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Matese, storie di lavoratori e diritti

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La condizione operaia nel Matese dopo la seconda guerra mondiale

di Armando Pepe

Gli anni di De Gasperi
Con rapida sintesi e sguardo da storico raffinato Miguel Gotor, riferendosi alla situazione determinatasi in Italia nel secondo dopoguerra, osserva che «nel maggio 1948 il liberale Luigi Einaudi divenne presidente della Repubblica. Nello stesso mese De Gasperi formò il suo quinto governo, composto da quattro partiti (DC, PSLI, PRI, PLI), avviando così una nuova formula centrista, ossia imperniata sul ruolo preponderante della Democrazia Cristiana, che sarebbe durata per un decennio (p. 176)», e la nazione, faticosamente ma con fervido slancio, riprese vigore e risorse dalle macerie. Nonostante le contrastanti visioni politiche tra democristiani da un lato e socialisti e comunisti dall’altro, l’ambito sindacale era rappresentato dall’unitaria Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL), da cui nel 1950 si sarebbero separate per divergenti sensibilità la Confederazione italiana sindacati lavoratori (CISL) e la Unione italiana del lavoro (UIL).

La CGIL unitaria, guidata dal dirigente pugliese Giuseppe Di Vittorio, celebrò il suo secondo congresso nazionale a Genova dal 4 al 9 ottobre 1949.

La condizione operaia nel Matese
Per discutere sulle condizioni del lavoro nel Matese si riunirono presso la Camera del Lavoro di Piedimonte, la sera del 29 e il mattino del 30 ottobre, tutti i carbonai della zona. I punti all’ordine del giorno, puntualmente sviluppati, aiutano a comprendere le rivendicazioni fatte proprie dalla classe operaia e le note dolenti pubblicamente denunciate. Innanzitutto, al primo punto, si constatava «la grave situazione economica in cui vivono le famiglie dei carbonai, degli operai, dei contadini, degli impiegati, degli artigiani della zona di Piedimonte nel quadro della depressione economica dell’Italia intera». Al secondo punto, nell’affrontare i problemi inerenti alla sistemazione della manodopera, non facendo sconti a una marcata presa proprietaria che non rispettava i contratti collettivi di lavoro e non assicurava i propri dipendenti, l’assemblea decise di chiedere «alla commissione provinciale del collocamento di autorizzare i lavoratori di Piedimonte ad eleggere democraticamente la commissione comunale».

Sanità e previdenza
Un problema molto sentito era quello assistenziale, sia sanitario sia previdenziale, e l’assemblea prendeva atto che «gli industriali boschivi, ad onta di tutte le leggi, evadono i contributi assicurativi, poiché non assicurano all’INAM, all’INAIL e all’INPS la quasi totalità delle compagnie dei carbonai» e perciò «buona parte dei carbonai, non essendo assicurata all’INPS e non ricevendo le tessere assicurative per gli effettivi periodi di lavoro prestati», sistematicamente non otteneva pensioni d’invalidità e vecchiaia e/o indennità di disoccupazione.

Si sottolineava, per di più, che da un punto di vista strettamente sanitario «gli industriali non tengono sul luogo di lavoro i pronto soccorso, consistenti in cassette e barelle, con grave nocumento della salute dei lavoratori» e si chiedeva contestualmente al governo italiano che avesse provveduto «tramite la Cassa Mutua alla istituzione di tali posti di pronto soccorso, facendo poi versare agli industriali aliquote contributive per fronteggiarne le spese di mantenimento, ravvisata soprattutto la necessità e l’urgenza della riforma previdenziale».

Conclusioni
Per quanto concerneva il settore dell’industria boschiva, data la necessità di stabilire con i datori di lavoro un’intesa di massima a livello provinciale, si elesse una commissione-  formata da cinque operai (Luigi Esposito, Luigi Mainolfi, Michele Borrega, Leopoldo Marra e Antonio Miele)- «la quale dovrà preparare lo schema dell’accordo nel più breve tempo possibile e presentarlo all’approvazione dei lavoratori»; pertanto tutta la categoria si impegnava «a lottare strenuamente per ottenere la stipulazione di tale accordo».

Tirando le somme, l’assemblea, considerato che la CGIL «è la sola organizzazione dei lavoratori che può effettivamente tutelare i loro interessi», elesse un comitato organizzativo per preparare il congresso provinciale della categoria degli operai boschivi.

Per ultimo, dato che tutta la classe operaia era intenta «a lottare per la pace e per una vita libera e felice di tutti i lavoratori del mondo» si fecero voti in tal senso. Fu anche la lotta per la pace, dichiaratamente sostenuta dal Partito comunista italiano, una delle concause che fece deflagrare l’unità sindacale, disunita per una questione politica.

Fonte archivistica e suggerimenti bibliografici:
Archivio Storico della CGIL (in Roma), busta 4, fascicolo 39 «Caserta, 1949».

Miguel Gotor, L’Italia nel Novecento. Dalla sconfitta di Adua alla vittoria di Amazon, Torino, Giulio Einaudi editore 2019, p. 176.

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