mediante il proficuo interessamento di Angelo Scorciarini Coppola, vi sorse la Regia Scuola Pratica di Agricoltura, una delle prime in Italia. La scuola ebbe subito successo. Tantissimi professionisti, provenienti da ogni dove, si sono formati presso codesto Istituto, gloria e vanto del Meridione.

Bibliografia
Mariano Parente,  Sintesi storico-cronologica della Provincia dei Frati Minori Cappuccini di Napoli (1535-2007),  Napoli,  Edizioni dei Cappuccini 2009.

Mariano Parente, Frati Cappuccini della monastica Provincia di Napoli e Terra di Lavoro al tempo della soppressione francese (1806-1815),  Napoli, Editori Cappuccini 2015.

Dante Marrocco, Angelo Scorciarini Coppola, Capua, Tip. Triflex di Salvi & Russo 1967.

Vittorio Imperadore e Armando Pepe, San Potito Sannitico e i Sanillo nel Regno delle Due Sicilie: frammenti di storia,  Piedimonte Matese 2019.

 

 

 

 

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