Di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano
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XV Domenica del Tempo ordinario
Is 55, 10-11; Sal 64; Rm 8,12-23; Mt 13, 1-23
Occorre fare una lettura di altro tipo di questa celeberrima parabola del seminatore; una parabola che apre il lungo discorso di Gesù fatto appunto di parabole; Matteo struttura questo discorso con uno scopo preciso. Aiutare i predicatori dell’Evangelo a comprendere a pieno il loro ministero. Il problema della parabola non sono i destinatari del seme (i terreni) ma chi sparge il seme.
La parabola nasce dallo scandalo dell’“inefficacia” della Parola seminata che tante volte si deve constatare, lo scandalo dell’Evangelo che seminato nei cuori tante volte lascia la gente immutata e indurita. Se il seme è la Parola di Dio che Cristo è venuto a portare, se è l’Evangelo del Regno instaurato con la croce e risurrezione di Gesù (ricordiamo che la parabola è scritta dopo gli eventi pasquali, in una Chiesa che già annunciava la Pasqua del Signore!), come mai questa Parola potente non è efficace? Cosa accade? Questo scandalo dell’“inefficacia” della Parola non è solo un problema della Chiesa di Matteo, esso produce nella prassi ecclesiale di oggi una gravissima disfunzione: tanti, nell’ambito ecclesiale, pensano che “parlare” non serva e così, nella Chiesa, gli spazi dati alla Parola ed al suo annunzio si restringono sempre più allargando invece gli spazi di azioni considerate più “efficaci”, più soddisfacenti, più produttive. Ed ecco che assistiamo ad una vita ecclesiale che si struttura troppe volte sul fare credendo che il fare (anche quello doveroso della carità!) sia più “efficace” della Parola, sia più “efficace” e “redditizio” dell’ annunzio dell’Evangelo; ci si veste, naturalmente, di buone ragioni affermando che i “fatti” sono più delle “parole” (dimenticando che qui non si tratta di “parole” ma della “Parola”!) e così si arriva a trasformare la Chiesa in un ente benefico, in un gruppo di filantropi, in una UNICEF confessionale…no!
La Parola è efficace ma non costringente, la Parola va seminata e non vanno calcolati, per questa semina, fatica, spreco, delusioni … chi esce a seminare l’Evangelo deve guardare all’uscita del Figlio di Dio che è venuto in questo mondo a seminare la Buona Notizia senza risparmiarsi e senza fare calcoli di efficacia. In fondo l’uscita del Figlio a seminare è finita in un fallimento fuori le mura della città santa, lì sul Golgotha sembrò che la Parola seminata fosse del tutto inefficace!
La parabola del seminatore proclama invece una risposta chiara a chi, allora come oggi, è tentato dall’apparente “inefficacia” della Parola: il seminatore esce a seminare ed il frutto della sua semina non è a tempi, non è cioè riservato ad un futuro…non è che oggi c’è un fallimento, una non accoglienza, un rifiuto, un soffocamento della Parola e poi domani ci sarà l’efficacia. Non è così! La semina avviene contemporaneamente su diversi terreni ed il frutto abbondante è contemporaneo al rifiuto, al risultato effimero, al soffocamento della Parola…la parola seminata in abbondanza dovunque, produce certo frutto…non dovunque, è chiaro, ma da qualche parte sì, sempre! Guai a chi ferma la semina perché vede troppi terreni battuti, troppe pietre o troppe spine…chi fa così dimentica che c’è il terreno buono in cui quella stessa Parola (che è tutta buona, tutta viene dalla mano del Figlio di Dio!) frutterà oggi vita eterna, frutterà oggi un mondo nuovo!
Il fatto è che dinanzi all’annunziatore c’è la mondanità e ci sono i figli del Regno, cioè quelli che sono refrattari alla Parola del Regno che sono disposti ad accogliere la proposta, diciamoci la verità, scandalosa dell’Evangelo e quelli che invece si fanno accoglienti di quel seme piccolo e “stolto”, piccolo e “scandaloso” e lo mettono dentro e lì certo germoglierà.
Gli annunziatori dell’Evangelo, ci dice la parabola, non devono fermare la corsa della Parola a causa delle loro attese e delle loro proiezioni, Gli annunziatori della Parola sono invitati a non fermare lo sguardo sugli “insuccessi” e le “inefficacie” ma a volgere con fermezza lo sguardo lì dove la Parola fruttifica. Forse chi si ferma agli insuccessi mette più attesa nelle proprie attese, mette più speranze nelle proprie speranze che nelle attese di Dio e nelle speranze di Dio.
La Parola ha una sua forza, come scrive Isaia nel testo famosissimo che oggi è a la prima lettura, un’efficacia che non va disconosciuta ma che non va neanche ridotta alle nostre efficacie e ad i nostri parametri.
Quello che conta è che la Chiesa non fermi l’annunzio della Parola e non si perda in cose “più “efficaci” e più “utili” secondo quella mondanità che troppo spesso la abita.
Il creato attende con impazienza che i figli di Dio si rivelino, ha scritto Paolo nella sua Lettera ai cristiani di Roma, e questa rivelazione certamente avviene con una vita altra ma una vita altra giustificata da una Parola di annunzio che renda ragione della speranza che abita il cristiano (cfr 1Pt 3,15).
Povera Chiesa di Cristo se non grida più lo “stolto” Evangelo di Cristo crocefisso e preferisce altre azioni! Il Risorto ci ha inviati ad annunziare quell’Evangelo e senza risparmio e senza calcoli. Non lo si può dimenticare, né si può sostituire con altro dandolo per scontato!
La spiegazione della parabola che segue va nella direzione moralistica che tante volte prende la riflessione cristiana. La Chiesa di Matteo vuole aggiungere una riflessione sui terreni spostando però così l’attenzione da chi semina a chi la semina la riceve…un’operazione in fondo indebita, per quanto forse utile, dinanzi all’originale intenzione della parabola. Ma è un di più.
L’accento va posto sul soggetto che in questa nostra generazione si fa carico della semina; chi è oggi il seminatoreche narrando Colui che è il primo, vero Seminatore, ha l’autorità di gettare il seme che Lui ha consegnato con la sua Pasqua? Certamente il seminatore oggi deve uscire a seminare è una comunità di fratelli che si amano e condividono, che fanno la scelta di giocarsi assieme, concretamente e non idealmente, la vita. Solo un seminatore così saprà mettere assieme il binomio fraternità-annunzio che crea la corsa della Parola. Un soggetto così, una vera comunità, saprà accogliere la domanda che oggi la liturgia ci fa sulla fiducia che abbiamo nell’annunzio dell’Evangelo che è necessario compiere e da cui non ci si può dare esonero! Mai!