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Boccaccio tra la peste che tutto distrugge e la letteratura che tutto (forse) riordina

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Per la rubrica “Tutto sotto controllo”, dopo l’introduzione al tema e ai servizi e dopo gli articoli sulla peste narrata da Lucrezio nel De rerum natura e quella ai tempi di Giustiniano narrata da Paolo Diacono ci soffermiamo sul Decameron di Boccaccio attraverso il lavoro minuzioso e la riflessione contemporanea di Luca Di Lello.

Luca Di LelloLa peste che ci racconta Boccaccio, e sulla quale costruisce il Decameron, pietra miliare della letteratura mondiale, è quella del 1348, passata alla storia come “Peste nera”. Nata anch’essa in Oriente, forse in Kazakistan. Anch’essa da un animale, la pulce. Anch’essa qui tramite le rotte commerciali, la Via della Seta. Dall’Oriente arrivò in Italia e di qui a Francia, Spagna, Inghilterra e Scandinavia. Se i mercanti italiani del Trecento erano l’animo del commercio, il tramite tra Oriente e Occidente, lo furono pure per l’epidemia. L’esito fu spaventoso, paragonato, a buon diritto dai contemporanei al diluvio universale. In molte città del centro-nord si stima una perdita di 3 abitanti su 5. E le storie delle letterature e delle arti insistono forse sempre troppo poco sull’impatto che un evento di tale portata abbia potuto avere sull’immaginario e la prospettiva mentale dell’uomo medievale, prima ancora che sugli sviluppi dell’economia.

La peste nella narrazione di Boccaccio occupa molte pagine della celebre Introduzione alla I giornata, subito dopo l’altrettanto famoso Proemio che dedica l’opera a tutte le donne. E subito prima della composizione della “lieta brigata” di sette fanciulle e tre fanciulli che scelgono di rifugiarsi in campagna per trascorrervi insieme dieci giorni. Questa disposizione testuale ovviamente non è casuale. Alla disgregazione sociale causata dall’imperversare della pandemia, segue la ricomposizione di un mondo ideale costruito dalla letteratura. Raccontare è infatti l’attività principale, e farlo, per l’appunto, con ordine rigoroso. Scrive a riguardo Italo Calvino nelle Lezioni Americane:
“La cornice del Decameron in cui sono incastonate le cento novelle acquista un importanza decisiva. Essa contiene un modello di società che potrebbe estendersi a modello d’universo. Questa ambizione cosmologica è già annunciata dal titolo Decameron, le dieci giornate, ricavato da Hexameron, le sei giornate, titolo d’opera di Sant’Ambrogio sulla creazione del mondo. […] L’universo da cui si distaccano le singole novelle presenta dunque una doppia immagine: c’è la peste come un caos che distrugge i legami sociali e familiari e morali, e contrapposto alla peste, un ordine ideale, una società che riflette sui casi umani in cui l’amore è una forza naturale che solo se rispettata in quanto tale può essere governata da ragione e morale”.

Andando dunque a riscontrare il testo, troviamo anche qui, (come nelle pubblicazioni precedenti, link in alto), l’arrivo della peste, il propagarsi del contagio, la sintomatologia:
Nascevano nel cominciamento d’essa a maschi e alle femmine parimente o nell’anguinaia o sotto le ditella certe enfiature, delle quali alcune crescevano come una comunal mela, altre come un uovo le quali i volgari chiamano “gavocciolo” […] e il gavocciolo era certissimo primario indizio di futura morte. […] anzi quasi tutti infra ‘l terzo giorno della apparizione dei sovradetti segni, chi più tosto, chi meno, e i più senza alcuna febbre o altro accidente, morivano.

Segue poi la descrizione dell’impotenza dei medici, l’inutilità dei provvedimenti presi e la dissoluzione delle istituzioni, la disgregazione dei rapporti umani e sociali:
Dicendo niun’altra medicina esser contro alle pestilenze migliore né così buona come il fuggire loro davanti e da questo argomento mossi, non curando d’alcuna cosa se non di sé assai uomini e donne abbandonarono la città […] era così si fatto spavento questa tribulazione entrata né petti degli uomini e delle donne, che l’un fratello l’altro abbandonava, e il zio il nipote, e la sorella il fratello, e spesse volte la donna il suo marito, e che maggior cosa è quasi non credibile, li padri e le madri i figliuoli.

E infine le imprecazioni contro un così crudele destino che rivelano al lettore la vanità del tutto. Scrive infatti Boccaccio al termine:
Quanti valorosi uomini, quante belle donne, quanti leggiadri giovani li quali Galieno, Ippocrate e Esculapio avrieno giudicati sanissimi, la mattina desinarono co’ loro parenti, compagni e amici, che poi la sera vegnente appresso nell’altro mondo cenarono con li loro passati.

Siamo al cospetto di grande letteratura. E quindi è importante osservare anche in che ordine il  testo scandisca queste narrazioni. Si rileva infatti una sorta di climax ascendente: contagio ed epidemia, poi disgregazione dell’ordine politico, poi sgretolarsi dei rapporti umani, e infine riflessioni sul senso della vita. Disgrazia dunque a cui segue disastro politico, a cui poi ne segue uno morale e per finire riflessioni esistenziali.

Davanti alla dissoluzione di tutto c’è quindi la letteratura, il gioco di raccontare e tramandare. E forse non è un caso che ciò che contengono le novelle sia tutto ciò che la peste stava portando via. Protagonisti delle novelle sono infatti mercanti che col loro ingegno, la loro caparbia riescono a moltiplicare la ricchezza, a riuscire nel loro scopo. A un piano più ampio, a dominare razionalmente la complessa realtà circostante. L’epopea dei mercanti è stata la fortunata definizione fornita dal celebre Vittore Branca, aggiungendo “veri eroi dell’intraprendenza e della tenacia umana”. Racconta delle peripezie della nuova classe dominante borghese che si sostituisce alla nobiltà. Tipico di quella fase che lo storico olandese Huzinga ha definito “autunno del medioevo” è per esempio l’oggetto che muove la novella di Andreuccio da Perugia, l’anello del vescovo. Solo qualche secolo prima sarebbe stato carico di tantissimi significati afferenti alla sfera del sacro, ora nel mondo del mercante è solo l’oggetto di una (meno nobile) refurtiva.

Eppure queste storie piene di vitalità, di intelligenza pratica, di concretezza, sono racchiuse da una cornice edulcorata, rarefatta, dai tratti sublimi e stilizzati e la stessa cornice si regge invece, paradossalmente sulla peste, sul caos, sulla disgregazione. Qualcuno ci ha visto un messaggio dell’autore sull’aleatorietà della nascente economia capitalistica e sui nuovi valori che avrebbe portato con sé. Forse prova a comunicarci che di aleatorio e di vacuo c’è tutta una serie di cose in cui crediamo, alle quali dedichiamo molte, forse troppe energie, e che un virus invisibile in un giorno è in grado di distruggere e che, mentre lo fuggiamo, c’è una grande occasione per noi di distruggere invece cattive consuetudini e di dedicarci a ciò per cui davvero ne vale la pena.

Bibliografia
G.Boccaccio, Decameron, a cura di Vittore Branca, Torino, Einaudi 1992
Vitolo, Medioevo, i caratteri originali di un’età di transizione, Milano, Sansoni, 2000
Calvino, Lezioni americane, Milano, Mondadori, 2002
Branca, L’epopea dei mercanti, Sansoni, Firenze, 1956
Getto, L’esperienza della realtà nel Decameron, Torino, Petrini, 1966
Baratto, Il mondo narrativo del Decameron, Editori riuniti, Roma, 1984
Surdich, Il Decameron: la varietà e l’ordine, Bari, Laterza, 2001

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