Matese. Tra moderno e contemporaneo
Entriamo nel cuore della città di Piedimonte Matese, dove domina sul borgo la Basilica di Santa Maria Maggiore Ave Regina Coelorum: torna a scriverci, per la rubrica Matese tra moderno e contemporaneo, il dottore Pasquale Simonelli, matesino sincero verso i luoghi che hanno fatto la storia locale e ormai da tempo presidente dell’Associazione Storica del Medio Volturno. Con lui ripercorriamo le tappe, attraverso la documnetazione d’archivio, che hanno portato la “primitiva chiesa” da “insigne collegiata” a “basilica minore”.
La primitiva chiesa di Santa Maria Maggiore
La storia di questa collegiata, più volte dibattuta nel corso dei secoli, non è una curiosità accademica, ma è la storia di una chiesa con i suoi officianti, che va di pari passo con la storia e lo sviluppo di Piedimonte. Un documento del 1833, capitatomi tra le mani, traccia alcuni eventi relativi alla storia della «vera ed insigne collegiata della chiesa di Santa Maria Maggiore di Piedimonte, cui è sottoposta la prima ed unica dignità sotto il titolo di arcipretura, di cui è decorata la collegialità medesima».
Dalla curiosità è nato il desiderio di raccontare e collegare tra loro gli eventi che, nel corso dei secoli, hanno consentito di trasformare una semplice chiesa in una basilica. Dante Marrocco ne parla sia nella Storia di Piedimonte che nella storia del Vescovato Alifano e noi facciamo spesso tesoro delle sue notizie che,anche in questo caso, mi sono state utili per tracciare, in maniera organica, la storia di Santa Maria Maggiore.
L’esistenza del clero collegiale nelle chiese di Piedimonte e dei suoi villaggi (Castello, Sepicciano, San Gregorio e San Potito) è antichissima. Prima del XV secolo le chiese erano servite dai «Preti beneficiati» ossia «Partecipanti» inscritti ad esse. Tutti costoro erano subordinati all’«Archipresbyter Terrae Pedemontis» [arciprete della Terra di Piedimonte], il quale, allorché acquisiva tale carica, prendeva anche possesso in ciascuna di dette chiese, e da tutto il clero esigeva obbedienza. Le piccole chiese che diedero origine alla Collegiata di Santa Maria Maggiore erano: Santa Maria, Sant’ Arcangelo, Santa Maria degli Angeli, San Benedetto [la Pietà], S. Pietro [incorporata in S. Domenico] e S. Caterina presso il borgo di San Potito.
Da chiesa a collegiata
L’origine della chiesa di Santa Maria Maggiore è antica e il riordinamento di un collegio curato, che si trova istituito nella stessa, risale al principio del XVI secolo. La posizione al centro di Piedimonte, nei pressi del palazzo ducale, la maggiore antichità rispetto alle altre chiese, gli ornamenti e la bellezza architettonica, la facevano preferire alle altre. Per le suddette ragioni, il vescovo Angelo Sanfelice, nel 1417, stimolato dalla contessa di Fondi – moglie del principe di Piedimonte Cristoforo Gaetani – e dai rappresentanti dell’Università, decise di porre ordine (con regole e disciplinari) nel clero, che in quel periodo un po’ caotico si componeva di «Beneficiati» – di cui alcuni con obbligo alla cura delle anime, altri senza tale obbligo- e di «Preti semplici» – non incardinati in nessuna chiesa. La saggia decisione di monsignor Sanfelice fu quella di distribuire il clero in quattro chiese, fra le quali Santa Maria Maggiore, che fu denominata «la prima». Monsignor Sanfelice, definì tutti i punti disciplinari in diversi «Statuti»; con essi fu provveduto alla buona amministrazione della cura della anime, al decoro delle funzioni ecclesiastiche, alla condotta dei sacerdoti, e alla amministrazione delle rendite in ciascuna di dette chiese, che furono riunite in massa comune. Nonostante Santa Maria Maggiore venisse di fatto considerata insigne collegiata dai vescovi, nel corso del XVI secolo si faceva notare che per adempiere un decoroso servizio era insufficiente il numero dei suoi canonici. Mancava in effetti la presenza di un capo che avrebbe dovuto dare prestigio alla collegiata e per di più che avrebbe dovuto presiedere stabilmente il capitolo e, come tale, avere il posto, l’onore e le prerogative di dignità arcipretale. A sostegno di tale obiettivo operò senza risparmio monsignor Giovanni Battista Santoro. A tutto ciò si aggiunge che Piedimonte, dopo il 1560, cominciava a divenire sede del vescovo di Alife. D’altra parte Alife aveva « solo 56 fuochi, rimaneva in luogo desolato, di tristo aere, nella distanza di tre miglia dalla residenza ordinaria del Vescovo». Non bisogna trascurare che, data la vicinanza della chiesa di Santa Maria Maggiore all’Episcopio, quei sacerdoti surrogavano nelle sacre funzioni i canonici della cattedrale.
Collegiata insigne
Avendo ottenuto nel corso dei secoli vari riconoscimenti che elevarono Santa Maria Maggiore a prima dignità arcipretale, mancava ancora, per un lustro maggiore, il riconoscimento di «Collegiata Insigne». Fu presentata alla Sacra Congregazione dei Riti un’ampia documentazione di tutte le prerogative che possedeva Santa Maria Maggiore per acquisire tale titolo. Dalla Sacra Congregazione furono esaminate e discusse tutte le condizioni ritenute indispensabili per la elezione a collegiata insigne. Finalmente, il 9 luglio del 1650 giunse l’agognato riconoscimento, con decreto del Supremo Tribunale della Curia Romana, che Santa Maria Maggiore era «Collegiata vera ed Insigne». La dichiarazione del riconoscimento fu confermata nel 1660 da un Breve Apostolico di papa Alessandro VII.
Al provvedimento definitivo seguì un’antipatica scia di ripicche, espressione di una rivalità mai sopita. L’altra collegiata, la Santissima Annunziata di Vallata, unita a quella di Santa Croce di Castello, impugnarono il riconoscimento di Santa Maria Maggiore, producendo reclamo presso il Tribunale della Segnatura di Grazia, e la causa fu avocata presso la Sacra Rota. Il reclamo fu rigettato da quel tribunale. Difensore di Santa Maria Maggiore fu il celebre cardinale napoletano Giovanni Battista De Luca. Una dichiarazione, emanata dalla Sacra Congregazione dei Riti il 21 gennaio 1662, imponeva alle parti contraddicenti, cioè Vallata e Castello, un «perpetuo silenzio». Questa dichiarazione fu confermata in maniera definitiva con Breve Pontificio di papa Innocenzo XII, promulgato il 4 giugno 1692.
Tuttavia la Collegiata dell’Annunziata, nonostante il silenzio imposto, continuò a protestare per la precedenza nelle processioni. Si ricorse al Trono di Napoli, ma Ferdinando IV, con Real Dispaccio del 27 luglio 1781, ordinò che la collegiata di Santa Maria Maggiore seguitasse a godere di tutte quelle onorificenze che le erano state attribuite dai Brevi Pontifici del 1660 e 1662, sebbene non fossero stati muniti di Regio Exequatur, come viene espressamente fatto notare.
Nel febbraio del 1832 a causa della morte di Don Carlo Ragucci, l’arcipretura di Santa Maria Maggiore rimase vacante. Dovendosi procedere alla nuova nomina, il vescovo di Alife monsignor Carlo Puoti, in conformità al Concordato tra la Santa Sede e il Regno delle Due Sicilie del 16 febbraio 1818, che dichiarava «la prima dignità della chiesa collegiata sempre di libera collazione della Santa Sede (art. 10)», propose al reale ministro segretario di Stato degli Affari Ecclesiastici, di segnalare il soggetto che riteneva più meritevole, per ottenerne la collazione dal Santo Padre, previa la «Real Commendatizia». In appoggio a questa proposta, il vescovo consegnò al ministro degli Affari Ecclesiastici una serie di documenti relativi alla questione insorta, cioè a chi realmente spettasse procedere alla nomina.
Basilica
Mancava, a coronamento di tutti questi titoli, quello di Basilica. Il vescovo Luigi Noviello inviò una supplica a papa Pio XII, ricordando che Piedimonte era città residenziale del vescovo di Alife e Santa Maria Maggiore ne era la chiesa più prestigiosa. Il papa, sentito il parere del cardinale Carlo Salotti, prefetto della Congregazione dei Riti, la proclamò Basilica Minore. Il titolo non consente la qualifica di «pontificia», che spetta solo agli edifici di proprietà della Santa Sede.
Bibliografia
Anonimo, Breve esame della vera ed insigne collegialità della Chiesa di S.Maria Maggiore, Napoli 1833;
Anonimo, Catalogo dei vescovi di Alife e Telese, Manoscritto;
Giovanni Battista De Luca, Theatrum veritatis et justitiae, Venetiis 1706;
Dante Marrocco, Il vescovato Alifano nel Medio Volturno, Napoli, Tipografia Laurenziana 1979;
Dante Marrocco, Piedimonte Matese, Napoli, Tipografia Laurenziana 1980;
Armando Pepe Le relazioni ad limina dei vescovi della diocesi di Alife (1590-1659), Tricase, Youcanprint, 2017;
Gian Francesco Trutta, Cronaca di quattro secoli, In Napoli 1761;
Gian Franceso Trutta, Dissertazioni Istoriche delle antichità alifane, In Napoli 1776.