Raffaele Abbraccio, barbiere dal 20 dicembre 1969.
Cinquant’anni per il lavoro, e tanta voglia di continuare: a dargli sempre nuove motivazioni la passione per quello che fa e un rapporto privilegiato con la clientela, che come lui stesso ha raccontato “ti affida i problemi, ogni sfogo, le soddisfazioni personali…”.
E se c’è un segreto per spiegare una carriera così lunga e piena di soddisfazioni, lui dice che tutto sta nella “riservatezza e nella serietà”.
Lo abbiamo incontrato nel suo salone, ad Alife, nel giorno di questo importante anniversario, per farci raccontare del suo mestiere, della bellezza e delle difficoltà di essere piccolo artigiano in un centro storico ormai svuotato di servizi e di presenze.
La famiglia (la moglie Assunta Occhibove, i figli Lucia e Giovanni, e i generi Gianluigi e Maria) ha voluto riservargli questa sorpresa, e quindi di permettergli un momento di celebrità, meritato premio per un lavoro portato avanti con dedizione, accompgnato dall’unico costante pensiero: rimanere ad Alife, e rimanere fedelmente barbiere.
Tra emozione e riso ha parlato dell’inizio di questa avventura, ancora minorenne e delle prime soddisfazioni economiche; dell’amore per Assunta quando aveva appena 16 anni, e del servizio militare: “volevano farmi restare a fare il barbiere, come militare o anche come civile; e me l’hanno chiesto anche dopo che ho lasciato il servizio… Ma io dovevo ritornare qui, dai miei clienti”.
Ancora un tentativo di distoglierlo da Alife, quando viene chiamato per un impiego pubblico durato meno di una settimana: “mi mancava il contatto con la gente, le chiacchierate…”, e quindi di nuovo nel suo salone, che come lui stesso racconta con orgoglio, “ha visto passare intere generazioni di alifani”. E del resto la presenza da lui, di giovani e anziani conferma ceh è così: barbiere universale.
Si guarda a persone come lui con stima e ammirazione, perchè oggi tenere in piedi una piccola attività artigiana (e non solo) significa provarsi con il fuoco, e con l’incertezza di un’economia fragile, una burocrazia severa e “poche tutele da parte dello Stato per chi decide di investire”: lo stesso Raffaele lo spiega con rammarico pensando ai giovani che oggi si cimentano in lavori come il suo.
La sua bottega affaccia sulla strada principale della città, quella che percorre l’antico decumano dell’Alife romana; la si percorre facilmente e liberamente a piedi notando ormai, con palesata tristezza, le tante saracinesche calate una dopo l’altra nell’ultimo decennio. Inevitabile con Raffaele il commento su quanto accaduto, riconoscendo a lui l’autorevolezza, più che ad un politico, di poter dire della vita commerciale del suo paese perchè è lui, come tanti altri, ad aver generato la piccola economia locale: “Il nostro problema sono stati i grandi centri commerciali, la grande distribuzione…”.
Per uno come Raffaele che tra non molti anni potrà accedere con serenità al meritato riposo dal lavoro, conta eccome poter denunciare l’avanzata di un progresso che paradossalmente ha arretrato la vita dei piccoli centri come Alife impedendo soprattutto ai più giovani di pensare con serenità al futuro, costruito sulla scorta di lavori di qualità e di buone relazioni anche nei vicoli del paese. La sua è la ribellione dei “piccoli”, di quelli con il cuore grande e la passione altrettanto grande per poter dire a testa alta ciò che va o non va…
“Abbiamo resistito e resistiamo; e sento ancora la voglia di lavorare”, le parole di un artigiano che ha fatto del suo lavoro uno scambio continuo: lui a dare rispetto e professionalità, i clienti a restituirgli “fiducia e onore”, come lui stesso racconta con gratitudine ed emozione.
Vale il suo esempio. Vogliamo pensare che sia così, che la tenacia della sua testa e la laboriosità di quelle mani, non siano un “segno” inascoltato.