In occasione della Settimana Santa, una proposta di visione e lettura critica di un film nel vortice della polemica, insieme a don Giovanni Berti, dalla diocesi di Verona, noto per essere l’autore delle “Vignette di Gioba” (www.gioba.it).
Noemi Riccitelli – Non è mai facile entrare nel merito delle questioni di fede: non solo occorre una profonda conoscenza ma anche la giusta delicatezza e rispetto nei confronti di chi ha fatto della fede la propria missione e di chi, seppur continuando a vivere nella “mondanità”, ne segue i precetti.
Tuttavia, proprio la fede, come mistero, ha sempre esercitato nel corso del tempo un fascino tutto particolare per il libero pensiero creativo delle personalità del mondo della cultura e dello spettacolo, che hanno, ciascuno a suo modo, interpretato le piccole e grandi questioni della religione cristiana.
Primaria fonte di ispirazione è stata, da sempre, la vita di colui che ha rappresentato il mistero della fede in persona, proprio perché uomo: Gesù.
La sua vita, intensa e sì rivoluzionaria, ha fatto riflettere menti di filosofi, scrittori, registi, compositori, attori, generando una ricca e varia letteratura di riferimento.
Del resto, l’argomento religioso è stato sin dalle origini della storia letteraria un riferimento importante: basti citare solo San Francesco o Dante stesso.
Il mondo di San Francesco e Dante, tuttavia, era un mondo in cui la Chiesa e il suo universo erano ancora totalizzanti e in grado di esercitare un potere pervasivo nella società: è lontano Martin Lutero che con il suo protestantesimo instillerà un diverso punto di vista sul modo di sentire la fede, a partire dalle sue più semplici manifestazioni quotidiane.
Il pensiero critico, dall’Illuminismo in poi, si è sviluppato, producendo riflessioni che, lungi da banali forme di ateismo, ha saputo reinterpretare in modo intelligente anche i più noti temi della dottrina cristiana.
Esemplificazione di ciò, vista anche la Settimana Santa che ci troviamo a vivere, è il film L’ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese, uscito nelle sale nel 1988, adattamento del romanzo L’ultima tentazione dello scrittore greco Nikos Kazantzakis.
Ho provato a rifletterci insieme a don Giovanni Berti, sacerdote di Moniga del Garda, nella diocesi di Verona. Classe 1967, appassionato di cinema, don Berti è “noto” nella comunità cattolica italiana per essere l’autore delle “Vignette di Gioba”, format online ironico e stimolante per proporre i contenuti del Vangelo in chiave attuale e mai noiosa.
Il libro di Kazantzakis, pubblicato nel 1960, racconta la storia di Gesù non secondo il racconto filologico dei Vangeli, quindi la vicenda di un uomo consapevole del suo destino di sofferenza e sacrificio per la salvezza dell’umanità, bensì la storia di un Gesù uomo come tutti: egli vuole assecondare la sua natura umana e sì, allontanare per davvero il calice, fuggendo dal suo fine divino.
Kazantzakis ebbe difficoltà a trovare un editore che pubblicasse il suo libro e pur riuscendo nell’intento, la sua opera fu fortemente osteggiata dalla Chiesa greco-ortodossa, che arrivò persino a negare allo scrittore la sepoltura su suolo sacro.
Il regista italo-americano Martin Scorsese, da sempre sensibile alla tematica religiosa, si interessò al libro nel 1977 e desiderò realizzarne un film, affidandone la sceneggiatura a Paul Schrader, con il quale aveva già collaborato per pellicole note, tra cui Taxi Driver con Robert De Niro.
Tuttavia, la gestazione del film rappresentò (per ironia della sorte) un vero e proprio calvario: la casa di produzione Paramount che, inizialmente, si interessò all’idea di Scorsese, abbondonò poi il regista dopo che si diffuse la notizia della realizzazione del film e iniziarono a giungere lettere di protesta da parte di diverse comunità religiose americane circa l’anomala rappresentazione della figura di Gesù che sarebbe derivata dalla pellicola.
In particolare, la sceneggiatura del film ritrae un Gesù (l’allora ventisettenne Willem Dafoe) che accetta il percorso messianico per cui è nato, ma è tormentato da costanti dubbi: egli vorrebbe vivere come tutti gli uomini, avere una donna, una famiglia, un lavoro e i fotogrammi più volte lo ritraggono in questi momenti di vita comune, che non siamo soliti attribuire alla sua figura.
Alla fine, cede a quest’ultima tentazione umana e sulla croce viene portato in salvo da un angelo con le sembianze di una bambina ma, arrivato alla vecchiaia, si rende conto che il mondo in cui ha deciso di vivere è perduto senza il suo sacrificio.
In Italia il film fu presentato al Festival del Cinema di Venezia, generando scalpore e dissenso, più tra il pubblico che tra la critica; negli Stati Uniti ci furono persino gruppi di protesta fuori dalle sale cinematografiche in cui il film fu proiettato.
Ma qual è stata la colpa di Kazantzakis prima e di Scorsese poi?
Il pubblico cristiano-cattolico non accettò la troppa umanità del Gesù rappresentato, imbarazzandosi nel trovarsi di fronte il figlio di Dio in atteggiamenti intimi con Maddalena e Marta di Betania e ripugnando la sua poca forza d’animo nell’affrontare le sfide della vita per la salvezza dell’umanità.
Invece, l’elemento più evidente e quello sì, forse contestabile (anche se voluto dal regista), cioè la figura così tipicamente occidentale di Gesù, con chioma bionda e occhi azzurri, non destò richiami: il Nazareno perfetto nella sua purezza di uomo bianco fu l’unico conforto agli occhi dell’opinione pubblica internazionale, specie quella americana.
Certamente, l’occhio critico del pubblico preferiva crogiolarsi nella classiche rappresentazioni della vita di Gesù “da manuale”, che nulla aggiungevano alla profondità delle Scritture e dei personaggi narrati.
Il parere
La pensa così anche don Berti, che si è mostrato lontano dalle inutili polemiche che accompagnarono il film al tempo.
Secondo la sua opinione, è sempre difficile realizzare una riduzione cinematografica della storia di Gesù, poiché è facile creare un’effigie che nulla aggiunge, mentre «è bello rischiare sapendo che qualsiasi opera non potrà mai contenere tutto il Vangelo. Esplorare l’umanità di Gesù, secondo me, è il vero compito del cinema. E quell’opera, come altre, ha un valore e viene da un regista che è tutt’altro che banale. Sono i dettagli della sceneggiatura o visivi che vanno colti».
Ecco, “esplorare l’umanità di Gesù”: la potenza del romanzo e del film sta nella dimensione umana del personaggio Gesù che si riesce a cogliere. La pellicola permette di percepirlo ancora più simile a noi, una persona con le nostre stesse aspirazioni, meno perfetto e invincibile; tutto ciò non riduce il suo valore e lo rende meno Figlio di Dio, depauperando il messaggio di fede, anzi, dal film sembra che proprio per queste sue caratteristiche egli sia riuscito ad amarci e comprenderci nel profondo, fino a sacrificarsi.
E, anche per noi spettatori, riesce più immediato capire la portata del suo sacrificio: poteva essere come tanti, invece Gesù è stato uomo più uomo di tutti. Ha scelto noi e questo poteva non essere una garanzia.
L’ultima tentazione di Cristo, da un punto di vista prettamente “tecnico”, è un valido prodotto della cinematografia degli anni ’80 e della personale ispirazione di Scorsese, che tiene in riferimento Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini, cogliendone lo spirito contemporaneo.
Il film, infatti, pur avendo in sé l’eco dei grandi kolossal epico-biblici, non cerca di imitare il tempo storico della vicenda narrata, ma attualizza il tema: non a caso, a curare le musiche e la colonna sonora (“Passion”) è Peter Gabriel, ex front-man dei Genesis.
In tal senso, un’altra menzione particolare va fatta al cameo di David Bowie, cantante e performer multiforme, protagonista della scena artistica di quegli anni, che interpreta il ruolo di Ponzio Pilato.
E’ proprio una delle sue battute, nella scena del confronto tra il procuratore romano e Gesù, che secondo me riassume al meglio il senso delle critiche che il film ricevette: “Non ci importa il modo in cui vuoi cambiare le cose, non vogliamo che cambino, tutto qui”.
E, sebbene non venga rappresentato l’atto simbolico del lavarsi le mani, presente nei Vangeli, queste parole possono esemplificare altrettanto evidentemente l’ipocrisia di chi è rimasto a guardare: allora, nella folla che gridò per la libertà di un ladro, così come nelle poltrone delle sale cinematografiche dell’88.
Dal canto suo, Hollywood che sempre si compiace dello scandalo che aiuta a promuovere e fa eco, premiò il film: Martin Scorsese ricevette una nomination all’Oscar come miglior regia, Barbara Hershey (Maria Maddalena) e Peter Gabriel, invece, furono nominati ai Golden Globe: l’una come miglior attrice non protagonista , l’altro per la miglior colonna sonora originale.
In questo modo, fu lanciato un altro potente messaggio, cioè che l’arte non può essere censurata e che l’assunto “ars gratia artis” è valido, sì, ma non un dogma.
Il pubblico di 32 anni fa non si dimostrò pronto alla proposta di Scorsese.
E, noi, oggi?