Matese. Tra moderno e contemporaneo
Aurora Sanseverino di Bisignano
Arte, musica e poesia: la vita di Aurora Sanseverino “piena di gentilezza e spiritualità” carica di bellezza la storia di Piedimonte e dell’antico quartiere che ospitò le dimore della famiglia ducale cui appartenne.
Questa volta la rubrica Matese tra moderno e contemporaneo, grazie alla firma di Antonio Bellone, ci riporta in vicende care alla Città ma mai sufficientemente conosciute.
Il patrimonio di valori e di notizie che torniamo ad affrirvi non è solo un racconto o un “dovuto” omaggio al passato, ma un tesoro presente su cui tornare ad investire, lì dove non mancano idee (La Redazione).
di Antonio Bellone
Aurora Sanseverino nacque a Saponara (attuale Grumento Nova, in Basilicata) il 28 aprile 1669 da Carlo Maria di Bisignano e da Maria Fardello, principessa di Pacecco. Fin da bambina mostrò interesse per lo studio della letteratura, delle arti e della musica, manifestando entusiasmo per tutto ciò che fosse proteso alla bellezza e alla virtù. Ai primi di gennaio del 1682, solo tredicenne, sposò Girolamo Acquaviva, conte di Conversano, il quale, la notte seguente il giorno del matrimonio, morì all’improvviso. Ciò avvenne nel castello di Amendolara, feudo calabro dei Sanseverino.
L’Accademia dell’Arcadia
Due anni dopo donna Aurora entrò a far parte dell’Accademia dell’Arcadia in Roma, ove ebbe come maestro il canonico Giovanni Mario Crescimbeni. In seguito divenne Lucinda Coritesia, dell’Accademia degli Spensierati di Rossano Calabro, capeggiata da Giacinto Gimma, uno dei suoi più attenti biografi.
Una nuova vita tra Piedimonte e Napoli
Nella primavera del 1686, donna Aurora sposò Niccolò Gaetani dell’Aquila d’Aragona, conte di Alife, che alla morte del padre, divenne duca di Laurenzana.
In occasione delle nozze, il principe Carlo (padre di lei), musicista dilettante, compose «L’Eliodoro», dramma per musica, del quale non ci è rimasto nulla. Per un anno circa gli sposi Gaetani-Sanseverino furono ospiti del duca di Laurenzana padre. In seguito si trasferirono a Napoli nel palazzo alla Riviera di Chiaia, sito poco distante dalla monumentale casa del principe di Bisignano. In quegli anni Donna Aurora, con evidente entusiasmo, si dedicò alla poesia, alle arti e alla musica.
Aurora Sanseverino e Nicola Gaetani tennero nei propri palazzi notevoli salotti letterari, ma furono presenti anche nella vita mondana di Napoli come frequentatori di teatri pubblici, soprattutto del San Bartolomeo, del Dei Fiorentini e a Montecalvario.
Aurora Sanseverino mostrò grande interesse per la caccia, per la poesia e per l’arte in genere. La sua figura si allineava sicuramente alle grandi dame del tempo. Era d’uso, allora, che le donne di rango, avessero un alto livello culturale, che marcava evidentemente anche il livello sociale, oltre che economico. Già dalla metà del Cinquecento si hanno dissertazioni, come «Il Cortegiano» di Baldassarre Castiglione, in cui si raccomandava vivamente alle signore dell’alta società di impiegare il tempo nelle arti, cimentandosi soprattutto nella poesia e nel canto. L’impiego del proprio tempo, per la classe nobiliare, rientrava quindi nel concetto antico di «otium –negotium», ossia nella possibilità di impiegare la vita in attività che arricchissero il proprio spirito. La nobiltà, attraverso queste attività, tendeva a rafforzare e celebrare se stessa, tenendo un alto concetto del proprio status.
La duchessa Aurora ebbe mille onori, fu ritenuta piena di gentilezza e spiritualità, anche se, analizzandone la biografia, si deduce che non le mancarono neanche forti struggimenti: il primo marito, ad esempio, morto prematuramente appena dopo il matrimonio; ma anche la figlia Cecilia, finita dopo aver dato alla luce l’unico figlio, il famoso Raimondo di Sangro.
La sua vita si svolse così tra arte, musica, poesia, viaggi, la caccia al cinghiale nei boschi del Matese e quant’altro potesse allietare una dama tanto illustre quanto avida di conoscenza. Aurora Sanseverino finì i suoi giorni nel palazzo ducale di Piedimonte il 2 luglio 1726.
Un sonetto di Aurora Sanseverino
«Ben son lungi da te, vago mio Nume»
Ben son lungi da te, vago mio Nume,
Qual per mancanza di vitale umore
Arida pianta, qual senza vigore,
Palustre augel con basse e tarde piume
Ben son lungi da te qual senza lume.
Notte piena di tenebre, e di orrore:
Ben son lungi da te qual secco fiore,
Cui soverchio calor’ arda e consume,
In te, mia vita, han posa i miei desiri:
Or se da te tant’aria mi diparte,
Qual pace troveran gli aspri martiri?
Ahi dunque è ben ragion, che in mille carte
Sfoghi sue angosce in lagrime, e sospiri
Quest’alma, che sì strugge a parte a parte.
Bibliografia
Antonio Bellone, Storia di un teatro dimenticato: la duchessa Aurora Sanseverino e l’opera del primo Settecento napoletano, Piedimonte Matese, Teleion musica e cultura 2015.
Benedetto Croce, I teatri di Napoli : dal Rinascimento alla fine del secolo decimottavo, Bari, Laterza 1947.
Raffaello Marrocco, Niccolò Gaetani ed Aurora Sanseverino, Maddaloni, Stab. tip. G. Golini 1919.
Antonio Emanuele Piedimonte, Raimondo di Sangro principe di Sansevero: la vita, le invenzioni, le opere, i libri, la Cappella, le leggende, i misteri, Napoli, Intra moenia 2012.