Docenti ed alunni: si rincorrono, si cercano, riescono a parlarsi, a fare lezione; qualcuno tra i ragazzi è sparito, ma il prof non rinuncia ad inviargli la buonanotte.
È il tempo di una nuova comunicazione, e forse di nuove forme di dialogo tra generazioni. Vuoi vedere che quel monitor sta diventando lo specchio che riflette anche il meglio da chi non ti saresti aspettato? Ma anche l’occasione per pensare a chi rimarrà indietro perché uno smartphone di ultima generazione per seguire le lezioni online non ce l’ha.
Lo pensano i nostri professori e lo raccontano in questa lettera, di quelle che giungono di domenica, in cui – ancora una volta – loro più grandi hanno ugualmente diviso il tempo per la famiglia e per il lavoro da preparare ed inviare agli studenti per la settimana che inizia.
Ci giunge questo testo dai docenti dell’Istituto industriale di Piedimonte Matese, guidato dal dirigente Nicolino Lombardi. Alle brevi cornache iniziali si aggiunge una riflessione, di quelle che in questo momento uniscono professori e ragazzi di tutta Italia e ai quali non ci resta che augurare ancora buon lavoro.
“La scuola ai tempi del corona virus” potremmo dire, parafrasando il titolo di un romanzo di Marquez: in questo periodo si sprecano i richiami letterari a cominciare dal Decamerone di Boccaccio o dalla peste di manzoniana memoria dei Promessi Sposi o della Colonna infame; ma per quanti parallelismi si possano fare una cosa è certa: nessuno di noi si sarebbe aspettato di vivere un’esperienza simile a quella che stiamo vivendo in questi giorni.
L’uomo, animale sociale per antonomasia, costretto a restare a casa, a rifuggire dal contatto coi suoi simili, si tratti di sconosciuti, di semplici conoscenti o degli affetti più cari. La prima comunità che si è trovata ad affrontare, dal punto di vista sociale, questa emergenza è stata la scuola.
Il 4 marzo arriva il primo DPCM che sancisce la sospensione delle attività didattiche fino al 15 marzo nelle regioni non appartenenti alla cosiddetta zona rossa. Dopo le considerazioni di rito, ci si rimbocca le maniche per proseguire l’attività didattica a distanza …… “Tanto saranno solo pochi giorni poi torneremo alla normalità”…si spera.
Il tempo di organizzarsi con slide, videolezioni, gruppi whatsapp, assegni sul registro elettronico condivisi con le famiglie e arriva l’inasprimento delle misure anticoronavirus che ci dice che fino al 3 aprile non si tornerà a scuola. Allora cominciamo a capire che quella “normalità” la desidereremo a lungo, forse ben oltre il 3 aprile.
I contatti sul gruppo whatsapp dei colleghi si fanno ogni giorno più frenetici, ci si scambia opinioni, considerazioni, a volte serie e preoccupate, a volte ironiche (anche i prof scherzano e non solo per esorcizzare la paura) e spesso, molto spesso, al centro delle nostre conversazioni ci sono loro: i nostri alunni.
“Stanno lavorando, bravi”; “con me non stanno facendo nulla, appena li avrò a tiro…”; “come si farà con gli esami quest’anno?”; “hai notizie di… io non riesco a mettermi in contatto con lui”.
Intanto sui gruppi whatsapp di classe loro cercano il contatto con noi: “Prof. non avrei mai pensato di dire che mi mancano le lezioni in classe”; “prof. non ho capito come svolgere i compiti”; “prof. ho sentito che stanotte un asteroide passerà vicino alla terra, è vero?”, hanno bisogno di essere rassicurati anche se non lo chiedono apertamente, vogliono sentire la nostra vicinanza e così ti ritrovi ad augurargli la buonanotte, a fargli gli auguri di buon onomastico (quanti Giuseppe!), a dirgli “mi raccomando ragazzi, restate a casa”.
Poi ti trasformi, sei il professore, e giù paternali e richiami: “ragazzi non avete rispettato le consegne”; “avete copiato tutti”; “avvertite quelli che non rispondono che c’è del nuovo materiale sul registro elettronico”; “vi ricordo che c’è la videolezione alle 11.00”.
Ci sono quelli che hanno voglia di normalità e sono sempre presenti e non è detto che sono i più bravi, anzi qualcuno ti stupisce; c’è l’alunno sempre iperconnesso che ora ti dice che il computer è rotto, che non ha Giga, che non riesce a scaricare il materiale; c’è quello che è sparito, irraggiungibile, anche se sai che, come il Grande Fratello, c’è, vede e sa ma finge di non esserci e poi ci sono loro…i più deboli. Quelli che davvero non hanno il computer, che non hanno un cellulare abbastanza potente da supportare una videolezione o non hanno la possibilità di fare una ricarica o semplicemente vivono in uno dei paesini limitrofi dove una buona connessione a Internet è un miraggio.
Quando ci pensi provi un misto di rabbia e impotenza perchè ti rendi conto che questa emergenza rischia di lasciare indietro proprio loro: quelli che già partono svantaggiati. Ed è soprattutto a loro che vorresti dire: ti sono vicino, ce la faremo, andrà tutto bene, ci rivedremo presto a scuola, avevo pensato di fare questo tipo di lezione.
Una cosa è certa, il progresso e la tecnologia ci stanno aiutando in questa nostra quarantena, la didattica a distanza ci permette di continuare il nostro lavoro ma, appunto, è…a distanza e la scuola non è “distanza”.
La scuola è condivisione, è vedersi ogni giorno, è discutere, è dire “Bravo, hai dato il meglio”, “Vedi che ci sei riuscito” oppure “perché non hai studiato per questo compito?”, è ridere insieme, è affrontare le difficoltà, è sentirsi felici quando cogli negli occhi di un ragazzo la scintilla che ti dice “prof.mi fido di te”, è scontrarsi con chi alza quel muro invisibile che sembra tenerti fuori ma che non aspetta altro che tu trovi la breccia per entrare.
È vittorie ma anche fallimenti a volte, ammettiamolo, in due parole è contatto umano. Proprio quel contatto che oggi ci viene negato e che, come tutto quello che non si apprezza abbastanza quando lo si ha, ora ci manca.
I docenti dell’Istituto Industriale di Piedimonte Matese