Grazia Biasi – Contagiati di speranza, contaminati da proposte positive e sentimenti che consolidino questo tempo di maggiore disorientamento e accompagnino i silenzi a cui ci eravamo disabituati.
Contagiati di speranza perché l’ultima parola è quella che ci apre al futuro e non alla resa, non ad una visione catastrofica sull’irrimediabile…
Siamo gente di Vangelo e di gioia, noi!
Contagiati di speranza e di conseguenza “untori” di buon umore e di prospettive, di quelle che trasformano la vita e non soltanto in tempo di coronavirus.
Contagiati anche dalla voglia di restare insieme, paradossalmente nel tempo in cui la distanza fisica diventa necessaria per il bene di tutti, per il bene della vita.
Contagiamo di speranza!
Facciamolo con gli strumenti che abbiamo a disposizione, e che restano solo strumenti, ma umanizzati da quei contenuti che nascono dall’esperienza quotidiana, dalla preghiera, dalla formazione personale, dalla capacità di pensarsi e proporsi con parole e con fatti, sono quei contenuti frutto di un lavoro che coniuga cuore e vita, pensieri e testimonianza quotidiana spesa e riversata tra la gente, nelle famiglie, con i bambini o gli ammalati…
Sarà uno spazio riservato ai nostri sacerdoti, ai più giovani, ai più adulti, agli anziani. E sono volti e nomi familiari, per un sentito dire o per conoscenza, per aver collaborato con loro, o soltanto per un lontano ricordo: anch’essi in questa esperienza collettiva fuori dal comune, sono convocati ad esserci. Con la fatica, comune a tutti, di reinventarsi ma senza reinventare il Vangelo. Una fatica per la quale a tutti loro saremo grati…
Periodicamente questa rubrica accoglierà le loro riflessioni, i pensieri, i sogni: sarà una meditazione spirituale o una riflessione “attuale”, sarà il racconto di un uomo battezzato come me, come te, come tanti altri; innamorato di Dio come me, come te, come tanta altra gente.
Ma sarà la parola di un “chiamato” da Dio a servire, donarsi e donare il Vangelo.
Sarà un bagaglio di viaggio, prezioso e necessario.
Un anticipato Sabato Santo
Emilio Salvatore* – C’è un solo giorno dell’anno liturgico in cui la Chiesa fa digiuno eucaristico, ossia non celebra la Santa Messa. Ed è il Sabato santo. Come se, stupefatta dall’amore dello Sposo che giunge sino a dare l’ultima goccia di sangue ed impietrita dalla perdita dell’ultimo sguardo dell’Amato, sperimentasse anche sacramentalmente l’assenza del Signore.
Gesù lo aveva detto: “Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora, in quel giorno, digiuneranno” (Mc 2,20). Egli faceva riferimento alla sua morte, ovviamente, ma nella mente dell’evangelista era chiaro il riferimento all’attualità ecclesiale del suo tempo, alle difficoltà della missione e della persecuzione. Oggi, quelle parole assumono una luce tutta nuova, nel momento in cui a tanti cristiani è tolta la possibilità di partecipare alla mensa del Signore, crocifisso e risorto.
Le circostanze esterne, dettate dalle misure sanitarie preventive toccano proprio due dimensioni che giocano tutte sulla prossemica (vicinanza/distanza); la comunione sacramentale con il Corpo e Sangue di Cristo e la comunione con i fratelli nei gesti dell’accoglienza, dell’abbraccio, della vicinanza. La distanza sociale diventa una grande provocazione alla vicinanza spirituale.
Tali divieti possono indurci, naturalmente, a vivere la tristezza, la nostalgia del contatto, soprattutto per tanti fedeli, che, nonostante lo stillicidio di discorsi tendenziosi e la supponenza di tante interpretazioni alternative e, a volte, anche banalizzanti della Santa Messa, luogo massimo della comunione col Padre in Gesù Cristo e con i fratelli nello Spirito Santo, ancora partecipano alla Eucaristia domenicale e frequentano spesso anche le celebrazioni feriali con eroica fedeltà.
L’impossibilità della Celebrazione con il popolo può, però, anche essere l’occasione per tutti i cristiani, praticanti e non praticanti, per riflettere sulla centralità della Messa nella propria vita. Siamo invitati dalle emergenze della agenda del mondo a scrollarci di dosso la abitudinarietà, ad affinare il desiderio, a recuperare la bellezza, il fascino dell’Eucarestia, soprattutto di quella domenicale. Ma si tratta, anche, di sprovincializzare il nostro cristianesimo a volte comodo e piagnoso, per sperimentare anche nei nostri territori di antica evangelizzazione, il malessere di chi, per ragioni di disordine sociale e politico, per assenza del ministro ordinato, per motivi di debolezza o fragilità fisica, o per ragioni dovute alla condizione oggettiva di vita anche alle nostre latitudini (divorziati e conviventi), non può cibarsi del Pane di vita.
La quaresima del 2020 passerà alla storia come un lungo, anticipato Sabato Santo, in cui ritornare a desiderare l’abbraccio con il Signore e con i fratelli!
*Parrocchia Ave Gratia Plena, Piedimonte Matese
In modo particolare La liturgia ortodossa dà risalto all’iconografia del Nymphios (secondo un modello attivo dall’XI sec., qui riprodotto secondo un modello greco del XVI sec.). Gesù è rappresentato nell’atto della sua suprema umiliazione, sottolineata dalla dimessa nudità del suo corpo, sino al sacrifico «che consuma le sue nozze sul talamo della croce per generare dal suo sangue l’umanità redenta», come cantano i testi degli antichi Inni liturgici bizantini della Grande Settimana Pasquale. Egli è inoltre sorretto dalle braccia di Maria, che hanno sostituito quelle della croce, a dire l’abbraccio della Chiesa/sposa per il suo Sposo. Centro ideale di tutta la composizione è il volto del Cristo, colmo di profonda pensosità e compassione. A guardarlo con occhi contemplanti, nei tratti del dolore, nobile e composto, rifulge già la gloria della risurrezione.