Di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano
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Nm 6, 22-27; Sal 66; Gal 4, 4-7; Lc 2, 16-21
Il nuovo anno nella liturgia della Chiesa inizia con u tema di grande portata: il nome. Per la Scrittura il nome è, in qualche modo, l’alter ego della persona, dove c’è il nome lì c’è la persona, il nome contiene la realtà e la verità della persona. Dio ha il potere di dare un nome e di cambiare il nome; in nome nuovo, in tal caso, dice la missione e la realtà ricreata della persona. Il tema del nome oggi è chiaro nel testo del Libro dei Numeri che costituisce la seconda lettura di questa liturgia e nel passo dell’Evangelo di Luca che oggi ricordiamo per ricordare la circoncisione di Gesù all’ottavo giorno dalla sua nascita.
Il passo celeberrimo del Libro dei Numeri riporta la benedizione che i sacerdoti dovevano dare al popolo, la benedizione è porre il nome sugli Israeliti. Per tre volte questa benedizione (che Francesco d’Assisi amò tantissimo facendola sua!) ripete il nome del Signore. Per tre volte si ripete il Signore che sostituisce il sacro tetragramma che contiene il nome rivelato a Mosè al roveto ardente (Es 3,14). Invocare il nome di Dio nel culto, nella preghiera è un atto importante, è accettare di uscire da se stessi, è accettare di essere espropriati, è accettare di appartenere a Dio; questo diventa benedizione.
Se ci pensiamo anche noi cristiani iniziamo la nostra preghiera dicendo “Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” … e questo non è un modo come un altro per dare inizio alla preghiera o all’assemblea liturgica … è una dichiarazione forte e direi compromettente: è dire che quest’assemblea è composta da uomini e donne disposti ad un’uscita da sé, ad un’espropriazione, ad un’appartenenza vera e senza riserve a quel Dio di cui dicono il nome trinitario … per lo meno questo dovrebbe essere!
Porre questa benedizione del Nome all’inizio dell’anno solare è chiedersi onestamente come si vive e come si vuole continuare a vivere nel tempo nuovo che si apre dinanzi a noi. Questa benedizione che oggi risuona nelle nostre assemblee non parola beneaugurante, è parola di impegno … nostro e di Dio! Sì, perché Lui, il Signore, si è impegnato a rivestirci del Nome che è la sua presenza, Lui fa alleanza con noi ma noi, di contro, vogliamo e dobbiamo entrare “nel Nome” uscendo da noi stessi e dai nostri orizzonti, appartenendogli per essere nelle sue mani senza riserve. Così l’Alleanza si mette in moto e diventa benedizione per noi e per il mondo, diventa cioè ancora possibilità di presenza di Dio nella storia.
Nell’Evangelo al bambino nato a Betlemme viene dato il nome … quel nome che, nel racconto di Luca l’angelo ha consegnato a Maria e, nel racconto di Matteo, è consegnato nel sogno a Giuseppe. Il bambino si chiamerà Jeoshua, nome che contiene il nome di Dio ed il verbo salvare, in ebraico, yashà. Quel bambino, dice il suo nome, è nato perché per Lui, in Lui, Dio salverà! Il suo nome è il nome benedetto dinanzi a cui “ogni ginocchio si piegherà in cielo, in terra e sotto terra” (Fil 2,10) … è il nome nel quale solo c’è salvezza (cfr At 4, 10-12).
Nell’Evangelo di oggi, nell’ottava del Natale, viene dato al bambino il nome di Gesù contestualmente alla circoncisione della sua carne. Per la circoncisione Gesù è ebreo, entra nell’Alleanza che dovrà portare a compimento. La circoncisione di Gesù è atto di importanza capitale per la nostra salvezza, non si deve né obliare, né mettere in secondo piano; si deve ricordare che, perché circonciso all’ottavo giorno secondo le prescrizioni della Torah, Gesù salva! Questo perché è per quella circoncisione che Gesù è parte del Popolo santo ed è dunque legittimamente discendente di Abramo, di David e dunque Messia di Israele e salvatore del mondo! Sulla croce ci sarà la carne circoncisa del Figlio di Dio che è figlio dell’uomo e figlio di Israele; in quella carne circoncisa si compirà l’Alleanza definitiva con l’umanità. E non poteva essere diversamente perché Dio è fedele!
La Chiesa oggi, accanto a questo evento della circoncisione di Gesù, desidera riflettere sull’Incarnazione anche a partire dal più grande titolo mariano: Madre di Dio. Un titolo questo che, mentre dice la bellezza straordinaria di Maria e la sua altissima, unica dignità, dice in primo luogo qualcosa di Dio: si è fatto carne talmente nella verità che una donna può essere chiamata legittimamente Madre di Dio in quanto madre davvero di quell’uomo, Gesù di Nazareth che era il Figlio Eterno e dunque, come dirà la teologia cristiana, la seconda Persona della Trinità Santissima (Concilio di Efeso del 431); mandò il suo Figlio nato da donna, come scrive Paolo nel passo che oggi leggiamo della sua Lettera ai cristiani della Galazia. Insomma, Gesù di Nazareth era Dio e quando chiamava Maria mamma, diceva bene (mamma, però lasciamo che lo dica Lui noi diciamo a Maria Madre, senza sdolcinature fuorvianti!).
I temi di questa prima giornata dell’anno liturgico sono molteplici ma ci riconducono tutti alla vera carne del Figlio di Dio che nato da donna, entra nell’Alleanza con Israele e riceve il Nome che sarà salvezza per tutta l’umanità. In Gesù, lo dobbiamo dire, Israele compie la sua missione e vocazione: essere luogo di Dio per tutta l’umanità. Questo possiamo e dobbiamo dirlo con forza solo se non obliamo l’ebraicità di Gesù, condicio sine qua non del suo essere Messia e Salvatore del mondo.
Per noi, umanità di questo particolare momento storico, si apre ancora un tempo, questo nuovo anno di Grazia 2020. Starà a noi, discepoli di Cristo che viviamo questo tempo, di adempiere la nostra vocazione: essere ancora terreno per Dio perché l’uomo possa incontrarlo e portare a pienezza la sua verità umana. Parafrasando una celebre frase patristica vorrei dire: Dio si è fatto uomo perché l’uomo impari ad essere uomo. Guardando all’umanità del Figlio Gesù sarà possibile vivere da figli di Dio, anzi dovrà essere possibile molto di più: arrivare ad avere il volto del Figlio, tanto da essere ciascuno “il Figlio di Dio”!
Se lotteremo e lavoreremo per questo, l’anno che inizia sarà anno di benedizione.