Prosegue il nostro viaggio tra la Storia e le sue epidemie e le storie degli uomini in esse…
Stasera, il nostro autore Luca Di Lello, ci conduce tra le pagine de La Maschera della morte rossa di Poe dove tutto sa di cupo, tetro, di buio…
Non manca, tuttavia, come già per gli atri scritti della rubrica “Tutto sotto controllo. Ci siamo già passati”, un pensiero all’uomo, alla sua capacità di edificarsi giorno dopo giorno…
Gli articoli precedenti
La Ragione contro la peste. De Rerum Natura
La peste di Giustiniano
Boccaccio tra peste e letteratura
La peste di Londra: Daniel Defoe
The masque of the red death è un racconto di inquietudine e di alienazione. Di malattia e di morte, di sangue e di oblio. È un racconto di tinte fosche. In cui tutti i caleidoscopi di colore sono dominati dal binomio nero-porpora. Una storia di contagio, di pestilenza e di una malattia inarrestabile e fulminea.
Una storia in cui già dalle prime righe, che immergono il lettore in una dimensione trasognata, ci si accorge che tutto è sorretto da una macabra consapevolezza: la fuga del tempo e la morte. Ed è per questo che tutte le allegrie e i possibili divertimenti che questo mondo possa offrire presentano un retrogusto amaro, un presagio sinistro, come un clown che, alla fine, mette angoscia.
Veniamo al racconto: siamo in un luogo indefinito colpito da un contagio spaventoso, una pestilenza chiamata “la morte rossa”. Prospero, il principe, reagisce ritirandosi con tutta la corte in una delle sue abbazie e la predispone a tutti i divertimenti. Mura e porte di ferro dividevano dal mondo esterno: da un lato l’anarchia e il si salvi chi può, dall’altro la corte piena di feste di ogni tipo. E suddivisa in tante stanze, ognuna di un colore diverso con le vetrate decorate, tra cui una completamente nera, con le vetrate rosse. Tutte illuminate dai riflessi che le vetrate avevano da un braciere gigante posto al centro del corridoio. L’incipit ci cala in questa cupa atmosfera, a cui le gioie della festa non riusciranno ad essere un gaio contrappunto:
La Morte rossa aveva per parecchio tempo devastato la regione. Non si vide mai peste così fatale e orribile. Il suo emblema era il sangue. Il rossore e l’orridezza del sangue. Cominciava coi dolori acuti, una vertigine improvvisa e poi uno stillazione abbondante attraverso ai pori, la dissoluzione dell’organismo. Delle macchie rosse sul corpo e specialmente sul viso della vittima, la mettevano al bando dell’umanità e le precludevano ogni soccorso a ogni simpatia. Il contagio, il progredire, i risultati della malattia erano questione di una mezz’ora. Ma il principe Prospero, imperterrito e prudente, era felice.
Nella stanza nera, cui abbiamo accennato, c’è un orologio. Un gigante pendolo di ebano dal suono sordo, pesante, monotono tanto che i musici dell’orchestra erano costretti a sospendere momentaneamente la loro esecuzione per ascoltarlo e a ogni rintocco apparivano il turbamento, il tremore e la meditazione di prima. Si prosegue in questa allegria finché scocca la mezzanotte e si è costretti a sentire ben dodici rintocchi. Ed è qui che dalla folla festante emerge la maschera della morte rossa.
Poe ci racconta così la sua apparizione:
Prima che gli ultimi echi dell’ultimo rintocco sprofondassero nel silenzio, ebbero tutto il tempo di notare la presenza di una figura mascherata che fino ad allora non aveva colpito l’attenzione di nessuno. E appena la notizia di questa nuova presenza si sparse sottovoce tutt’intorno, da tutta la brigata si alzò un brusio, un mormorio, esprimente disapprovazione e sorpresa prima, poi, finalmente terrore, raccapriccio disgusto. […].
Tutta l’assemblea parve sentire profondamente il cattivo gusto e la sconvenienza della condotta e del travestimento dello straniero. Il personaggio era alto e scarno, avvolto dalla testa ai piedi in un sudario. La maschera che celava il viso rappresentava così bene la rigidità della fisionomia di un cadavere che la più minuziosa analisi difficilmente avrebbe scoperto l’inganno.
Il racconto finisce col principe Prospero che si decide a sfidare la maschera, sguaina la spada, l’assalta, ma è la maschera ad avere la meglio. E tutti gli ospiti della lieta e gaudente abbazia cadono morti. Col trionfo della morte su tutto e tutti.
La morte è qui oblio di tutte le cose e che, così concepita, da un unico e categorico comandamento: vivere per la ricerca sfrenata dei piaceri. Nessuna riflessione sull’ethos o sulle forme del vivere associato può essere concepita. C’è solo il presente e questa opportunità di godere. E questa presuppone come unico impegno, quello di allontanare quanto più possibile il pensiero della morte.
Questo famoso racconto di Edgar Allan Poe fu scritto nel 1842 e poi pubblicato nel Graham’s Magazine e poi, nella sua raccolta Racconti (Tales) del 1845, posizionato nella terza sezione nota come Racconti del terrore e del grottesco. Ha poi avuto ben quattro trsposizioni cinematografici tra cui ricordiamo quello del regista Roger Corman nel 1964.
Questo plot non può non richiamare altri due libri famosissimi: uno scritto qualche decennio dopo e l’altro qualche secolo prima. Stiamo parlando del Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde in cui tutta la narrazione è all’insegna della vita gaudente e voluttuosa ma sempre sorretta dalla consapevolezza della durata stabilita, del tempus fugit emblematizzato nella marcescenza del ritratto che invecchia.
All’altro ci porta l’omonimia dei protagonisti: è La tempesta di William Shakespeare in cui il re Prospero, studioso di arti magiche, spodestato e esiliato su un’isola, provoca una tempesta che fa approdare, per diversi lidi, tutti sulla sua isola, per poi riunirli tutti insieme alla fine, con un altro incantesimo, per accordare loro il suo perdono. C’è anche qui l’immagine del Prospero grande regista, ma con intenti diametralmente opposti a quelli di Shakespeare. Non c’è spazio qui per i grandi temi, come la lealtà, il buon governo, la formazione, la promozione umana. Sono tutti inghiottiti dal tema della morte, che stravolge le nostre certezze. Ci invita dunque a guardare con prospettive totalmente
diverse la vita, il suo corso e i progetti di come spenderla. Come in ogni storia di contagi (in altro trovi i link alle pubblicazioni precedenti) c’è la morte e l’interrogativo martellante di come la nostra unica vita sia degna di essere vissuta.