Home Chiesa e Diocesi Il Cilento e l’Irpinia, dove la devozione a Maria si fa Cultura

Il Cilento e l’Irpinia, dove la devozione a Maria si fa Cultura

La seconda tappa del Maggio in pellegrinaggio si indirizza verso tre luoghi di culto minori, dove la pietà popolare si esprime con delle particolari forme di manifestazione

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Maggio in pellegrinaggio è la speciale pubblicazione riservata al tour tra i Santuari mariani della nostra Regione e di alcune aree limitrofe. Vi abbiamo anticipato nella precedente uscita questi speciali pellegrinaggi spirituali, non potendoci recare fisicamente nei luoghi a noi particolarmente cari a causa delle normative a causa del Covid19 (leggi l’articolo precedente).

Alfonso Feola – Come già detto, la Campania è uno dei poli di eccellenza per la devozione mariana in Italia: in essa, le provincie di Salerno ed Avellino vivono un culto mariano che in almeno tre Santuari prende delle connotazioni a sé stanti, esprimendo una forte memoria storica, un attaccamento alla propria cultura di riferimento e soprattutto una costante domanda di intercessione su determinate categorie di fedeli.

Cominciando dal territorio cilentano, sono due i luoghi di culto mariani che meritano una particolare attenzione: il Santuario del Granato ed il Sacro Monte di Novi Velia.

Il Santuario della Madonna del Granato sovrasta il centro di Capaccio-Paestum (Salerno). Con la distruzione di Paestum da parte dei Saraceni (877), la cittadinanza ed il vescovo del posto si rifugiarono presso il vicino monte Calpazio, fondando Capaccio vecchio  (Caput aquae in latino) e nel X secolo edificarono la nuova cattedrale: in essa, sorta sulle rovine di un tempio romano dedicato alla dea Giunone, subentrò il culto della Vergine Maria (raffigurata con un melograno tra le mani, simbolo delle grazie elargite da Dio per intecessione di Maria), mentre in un’arca vennero deposte le reliquie di San Matteo apostolo, successivamente traslate nel duomo di Salerno.
Sebbene nel XIII secolo la popolazione si spostò nuovamente, per via della distruzione dell’abitato da parte delle truppe di Federico II, la devozione mariana non si arrestò mai, fino a giungere ai giorni nostri: nel 1912 il Capitolo vaticano decretò una prima incoronazione della Madonna (un’antica statua di scuola senese, successivamente distrutta da un incendio), mentre la seconda incoronazione (nel 2000), arrivò a quasi 10 anni dalla riapertura del santuario, restaurato grazie a mos. Giuseppe Rocco Favale, vescovo di Vallo della Lucania: il luogo sacro, oggi custodito da un religioso carmelitano dell’Antica Osservanza, viene raggiunto ancora da pellegrini a piedi, che portano sulle spalle le cente, delle costruzioni lignee ornate di immagini, candele e fiori, quali segni di una devozione mariana riconoscente e sempre risorta, malgrado gli eventi spesso disastrosi della Storia.

Un altro luogo del cilentano, dove l’impronta della devozione popolare è altrettanto marcata è il Sacro Monte di Novi Velia (Salerno): una serie di leggende farebbe risalire l’origine di questo luogo sacro ad eventi soprannaturali, ma sembrerebbe che anch’esso sia sorto su un antico tempio pagano, da cui il nome all’altura su cui si trova, il Gelbison (monte dell’Idolo). L’insediamento cristiano, fondato nel X-XI secolo dai monaci basiliani italo-greci, insediatisi in questo territorio all’epoca dei Longobardi, si sarebbe stanziato prima di tutto nelle grotte, per favorire una maggiore vita di contemplazione, per poi dare avvio all’edificazione del santuario vero e proprio, posseduto a più riprese dai vescovi di Capaccio, alla famiglia dei Marzano che lo affidarono ai padri celestini ed infine nuovamente alla Curia di Capaccio. Il santuario si compone di una chiesa a tre navate, dove troneggia la statua lignea della Vergine con bambino, dalle fattezze di epoca bizantina, una cappella dedicata al monaco bizantino san Bartolomeo ed un convento con una foresteria per i numerosi pellegrini, che qui salgono fin dal 1300, nel periodo tra il martedi di Pentecoste e l’estate. Anche qui i fedeli portano le cente ed i torcioni (grandi candele votive dipinte), accompagnando il pellegrinaggio con il suono degli strumenti musicali tradizionali. L’affidamento di questi fedeli alla Madonna del Sacro Monte è tale da aver comportato, in epoca recente, la diffusione del culto nei luoghi toccati dagli emigrati italiani, con la nascita di nuovi luoghi di culto ed associazioni (foto in alto).

Spostandoci nella vicina Irpinia, il Santuario di Materdomini, presso il comune di Caposele (Avellino), è particolarmente caro ai fedeli: in questo posto, la Vergine sarebbe apparsa due volte su un sambuco a dei poveri pastori che stavano pascolando il gregge sulla sommità di una collina; presentatasi come la Madre del Signore (da cui il toponimo Materdomini), ella chiese l’edificazione di una cappellina sul posto. Il luogo di culto, ben presto meta di pellegrinaggi dall’Irpinia, dal Cilento e dalla Lucania, vide accrescere la propria fama prima con la venuta di Sant’Alfonso Maria dè Liguori nel 1748 (che edificò accanto alla chiesetta un collegio per la congregazione da lui fondata, i Redentoristi) e soprattutto con l’arrivo di Gerardo Maiella, che qui morì in odore di santità il 16 ottobre 1755: il culto verso questo giovane religioso, canonizzato nel 1904, si affiancò a quello della Mater Domini e portò ad un tale incremento di pellegrini che si rese necessario l’ampliamento del Santuario, successivamente dichiarato Basilica Minore da papa Pio XII ed infine distrutto dal terremoto del 1980. La ricostruzione, terminata nel 2000, ha recuperato i luoghi principali in cui visse San Gerardo, la sua tomba e la stessa immagine della Madonna, sull’altare maggiore della chiesa vecchia: inoltre, la costante richiesta di protezione celeste, specialmente per le mamme e per i bambini ha dato vita ad luogo, la cosiddetta stanza dei fiocchi dove si conservano le testimonianze della preghiera e della gratitudine di migliaia di persone.

 

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