Il convegno dello scorso 7 novembre ha visto medici e storici affrontare una delle problematiche più accese nel territorio altocasertano e matesino, ossia quali prospettive sono auspicabili per l’Ospedale Ave Gratia Plena di Piedimonte Matese. Il confronto è stato promosso da Cittadinanzattiva Matese, in collaborazione con gli Amici di Pericle e l’Associazione Storica del Medio Volturno e ha illustrato ai presenti un’immagine ad ampio raggio del Nosocomio matesino. Vi proponiamo la riflessione del dottor Rosario Di Lello, tra i relatori del Convegno, esperto appassionato di storia locale, il quale ricostruisce un excursus dettagliato sugli “ospedali” della Diocesi attraverso i secoli, definendo il ruolo di prim’ordine svolto dal Presidio piedimontese nell’assistenza agli ammalati. Il racconto si arricchisce grazie al ricordo degli anni che furono, di chi ha prestato servizio presso l’Ospedale di Piedimonte fino al 1997, lasciando “una struttura in espansione”. E oggi?
di Rosario Di Lello
“Ebbene, l’influsso della cultura greca e poi di quella romana nel Sannio e i ruderi di consuete costruzioni di pubblica e privata utilità, quali templi, teatro, anfiteatro, acquedotti, terme, mausolei e criptoportici della illustre e rinomata Alife dell’Evo Antico, venuti alla luce, mi inducono a ritenere che, oltre 1544 anni or sono, da oggi, vi sia stato, così come in altre città d’allora, almeno uno di quei complessi, definiti genericamente valetudinari, nei quali gli addetti, sacerdoti o meno, prestavano accoglienza e, se necessario, trattamento terapeutico, a quanti ne avessero avuto bisogno. Nel corso del Medioevo, ossia dall’anno 476 al 1492, e in parte del successivo Evo Moderno, i cosiddetti ospedali, a volte annessi ad enti religiosi, di solito conservarono, in una, le caratteristiche originarie del nosocomio, per il ricovero e la cura dell’infermo, e dello xenodochio, per l’ospitalità al povero e al pellegrino. Al riguardo, ho trovato notizie concernenti anche paesi della Diocesi alifana (2) nei quali, però, fatta eccezione in parte per Piedimonte, le dette strutture non esistono più.
Di Ailano si sa che un ospedale per la cura degli ”infermi”, venne annesso al convento di Sant’Antonio di Padova, sorto, per il monastico Ordine dei Crociferi, a poca distanza in via Cristo; nel 1656 papa Alessandro VII abolì l’ordine e ne destinò i beni in opere pie, sicché quelli di cenobio e chiesa passarono al seminario di Piedimonte ed ebbe inizio la decadenza e quindi la fine del Nosocomio. Uno xenodochio, “casetta per pellegrini e pezzenti”, riscuoteva una piccola rendita poi incorporata alla Cappella del Purgatorio.
Per Alife, i Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, poi di Rodi e quindi di Malta, possedevano un ospedale poco fuori Porta Benevento, ad Oriente, nei pressi del mausoleo trasformato in chiesa di San Giovanni, ed uno xenodochio, probabile lazzaretto – all’occorrenza – sempre ad Oriente, a circa 2 km, nella contrada San Simeone; di un terzo ospedale, denominato delle Fratarie, annesso alla chiesa di Santa Caterina, è stato scritto già nel ‘400. In Letino, mentre la presenza di uno stabile per ricovero e cura si deduce dalla locale Cappella dell’ospedale, il posto si desume dal toponimo Speràle, cioè spedale, al presente tra piazzetta Revòta, via Roma e via Manzoni. Attivo ancora dal 1739 e classificato nel 1834 “Ospedale civile”, non v’era più alla fine del secolo.
A Prata, la Cappella di San Sebastiano dell’Ospedale provvedeva ad un rifugio per malati poveri; nel 1873 venne amministrata dalla Congrega locale. Anche Pratella aveva una Cappella dell’Ospedale che, è probabile con luogo di assistenza, nel 1871 passò alla Congrega di Carità di Ciorlano. In Raviscanina, nell’ultimo ventennio del 1500 era stato costruito un ospedale accanto alla chiesa della SS. Annunziata. Nel 1641, risultò privo di letti, medici e farmacista, ragion per cui i sofferenti, riferimento interessante forse per consimili circostanze, venivano trasferiti altrove a carico dell’Università. A Valle Agricola, la chiesa della Santa Croce, eretta dalle fondamenta ad opera dell’Università, assunse il titolo di Annunziata quando le venne annesso l’ospedale; tanto da fonti storiche. Dalla tradizione popolare a memoria d’uomo si apprende che in località Croce, di fronte all’omonima Cappella, in un fondo rustico denominato Gliù speràle, ossia l’Ospedale, stava il Lazzaretto in cui trovavano ricoveo i malati terminali (quelli gravi?); altro Lazzaretto è verosimile per epidemie stava in località Vignale.
Maggiori notizie si hanno per Piedimonte, fin dal Medioevo. In Castello, allora casale, stava una “Casa degli infermi”; non è improbabile che, rendendola superflua, ne abbiano cagionato la fine le due strutture sorte nel capoluogo. Infatti, per volere di Sveva Sanseverino, pronipote di san Tommaso d’Aquino e contessa di Piedimonte, vi era stato costruito, nella seconda metà del ‘300, insieme a convento, oggi museo, e chiesa, oggi di San Domenico, “un ospedale” che fungeva “anche da ospizio e ricovero” per pellegrini, poveri e vecchi e che, “con due stanziole rustiche”, sopra le quali correva la scala maggiore, dava nel chiostro piccolo; nel chiostro grande dava la spezieria, cui risultavano aggregati il giardinetto dei semplici per la produzione di erbe medicinali e il laboratorio farmaceutico. Il tutto funzionava ancora nel ‘700. Altro ospedale lo volle Nicola Vincenzo Costantini che, con testamento del 1616, donò alla cappella dell’Annunziata, Ave Gratia Plena, e nei pressi della stessa, in rione Vallata, casa e altri immobili, “per servizio delli infermi”. Cinque anni dopo, Marcantonio de’ Messere lasciò al sodalizio fabbricati “per fare camere da tenere altri sei letti”. Intorno alla metà del ‘700, l’Ospedale ricoverava pazienti, vi esercitavano, a stipendio, un medico e un chirurgo e i padri Carmelitani vi celebravano messa, a titolo gratuito.
Eppure, tempi ed eventi non furono sempre favorevoli. Negli anni del Decennio francese (1806-1815) lo Stato soppresse lo xenodochio domenicano e ne incamerò i beni; l’Ospedale A.G.P. invece perse l’autonomia amministrativa. Con l’Unità d’Italia, il Consiglio comunale di Piedimonte ne concentrò la gestione nella Congregazione di Carità, sicché la mancata autogestione e l’utilizzo dei fondi anche per ragioni diverse quali, ad esempio, la sovvenzione dell’asilo d’infanzia, le riparazioni e le ristrutturazioni dell’edificio, ne ridussero il benessere e lunghi furono ”i periodi in cui visse solo di nome; di fatto, languì”; emblematici per quella situazione, si rivelano l’impiego soltanto del medico, ma stipendiato dall’Università, e il caso della brigantessa E.P. che, ferita da carabinieri, nel 1863, venne ricoverata e, dopo quattro giorni di atroci sofferenze, si appurò, ma in seguito all’autopsia, che era morta perché un proiettile le aveva trapassato il torace e il polmone sinistro procurando copiosa emorragia e infezione. Nel 1879, il vescovo Barbato Pasca lasciò larga parte del suo patrimonio all’istituto, al fine di rendere migliore il trattamento dei degenti.
In seguito – nel giugno del 1937 – la gestione passò all’ECA, Ente Comunale di Assistenza e non pare siano stati registrati segni di ripresa, fino agli anni Quaranta. Nell’ottobre del ’43, quando le truppe alleate entrarono in Piedimonte, nel corso del conflitto mondiale, l’urgenza di ricovero e assistenza per sfollati, sinistrati e feriti e, perciò, il buon funzionamento dell’Ospedale costituirono una questione complessa, delicata e non rinviabile; pertanto, nel gennaio successivo il governo militare alleato ne impose l’autonomia amministrativa e i rappresentanti dei comuni di Castello, San Gregorio, Gioia, Sant’Angelo, Raviscanina, Ailano e Valle Agricola lo elessero Ente morale. In febbraio passò da Infermeria a ospedale provvisorio di III categoria.
Le cose andarono sempre meglio e dal 1945 vennero aperte due sale di degenza per feriti e due per malati, una per maternità e una per bambini, due stanze a pagamento, un laboratorio analisi uno radioscopico, poi radiologico, oltre ad altri vani per servizi vari. Crebbe, via, via, l’organico sanitario, con primario chirurgo e assistenti, con ostetrico, cardiologo, otorinolaringoiatra e ortopedico con consulente neurologo; crebbero il personale ausiliario, il movimento degenti e le giornate di permanenza; tanto, per “l’unico determinato ideale della ricerca dei mezzi per la vita” nel valore dell’Ospedale. L’11 febbraio del 1955 fu approvato il nuovo Statuto e decretato il decentramento dell’Istituto; nel ’58, il medico provinciale, vista la rispondenza ai requisiti di legge, decretò che l’infermeria civile AGP, venisse classificata ospedale di 3ª categoria dal febbraio del ’62. Si riparlò di ampliamento, ma si ritenne opportuno costruire ex novo. Nel ’71, l’Ospedale, fu classificato Ente ospedaliero e intanto vi si continuò a lavorare, serenamente e con successo.
Qualche ricordo, personale, di quegli anni? Tre, fra i tanti: rammento che almeno un sanitario, a turno, garantiva assistenza 24 ore al giorno e chiamava, se necessario, lo specialista reperibile. Il primario chirurgo, l’aiuto ostetrico e l’assistente chirurgo estrassero un ago dal cuore di una bimba e l’intervento destò tanto scalpore che venne RAI TRE a intervistarci; dopo una settimana, la paziente, un vero angioletto, volava, correndo, per la corsia. Qualche tempo dopo, l’ostetrico e l’assistente medico aprirono, d’urgenza, il torace di un uomo ferito da una coltellata e, con risultato positivo, gli suturarono il cuore. L’edificio, al presente in
Il 22 novembre del 1974 malati e personale passarono nel nuovo Ospedale di zona, in via Matese. Che dire in merito? Nel 1989, nel concludere un articolo su L’assistenza ospedaliera nella valle del Medio Volturno, rilevai: “Altri ne hanno già rivisitato i documenti ma è troppo presto per scriverne la storia, serenamente”. A distanza di un trentennio, in questa sede mi sembra opportuno almeno aggiungere, per quel che rammento: “Nel 1997, andando in pensione da chirurgo, ho lasciato un ospedale in espansione e produttività notevoli; erano attivi il Pronto Soccorso, la Radiologia, l’Ortopedia donne e uomini e la direzione sanitaria, al piano terra; la Medicina generale con Cardiologia e Infettivologia, donne e uomini, al primo piano; la Chirurgia generale con oncologia associata, la sala operatoria, la Rianimazione e il laboratorio analisi, al secondo piano; l’Ostetricia, la Neonatologia e la Pediatria, al terzo piano; l’Urologia, donne e uomini, e la dialisi, al quarto piano. V’erano il consulente di Otorinolaringoiatria e di neurologia. I posti letto ammontavano a 304, in maggior numero di medicina e di chirurgia, 52 per ciascuna. I reparti risultavano sempre completi quanto a numero di degenti. Gli organici erano altrettanto completi di primari, aiuti e assistenti, infermieri e portantini. V’era la Scuola infermieri. Si lavorava nella stima, nella considerazione e nel rispetto, reciproci, tra tutti: personale e malati. E oggi? Poiché non so rispondere, gradirei che altri, serenamente, lo facesse per me; adesso!
Nota bibliografica
1– Cfr. clarusonline.it (7-11-2019), 2 – Gioacchino F. D’Andrea, Il convento di S. Tommaso d’Aquino (S. Domenico) di Piedimonte Matese, in un registro del secolo XVIII, in “Annuario 1977, Piedimonte Matese, A.S.M.V. (1977) pp. 73-92. Rosario Di Lello, Giuliano R. Palumbo, Brigantaggio sul Matese. 1860-1880, Benevento, Museo del Sannio, 1983, p.30, nt.37. Rosario Di Lello, L’assistenza ospedaliera nella storia del Medio Volturno, in “Annuario 1989”, Piedimonte Matese, A.S.M.V., (1989) pp. 143-194. Id, Gli ospedali della diocesi di Caiazzo dalle relazioni delle visite ad Limina, in “Archivio Storico del Caiatino”, Caiazzo, A.S.C. (1991) pp. 33-42. Id., Benedettini, la carità silenziosa, in “Nuova Gazzetta di Caserta” (17 ottobre 1999) p. 6. Id., Gli Ospedalieri ad Alife e a Caiazzo, in “Clarus”, Diocesi di Alife-Caiazzo, I, 4 (2001) p. 20. Francesco S. Finelli, Città di Alife e diocesi, Scafati, Rinascimento, 1928, p. 210. Angelo Izzo, per Valle Agricola, email 18 novembre 2016, ore 9,56. Dante B. Marrocco, Il Vescovato Alifano nel Medio Volturno, Piedimonte Matese, A.S.M.V., pp. 96-98 e 122. Id., Piedimonte Matese, ivi, A.S.M.V., 1980, pp. 237 e 265. Raffaello Marrocco, Memorie storiche di Piedimonte d’Alife, ivi, La Bodoniana, 1926, p. 285, 306-307. Antonio M. Napoletano, Ecclesia Sancti Angeli. De Ravecanina, Piedimonte Matese, ikona, 2005, p. 180. Giuliano Palumbo, Cronologia del brigantaggio sul Matese, in “Annuario 1977”, Piedimonte Matese, A.S.M.V., pp. 190-233, nt. 47. Gianfrancesco Trutta, Dissertazioni istoriche delle antichità alifane, Napoli, Simoniana, 1776, pass. Riccardo U. Villani, La Terra dei Sanniti Pentri, Curti, Stampa Sud, 1983, pp. 222-224,281-282,366.