Lo studio portato avanti dal professor Armando Pepe, sull’attività pastorale ed educativa dei vescovi della Diocesi di Alife, si arricchisce di un altro significativo tassello: il secondo volume de Le relazioni ad limina dei vescovi della Diocesi di Alife (1664-1773) ora è un lavoro compiuto. Alla circostanziata ricostruzione del cammino che vede protagonista la Chiesa alifana si aggiunge il fermento, religioso e culturale, dell’Età moderna. Armando Pepe presenterà il suo ultimo lavoro mercoledì 25 settembre alle 19.00, presso l’Episcopio in Piedimonte Matese, approfondendone i contenuti insieme al vescovo mons. Orazio Francesco Piazza, Amministratore apostolico, e don Emilio Salvatore, parroco di Ave Gratia Plena e docente di Sacra Scrittura alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale-Sez. San Luigi. In quell’occasione sarà possibile acquistare una copia del libro edito da Youcanprint e disponibile anche online (www.youcanprint.it).
Abbiamo rivolto alcune domande ad Armando Pepe per far luce, in particolare, sulla “fatica” che si cela dietro alla stesura del libro e gli aspetti caratteriali dei personaggi trattati, individuabili se, allo studio storico si accompagna quella sensibilità speciale che porta a guardare “oltre le fonti”.
L’INTERVISTA
Quali sono le fonti documentali a cui hai fatto riferimento per il tuo lavoro storico?
Per ricostruire le gesta e la personalità dei Vescovi che sono stati attivi nella Diocesi di Alife, nell’arco temporale preso in considerazione (1664-1773), si è rivelato indispensabile il riferimento ad Archivi e carteggi, che rivelano aspetti spesso anche originali di individui che, prima di essere “uomini di Chiesa” sono persone, con i loro limiti, pregi, e talenti. Il confronto con la figura di mons. Domenico Caracciolo mi ha portato a spulciare documenti dell’Archivio Segreto Vaticano. Per quanto riguarda, ad esempio, mons. Giuseppe de Lazara, il punto di riferimento principale è stato il Carteggio indirizzato al conte Giovanni de Lazara. Riferimenti importanti, che mi hanno permesso di ripercorrere la “carriera” dei Vescovi passati in rassegna, sono le “Positiones Episcopales”, veri e propri atti processuali attraverso cui un chierico veniva ritenuto idoneo o meno a ricoprire la carica vescovile.
Tra i vescovi protagonisti del libro, ce n’è qualcuno che ti ha particolarmente affascinato?
Senza dubbio, esiste anche una componente umana dei personaggi che analizzo, che trapela dalle loro azioni. Dietro seminari, visite pastorali, sinodi, relationi ad limina si nascondono modi di essere, pensare e comportarsi. Mi viene in mente, per fare un esempio, lo stile di vita condotto da mons. de Lazara, uomo di cultura, perfettamente in sintonia con il clima di effervescenza tipico del ‘600 e molto legato allo storico Carlo de Lellis e il cardinale Gaspare Carpegna. Assolutamente da non trascurare è la testimonianza dei vescovi Sanseverino (Innocenzo, Filippo e Francesco Ferdinando), i quali, oltre a gestire la loro azione pastorale a Piedimonte Matese, non mancavano di svolgere funzioni curiali anche in quel di Napoli.