Matese. Tra moderno e contemporaneo
Torniamo a sorprenderci con racconti e ricerche inedite.
Se anche fosse nota la cronaca di certi avvenimenti, questa volta, la proposta di Armando Pepe mette in ordine e in sequenza precsi accadimenti come la contesa del Lago Matese “centro nevralgico del sistema economico del comune di San Gregorio”, portando sulla scena nomi, azioni legali, studi di settore…
È curioso immaginare come come fossero contesi particolari interessi economici! Storia che quasi sempbra stridere con le contese di oggi sulle responsabilità mancate e mancanti che fanno del lago (e degli ambienti circostanti) un prezioso patrimonio ambientale poco valorizzato e poco curato.
Il Lago conteso
di Armando Pepe
Introduzione
Fino alla metà del XVIII secolo il Lago Matese, centro nevralgico del sistema economico del comune di San Gregorio, basato soprattutto sull’allevamento ovino, rientrava nei possedimenti della famiglia feudale dei Gaetani d’Aragona, principi di Piedimonte d’Alife, insieme ai casali di Castello, San Gregorio e San Potito che, diventati municipi autonomi, rivendicarono, con lunghe liti giudiziarie, confini e parti del territorio per incrementare il proprio demanio comunale finché nel XIX secolo il nuovo re di Napoli, Giuseppe Bonaparte, dichiarato abolito il feudalesimo, ridefiniva in termini vaghi i beni feudali, allodiali e demaniali, cosicché il lago e le relative adiacenze venivano divisi tra la famiglia Gaetani e i comuni di San Gregorio, Castello e Piedimonte, senza però porre fine alle liti per i confini, per cercare di dirimere le quali furono emesse diverse ordinanze, ricordateci dal consigliere Cesare Colletta nel proprio rapporto all’intendente di Terra di Lavoro.
Le sentenze
Molto interessante la successione delle sentenze che cercano di fare chiarezza intorno alla promiscuità del demanio del Matese: nel 1810, esso fu definito di natura ex feudale e da ripartirsi fra i comuni di Piedimonte, San Potito, Castello, San Gregorio e la famiglia Gaetani; nel 1813 il segretario generale dell’intendenza di Terra di Lavoro, Francesco Saverio Petroni, regio commissario ripartitore, assegnava i 15/24 del demanio ai comuni e i restanti 9/24 al duca Onorato Gaetani; nel 1822 era approvato un protocollo d’intesa fra l’ex feudatario e i comuni, meno San Gregorio; nel 1852 don Onorato Gaetani era nominato giudice per una nuova divisione demaniale. Piedimonte designava arbitro don Luigi Pitò, San Potito don Errico Sanillo, Castello don Andrea de Nardis, San Gregorio don Gaetano del Giudice. I tecnici nominati per la ripartizione erano don Giacomo Torti, don Marcellino Pietrosimone, don Felice Ragucci, don Francesco Iasimone e perito dirimente il capitano topografo don Giuseppe Bifezzi, i quali al termine della loro opera fissarono i confini delle quaranta contrade del demanio. Purtroppo non si giunse ad una soluzione definitiva e nel 1854, non trovandosi un accordo tra la famiglia Gaetani e i comuni, Colletta invitò le parti a sottoporre la questione al giudizio del consiglio d’Intendenza, che alla fine di quell’anno emise una nuova ordinanza per la divisione del demanio del Matese, stabilendo che il lago, fissate le due porzioni, degli enti municipali e dei Gaetani, rimanesse in comune. In particolare, a Piedimonte spettava la metà del Lago, valutata per il capitale di ducati 740, ma a scapito degli abitanti di San Gregorio che, vivendo di pastorizia, avevano bisogno di estesi pascoli, i migliori dei quali si trovavano intorno al lago. Nel 1855 fu resa esecutiva l’ordinanza sulle adiacenze del lago spettanti ai Gaetani, causando l’agitazione degli abitanti di san Gregorio.
La sommossa
Dai dispacci tra il sottointendente di Piedimonte, l’intendente di Terra di Lavoro e la polizia borbonica si può ricostruire la dinamica degli eventi che portarono alcune centinaia di persone armate di asce, roncole, vanghe e pali a protestare minacciosi, senza tuttavia gravi conseguenze grazie all’accorta opera di mediazione dei gendarmi. Il quadro della mancata rivolta diventa più dettagliato grazie ai rapporti degli ufficiali della gendarmeria reale di Caserta che indagavano sugli agitatori di popolo, identificando Giuseppe Esposito e Liberato de Lellis. L’eco dei fatti accaduti nell’entroterra giunse a Napoli immediatamente, nel giugno 1855, presso il ministero e reale segreteria di stato della polizia generale. Il direttore del secondo ripartimento del ministero della Polizia trasmise all’intendente Demarco l’ordine di condurre in carcere i facinorosi capipopolo, che però si erano nel frattempo dati alla macchia e sottolineando le negligenze del l’intendente Conte Viti sulla fuga di notizie che aveva favorito la sommossa. Ulteriori direttive si impartivano all’intendente Demarco, che avrebbe dovuto condurre le indagini di concerto con il procuratore generale del re presso la gran corte criminale di Santa Maria Capua Vetere. L’intendente Demarco capiva che la divisione demaniale lasciava accesi gli animi, specialmente dei pastori di San Gregorio, che si vedevano limitare i pascoli disponibili e chiedeva al Viti un controllo incessante della situazione, in modo tale che a quest’ultimo non sfuggisse di mano l’ordine pubblico, visto che come apprendiamo dal Viti stesso, qualcuno aveva sparato a un guardiano del Gaetani. Il conte Viti non lasciò nulla d’intentato nelle indagini, dimostrando la propria solerzia, ma senza approdare a nulla di concreto. Non si riuscì a individuare chi effettivamente avesse sparato un colpo di fucile contro il guardiano del conte Gaetani. Il Viti osservava costantemente anche i più piccoli movimenti della vita comunale di San Gregorio, compresi quelli delle autorità locali, preposte al mantenimento dell’ordine pubblico, che in quei giorni, per motivi familiari, si erano assentati. Alla fine di giugno dei due fuggiaschi l’Esposito si era consegnato spontaneamente mentre il De Lellis circolava liberamente, avendo ottenuto dal Capo Urbano un salvacondotto per presentarsi entro otto giorni alla Gran Corte Criminale di Santa Maria Capua Vetere, sottraendosi, però, in questo modo, all’arresto. Non sappiamo se ci furono un processo e un’eventuale condanna a carico degli imputati, ma certamente eclatante fu che gli avvenimenti del Matese fossero giunti direttamente all’orecchio del re Ferdinando II, che non potè fare a meno di esternare, all’intendente Demarco, il proprio biasimo per l’incapacità mostrata dalle autorità locali nel non aver fatto nulla per prevenire la sommossa.
Poi
Fino al termine del secolo XIX, anche se continuarono le diatribe tra i Gaetani e i comuni di Piedimonte, Castello e San Gregorio, la suddivisione del Lago Matese rimase invariata. Il 20 novembre 1905 il Credito Ticinese stipulò un contratto di acquisto, dalla famiglia Gaetani dell’Aquila d’Aragona, della metà del lago con le relative adiacenze. Il Credito Ticinese, a sua volta, fornì alla Società Meridionale di Elettricità (S.M.E.) parte dei capitali necessari per la costruzione dell’ impianto idroelettrico di Piedimonte.
Fonti e bibliografia
Archivio di Stato di Caserta, Ex Intendenza Borbonica, Alta Polizia, busta 179, Anno 1855 «San Gregorio. Sommossa dei contadini che non vogliono cedere la terra al Conte di Laurenzana».
Armando Pepe, San Gregorio Matese dall’età liberale al fascismo: 1912-1926, Macerata, Edizioni Simple 2015.