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Lupi sul Matese, “animali importanti”

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Matese. Tra moderno e contemporaneo

Foto Maurizio Fraissinet

Il Lupo sul Matese

“Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito”.

Prendo in prestito questa frase del noto scrittore Antoine de Saint-Exupéry per introdurre il nuovo articolo della rubrica Matese tra moderno e contemporaneo (curata da Armando Pepe) dedicata al lupo del Matese.
L’autore di questo pezzo, che torna ad animare le pagine di Clarus dopo una breve pausa estiva, è Maurizio Fraissinet, esperto ornitologo campano che tuttavia mi piace definire meglio come libero, incontaminato, esperto e appassionato divulgatore di materia ambientale, noto alla nostro territorio per aver assunto il ruolo di presidente del Parco regionale del Matese (nelle vesti di commissario). 
Tornare a parlare di natura e Matese con lo stupore e la gioia, la poesia e il mistero di ciò che il nostro massiccio rappresenta, dei piccoli ma necessari sforzi per garantire la vita dei suoi abitanti protagonisti (in questo caso il lupo), la trovo una possibile strada (anche più motivante) rispetto ai tavoli (anch’essi necessari) dove la voce del Matese tuona spesso e solo dalla dai rappresentanti delle Istituzioni. 
Fateci venire la voglia di Matese, di Parco, di sfide, di possibilità!
Diamo voce al Matese stesso, alle sue naturali dinamiche…
Lasciamo – come in questo caso – che siano i lupi o i caprioli a raccontarci le loro necessità, e di come un Canis lupus lupu e una pezza di formaggio siano legati da uno strano e necessario equilibrio garantito dall’uomo, tanto saggio da riconoscere e tutelare la mutualità di queste strane relazioni di generi, nature e finalità vitali diverse. 
Più semplice e più veritiero di tante altre parole. 
Approfitto della ripartenza della nostra Rubrica per esprimere gratitudine e riconoscenza per le firme che fino ad ora hanno qualificato questo servizio culturale al territorio e al professore Armando Pepe che settimanalmente “ricerca” e cura le pubblicazioni.
Grazia Biasi 

di Maurizio Fraissinet, ex presidente del Parco regionale del Matese   

Quando assunsi il ruolo di Commissario del Parco Regionale del Matese una collega zoologa, nel farmi gli auguri, mi disse che stavo andando a gestire un Parco in cui erano presenti «animali importanti».
Per uno zoologo ogni specie animale è importante, ma è innegabile che alcune hanno un fascino particolare. Una di queste è senz’altro il Lupo, con tutto ciò che questo animale si porta dietro nei suoi rapporti con l’uomo.

Il Lupo che vive in Italia è presente con la sottospecie nominale Canis lupus lupus, distribuita in Asia e in Europa.  Come è noto negli anni ’60 e ’70 del XX secolo in Italia abbiamo corso il rischio di perderlo per sempre. Una caccia feroce e spietata lo aveva ridotto a soli 100 esemplari, per lo più distribuiti lungo l’Appennino centro – meridionale. A partire dalla metà degli anni ’70 le cose però sono cambiate. Il WWF lanciò la campagna «San Francesco» e avviò una ricerca di campo volta a comprenderne la consistenza, la distribuzione e le abitudini. Contemporaneamente promosse una campagna di sensibilizzazione finalizzata ad educare gli italiani ad una convivenza pacifica con questo animale così bello e affascinante, oltre che indispensabile nel suo ruolo di superpredatore all’interno degli ecosistemi montani.

La campagna del WWF ebbe un successo enorme e oggi la specie non è più sull’orlo dell’estinzione. Ha avuto una forte ripresa numerica che lo ha portato a raggiungere e superare il migliaio di esemplari e a colonizzare anche l’Appennino settentrionale e le regioni a nord del Po; non è più visto dalla stragrande maggioranza degli italiani come il «lupo cattivo», anzi, è divenuto il simbolo della natura selvaggia e incontaminata delle nostre montagne. Un successo italiano della conservazione, di fama mondiale.

Sapevo ovviamente della presenza del Lupo sul Matese e da quando mi ero insediato mi ponevo il problema di cosa e come fare per salvaguardarlo nel territorio del Parco. In quegli anni purtroppo non sono riuscito a incontrarlo nelle mie uscite naturalistiche nel Parco. Gli unici contatti si riferiscono – ahimè – al ritrovamento di tre carogne in tre zone e momenti diversi. Per una non fu possibile recuperare il corpo sia perché in un avanzato stato di putrefazione, sia perché adagiata sul fondo di un crepaccio non raggiungibile. Per le altre due invece si poté provvedere e inviare il corpo all’Istituto Zooprofilattico di Portici. Per entrambe si ebbe modo di appurare che le cause della morte erano da attribuire all’assalto dei cani dei pastori e che, in entrambi i casi, il Lupo si era cibato di Cinghiale.

L’Istituto Zooprofilattico ci aveva fornito informazioni molto importanti che confermavano quanto da tempo si andava affermando sulla specie: l’importanza che rivestono i cani pastori abruzzesi nella prevenzione dei danni dei lupi al bestiame domestico e il ruolo di controllore che il Lupo svolge sulle popolazioni di Cinghiale.

Il Cinghiale però risultava essere l’unico ungulato cacciabile per il Lupo sul Matese. Cinghiale, peraltro, alloctono e oggetto di frequenti azioni di bracconaggio. Era necessario quindi diversificare le prede a sua disposizione, in modo anche da ridurre la «tentazione» di assalire per fame il bestiame domestico. Decisi allora di puntare sulla reintroduzione del Capriolo nel Parco.
Scartai subito l’opzione Cervo perché sapevo che nei parchi alpini stava creando problemi con i pastori. All’inizio della primavera, allorquando la neve si scioglie e compare l’erba fresca per il pascolo, lui è già sul posto e consuma tutta l’erba prima che i pastori possano portare in quota le mandrie. Non poteva andare bene per il Matese. Dovetti scartare l’opzione Camoscio, che pure – lo confesso – mi piaceva molto perché permetteva di ampliare ulteriormente l’areale appenninico della specie. Purtroppo non sapevamo se sul Matese fossero presenti alcune specie vegetali indispensabili per la dieta delle femmine in allattamento. È questo uno studio che va fatto.

Scartato anche il Daino perché specie alloctona, e come tale vietata all’interno di un’area naturale protetta e che, comunque, avrebbe creato gli stessi problemi del Cervo, puntammo sul Capriolo. Questo animale, di medie dimensioni, è un brucatore e quindi non va in competizione con gli animali al pascolo; in diverse aree protette la reintroduzione aveva avuto successo e lo riportavamo nei boschi dove viveva prima che la ferocia umana lo aveva portato all’estinzione. Avremmo realizzato quindi un intervento di recupero naturalistico.

Il progetto si poté concretizzare con le nuove annualità dei fondi comunitari che destinavano risorse ai parchi regionali.

Quando torno sul Matese per le mie ricerche ornitologiche e mi viene raccontato di avvistamenti di Caprioli in varie zone del Parco, credetemi, provo un certo orgoglio e una grande felicità. Per uno zoologo è davvero bello potersi vantare di avere reintrodotto con successo una specie animale.

L’altra azione che andava fatta era quella di sensibilizzare i pastori e gli abitanti tutti alla convivenza con il Lupo, se non all’amore per questo animale così bello e importante. Non perdevo occasione per spendere parole per lui nei miei interventi pubblici. Su di un argomento, in particolare, ponevo l’accento e lo faccio tuttora: l’immagine di natura incontaminata e selvaggia che suscita oggi nell’immaginario collettivo il Lupo. Se in un territorio c’è il Lupo, affermavo, vuol dire che quel territorio è incontaminato e che, di conseguenza, i prodotti della pastorizia sono più sani e più buoni perché gli animali mangiano erbe incontaminate. L’associazione del Lupo con la bontà e la genuinità dei formaggi poteva e doveva divenire l’accoppiata vincente per rilanciare i prodotti con una immagine nuova, sicuramente gradita al consumatore.

Non so quanto sia passato questo messaggio.
Io continuo a parlarne, e in questi mesi di lavoro per l’istituzione del Parco Nazionale, ci sono tornato spesso.
Nel frattempo, se permettete, mi godo i Caprioli e la soddisfazione di aver contribuito al loro ritorno nei bellissimi boschi del Parco.

 

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