È stato un tour non solo nella storia, ma soprattutto nelle vicende umane, nelle storie degli uomini coinvolti nelle grandi epidemie.
Come hanno reagito? Introspezione, istinto, riflessione, altruismo…
La rubrica “Tutto sotto controllo. Ci siamo già passati”, un viaggio tra le pagine della letteratura, in compagnia di Luca Di Lello, che oggi si conclude con un racconto più recente: Cecità di Josè Saramago. Siano in un contesto recente, dove ancora una volta, mescolato al male fisico emerge tutto il limite dell’uomo, della società e delle istituzioni. Davvero un’epidemia aiuta a migliorare?
Gli articoli precedenti
La peste di Manzoni, tra buon senso e senso comune
La Ragione contro la peste. De Rerum Natura
La peste di Giustiniano
Boccaccio tra peste e letteratura
La peste di Londra: Daniel Defoe
La maschera della morte rossa di Edgar Allan Poe
La peste di Camus e la salvezza come rivolta contro l’assurdo
Luca Di Lello – Fantascienza, distopia, apocalisse. Un mondo assurdo che potremo diventare, o forse uno sguardo sull’assurdità del nostro mondo e dei suoi sempre pessimi modi di vivere associato. Cecità di Josè Saramago può essere tutto questo. È un romanzo di epidemia, è un romanzo di distruzione della socialità, di ipotesi di una società prevaricatrice e dominata dalla violenti e brutali rapporti di forza.
Oppure è la fotografia, profonda e introspettiva, di come viviamo. O forse entrambe. Un’indagine sull’umano. Come ogni opera di Saramago sa unire scavo psicologico penetrante, grande respiro
narrativo e capacità di catturare l’attenzione del lettore.
Siamo in una città immaginaria. D’improvviso un’epidemia.
Un automobilista di colpo diventa cieco: vede tutto bianco. Di qui si va naturalmente in uno studio oculistico. Tutti i pazienti affetti da veri difetti agli occhi e cominciano anche loro a vedere bianco. Le autorità intervengono cercando di limitare il contagio internando i malati. Tutti sembrano essere colpiti dal male che avanza implacabile tranne la protagonista, la moglie del medico. Questa riesce a entrare con lui in un manicomio dove sono internati i malati e osservare cosa accade all’interno. All’inizio tutti i pasti sono distribuiti regolarmente, successivamente diventa egemone la tendenza all’abbandono, specie quando la malattia comincia a colpire anche le autorità. Ed è ora che il “male sociale” si esprime in tutta la sua recrudescenza: un gruppo di ciechi, i ciechi-malvagi, riesce a prendere il sopravvento e sistematicamente a requisire le razioni di cibo e stuprare le donne. La moglie del medico riesce a uccidere il capo dei ciechi-malvagi e a uscire, dopo un incendio della struttura. Ciò che vede è la città in totale abbandono: morti per strada, e l’anarchia totale della lotta di tutti contro tutti. Alla fine tutti i ciechi guariscono senza ragione.
Il motore della scrittura di questo capolavoro di Saramago, del 1995, sta proprio nelle descrizioni dei meccanismi che spogliano progressivamente delle convenzioni sociali e delle norme etiche positive per far emergere in tutta la sua cruda naturalezza il mondo della lotta di tutti contro tutti, di chi passa accanto ai morti e ormai non li vede più. Il mondo così come forse è. Riportiamo qui il passo del romanzo in cui si passa da una gestione contenuta dell’emergenza al momento in cui l’epidemia si fa incontrollabile e tutto è affidato all’interazione tra le persone, il cui esito, è, naturalmente, l’homo homini lupus:
Malgrado ciò pur sapendo come siano rarissime le educazioni perfette e come persino i più discreti recessi abbiano i loro punti deboli, bisogna riconoscere che i primi ciechi messi in quarantena sono stati capaci di portare con dignità la croce della natura, prevalentemente escatologica, dell’essere umano. Ma adesso, con le brande tutte occupate e sono 240 senza contare i ciechi che dormono per terra, non c’è immaginazione, per quanto fertile e creativa, in paragoni, immagini e metafore che possa descrivere con proprietà, la distesa di schifezza che c’è qua dentro. Non è solo lo stato a cui si sono rapidamente ridotti i cessi, antri fetidi, come probabilmente saranno all’inferno le fonti delle anime dannate, ma è anche la mancanza di rispetto di alcuni, o
l’improvvisa urgenza di altri che in pochissimo tempo ha trasformato i corridoi e altri posti di passaggio in gabinetti che inizialmente erano occasionali e ormai sono diventati abituali. I negligenti o i pressati pensavano: non ha importanza, nessuno mi vede, e non andavano oltre.
Poco più avanti leggiamo delle inefficienze e della totale inadeguatezza delle norme intraprese dalle istituzioni. L’impossibilità per le strutture di potere, forse a causa della natura stessa del potere, di organizzare i bisogni. Le esigenze trasbordano, non sono più contenibili e ognuno si affida all’istinto
e sopravvive come meglio crede:
Una volta al giorno, sempre nel tardo pomeriggio, come una sveglia regolata, sempre allo stesso orario, la voce dell’altoparlante ripeteva le note istruzioni e proibizioni, insisteva sui vantaggi di un uso regolare dei prodotti di pulizia, rammentava l’esistenza di un telefono in ogni camerata per richiedere i rifornimenti necessari quando mancavano. Ma quello di cui lì ci sarebbe veramente stato bisogno era un potente getto d’idrante […] acqua per mandare nelle fognature quello che ci dovrebbe andare, e poi per favore un paio d’occhi, dei semplici occhi, una mano capace di condurci e di guidarci, una voce che ci dice “per di qua”. Se a questi ciechi non gli diamo una mano non tarderanno a trasformarsi in animali, o peggio ancora in animali ciechi.
Una soluzione stilistica di estremo interesse usata da Saramago è quella di evitare il nome delle persone sostituendoli con la “malattia”. Non il nome, ma il bisogno come il ragazzo strabico o il vecchio con la benda. È dunque il romanzo dell’indifferenza e della cattiveria. Dell’esasperazione del forte pessimismo antropologico. Più che un romanzo di epidemia è un libro di critica sociale. È una riflessione pessimistica sull’uomo e sul suo destino. Ma è anche una spietata fotografia della società attuale, dove il potere non riesce a garantire un minimo di giustizia. Ma al tempo stesso anche l’esperienza della paura e dell’emergenza non fa sì che la società diventi migliore. Non se ne esce migliori. Anzi ci sono i ciechi malvagi che requisiscono i beni destinati a tutti. Non la mancanza di cibo, dunque, ma la mancanza di un equo criterio di ripartizione. Solo la moglie del medico ha un carattere salvifico. Solo lei è in grado di riportare risultati positivi a casa. Ma anche lei, per farlo, ha bisogno di ammazzare. Uccide il capo dei ciechi-malvagi, ma comunque deve uccidere. È questa condizione straordinaria d’emergenza e straordinaria che accende i riflettori sulla natura umana. Non se ne esce migliori dalla pandemia, forse è possibile prendersi un tempo di riflessione, o forse è solo
una spia di un più grande malessere,come dice Saramago, l’esperienza del pericolo è la testimonianza che probabilmente solo in un mondo di ciechi le cose saranno ciò che veramente sono.