Uomini e vescovi. La personalità di illustri Pastori alla guida della Chiesa di Alife sono indagate nel libro del prof. Armando Pepe “Le relazioni ad limina dei vescovi della Diocesi di Alife (1664-1773)” che sarà presentato domani 25 settembre, nella sala multimediale dell’Episcopio in Piedimonte Matese alle 19.00.
Uno spaccato di Storia che supera la ricerca d’archivio e ci conferma che dietro e dentro il valore di antiche carte riproposte ai lettori si nascondono personalità, vicende, fatti, decisioni su cui si è edificata la vicenda umana, sociale, ecclesiale delle nostre terre.
Gusti, costumi, decisioni, formazione di lontani Vescovi che ritroveremo più vicini di quel che pensiamo. Grazie a quanti, come il prof. Armando Pepe, collaboratore della nostra testata investono risorse e capacità per restituire al territorio strade sicure di riflessione collettiva.
Perché dobbiamo conoscere le fonti della nostra storia?
di Armando Pepe
Non per fare l’apologia della storia locale, ma spesso si è creduto – a torto o a ragione – che fosse una cosa per addetti ai lavori, scritta in libri di bassa tiratura e in modo paludato. Invece a voler – e saper – leggere tra le righe le scoperte che si presentano davanti ai nostri occhi sono molteplici.
Nello specifico, proviamo a discutere di storia della Chiesa e solamente in ambito diocesano. Attraverso i secoli e con mutate sembianze gli aspetti costanti di un rinnovato interesse per la storia del territorio e delle istituzioni periferiche fu già capita da Edoardo Grendi per Genova o Aurelio Lepre per Napoli.
Ma degli avvenimenti della nostra Diocesi, il cui status non è secondario rispetto alle altre di medesima estensione o importanza, cosa ci rimane ora?
Proviamo a chiudere gli occhi riandando con l’immaginazione nel passato.
A Piedimonte il palazzo ducale dominava con l’imponente presenza, che aveva un valore non solo fisico, la vita cittadina. L’episcopio si trovava poco più giù, nell’attuale piazza Ercole d’Agnese.
La distanza tra le due residenze, l’una rappresentante il potere temporale, l’altra quello spirituale, sia pur minima- in effetti poche decine di metri- si dilatava enormemente, qualora si fosse colto il recondito senso che stava dietro alle azioni del duca o del vescovo.
Facciamo un primo esempio, l’epica lotta tra il duca Alfonso II di Laurenzana e il vescovo Girolamo Maria Zambeccari.
I due, diametralmente opposti per carattere, avevano la consapevolezza del proprio ruolo. C’è del favoloso nelle rispettive biografie, oppure leggendo ciò che uno diceva dell’altro: il duca mal tollerava l’intransigenza da vecchio inquisitore di Monsignor Zambeccari, mentre quest’ultimo, nelle proprie corrispondenze, con la Santa Sede o con altri e alti prelati, dipingeva un personaggio – il giovane Alfonso II – intemperante, cercatore di improbabili tesori nelle chiese, e ribaldo ai limiti della prepotenza- come si dirà in un mio prossimo articolo.
Sia detto a difesa del giovane e incontenibile aristocratico, egli fu un imprenditore sagace e di successo, avveduto e dinamico, tant’è vero che fece costruire la strada “nuova” per Alife, nuova sì ma di 400 anni. Abbiamo avuto vescovi che si sono spesi tantissimo nell’azione pastorale, come Monsignor Pietro Paolo de’ Medici, canonico della cattedrale fiorentina di Santa Maria del Fiore, intrecciato con legami più o meno stabili, con la storia della famiglia granducale toscana, morto a Castello del Matese mentre soccorreva gli appestati, un vero simbolo di pietà cristiana e vivido interprete del Vangelo.
Ricordiamo anche Monsignor Domenico Caracciolo e la sua misteriosa fine, forse svelabile tenendo conto dell’attrito che intercorreva tra lui e Francesco Grimaldi, marchese di Pietravairano, Raviscanina e Sant’Angelo.
Come dimenticare poi i Vescovi Giuseppe de Lazara e Angelo Maria Porfiri? Il primo fu un vero uomo di cultura, poliedrico e onnivoro, in contatto con storici, artisti, antiquari, se solo consideriamo che visse in una Roma effervescente, quella del Bernini e del Borromini, ed essendo parroco in San Lorenzo in Lucina frequentò il cardinale Gaspare Carpegna, il cui omonimo palazzo è attualmente una delle sedi del Senato della Repubblica.
Monsignor Angelo Maria Porfiri fu l’autore del ritrovamento delle spoglie di San Sisto I che vennero portate in processione notturna per Alife, alla presenza anche dell’abate di Santa Maria Maddalena, vestito con la mitra. Una storia epica e antica ma sempre affascinante.
Per volontà dell’autore, in occasione della presentazione del libro, il ricavato della vendita dei volumi sarà devoluto alla Caritas diocesana.
INTERVISTA / “Relazioni ad limina dei vescovi della Diocesi di Alife” parte seconda