Home Chiesa e Diocesi Quando la “speranza” di cambiare è sinergia. IL PROGETTO

Quando la “speranza” di cambiare è sinergia. IL PROGETTO

Il progetto "Speranza" nasce dalla proposta della Caritas della parrocchia di Sepicciano (Piedimonte Matese) ed è stato realizzato con il contributo indispensabile del Centro Diocesano per la Famiglia "Mons. Angelo Campagna"

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“Speranza” è il nome del progetto proposto dalle volontarie della Caritas parrocchiale di San Marcello P. e M. e San Michele A. – Sepicciano e messo a punto con l’indispensabile sostegno del Centro Diocesano per la Famiglia “Mons. Angelo Campagna”. Un percorso di aiuto reso possibile grazie alla sinergia tra Centro, Caritas, servizi territoriali e le famiglie stesse.

La parola alla dottoressa Concetta Riccio, assistente sociale specialista presso il Centro Diocesano, la quale spiega come nasce il progetto “Speranza”.

Concetta Riccio – In questi ultimi anni come assistente sociale del Centro Diocesano per la Famiglia “Mons. Angelo Campagna”, ho documentato una crescente collaborazione tra il Centro, i servizi territoriali e le Caritas. Questa rete riguarda in maniera specifica le famiglie del territorio che vivono condizioni di disagio socio-economico. Tali nuclei familiari, in carico ai servizi territoriali, vengono inviati da noi per supporto psico-educativo o psicoterapia, ma spesso sono conosciuti e affiancati, ancor prima e in maniera costante, dalle Caritas parrocchiali, attraverso i tanti volontari presenti sul territorio.

A fine 2018 furono proprio Maddalena e Rita (volontarie della Caritas parrocchiale di San Marcello P. e M. e San Michele A. – Sepicciano), supportate dal loro parroco, don Emilio Meola, a chiedermi di coadiuvarle nella realizzazione di un progetto pilota su tre famiglie. Abbiamo insieme formulato questo progetto, una novità per il nostro territorio, la scelta del nome “Speranza”, dettata dai sentimenti di queste donne, che da anni offrono il loro aiuto a famiglie in difficoltà. La speranza di cambiare qualcosa, appunto! Il soggetto proponente è stato quindi la Caritas parrocchiale di Sepicciano, ma in un’ottica di coping network, con una rete di supporto formata dal Centro Diocesano per la Famiglia in qualità di Consultorio familiare diocesano, la Caritas diocesana, i servizi territoriali e non per ultime le famiglie stesse.

Un momento significativo e indimenticabile è stato per me l’incontro con queste tre famiglie, diverse tra loro per tanti aspetti. Persone che mi hanno aperto la porta della loro casa e ciò grazie al grande lavoro svolto negli anni dalla Caritas: la presenza delle volontarie, infatti, era per loro una garanzia di fiducia, un lasciapassare “se sei con loro posso fidarmi di te, anche se sei un assistente sociale”. A me a questo punto toccava una valutazione differente: dove e come intervenire e come ottenere una reciprocità.

IL PROGETTO
La particolarità del progetto “Speranza” era sperimentare la reciprocità e superare il mero assistenzialismo, coinvolgere, quindi, le famiglie in un percorso più ampio, un percorso di aiuto integrato e partecipato, dove individuare le difficoltà psico-sociali era prioritario rispetto alle difficoltà economiche. Ovviamente le famiglie, accettando l’intero percorso offerto, sono state aiutate anche dal punto di vista materiale, ma l’obiettivo è stato farle mettere in gioco: psicoeducazione, psicoterapia, orientamento lavorativo, completamento di percorsi di studi interrotti, percorsi di educazione domestica, ecc. Il lavoro è stato tanto: le volontarie Caritas in sinergia con noi operatori del Centro, hanno lavorato sul campo molte ore alla settimana per dodici mesi, superando le resistenze iniziali legate alla fiducia, entrando con discrezione nel luogo più intimo delle famiglie ovvero la loro casa, ottenendo piccoli e grandi risultati.

Quali riflessioni bisogna fare su questa esperienza? La parola passa alla dottoressa Rosaria De Angelis, psicologa e psicoterapeuta presso il Centro Diocesano per la Famiglia.

IL LAVORO CON LE FAMIGLIE
Rosaria De Angelis
– La mia risonanza rispetto a quello che ho percepito nel lavoro, che via via si è andato dispiegando nel tempo, mi ha aperto a nuovi spunti di riflessione. Sintetizzo il mio percorso mentale nell’espressione di George Kelly: “Lo scopo dello psicoterapeuta non è di produrre uno stato mentale, ma di produrre una mobilità mentale che permetta di seguire un percorso nel futuro”. È questo il concetto base della psicoterapia e anche del mio modo di lavorare. In questa espressione è sintetizzata la mission e la vision di un prendere per mano il sistema familiare e proiettare lo stesso “nel futuro”. Un fallimento sistemico, invece, ci rimanda una domanda, o più d’una, in modo forte, ripetuta quasi come un mantra: quanto ha influito il sistema sociale nel fallimento del sistema familiare? Cosa detta la battuta d’arresto del sistema familiare? Perché si mantiene costante nel tempo? Il concetto di presa in carico di famiglie è quello che mi ha sempre affascinata, portandomi a specializzare nel settore sistemico relazionale ad indirizzo familiare. Siamo abituati di sovente a considerare due cose in modo particolare: la famiglia come somma delle persone che la compongono e la reazione che un soggetto può avere rispetto ad un altro, il cosiddetto stimolo-risposta per i più tecnici. Quando entriamo in una rete familiare, e non solo, questi sono i primi concetti che perdono potere alle prime osservazioni: dobbiamo imparare a ragionare in “modo circolare”. A vivere e ad intendere quelle relazioni in modo circolare. La famiglia è un sistema e non solamente una semplice somma di individui. Partire da questi concetti e strutturare un percorso di psicoterapia e/o supporto psicologico con psicoeducazione consente di trasformare i limiti di quel particolare sistema familiare in “risorse” per lo stesso, in tempi relativamente brevi con “una mira più precisa”.

LE RESISTENZE
Le resistenze incontrate, nel progetto specifico, sono state tante. Resistere ad un cambiamento fa riflettere. È la stessa resistenza che fa chiunque decide di affrontare un percorso di psicoterapia. È come se arrivasse allo specialista la frase “aiutami a cambiare, ma senza cambiare nulla”. Un’altra riflessione che è d’uopo fare è: cosa regge in piedi questo sistema con le sue dinamiche? Il lavoro svolto ha per certi versi fatto raggiungere ai vari sistemi familiari degli obiettivi importanti; dotando – il sistema e ciascuno – di strumenti utili ed atti a costruire in modo più libero il futuro. Ho preferito lavorare in modo più specifico su alcuni aspetti: i compiti di sviluppo dei genitori e lo sviluppo psicosociale dei bambini. Il bambino è predisposto, da subito, alla realizzazione di una comunicazione circolare con l’adulto, definito allevante. Questa modalità di comunicazione bidirezionale permette non solo il rafforzamento del rapporto tra genitori e figli, ma anche al bambino di sviluppare autostima, fiducia in se stesso e sicurezza. Il dialogo tra i due è considerato uno degli aspetti fondamentali per lo sviluppo emotivo e cognitivo del bambino, poi adulto. Se il bambino viene educato in tal senso, parteciperà attivamente a situazioni che coinvolgono la famiglia in primis, dandogli la possibilità di essere padrone di partecipare in modo attivo e proattivo alla vita sociale e alla gestione di situazioni con cui dovrà confrontarsi. È un allenamento alla vita. E cosa accade se tutto questo manca o comunque è deficitario? Un altro importante aspetto è stato quello di lavorare sulle emozioni. È sempre gratificante quando c’è una partecipazione attiva dei pazienti nel proprio processo di trasformazione: mettersi in gioco, tentare il riscatto della propria vita devono coincidere con l’opportunità offerta, in termini di forze e percentuali di impegno. Il primo grande cambiamento coincide con la progettualità della propria vita. Se non si progetta più, o non si è abituati a farlo, e questo è valido per chiunque, è presente sicuramente un appiattimento affettivo, cognitivo, relazionale. La progettualità è l’arma per combattere l’apatia, l’astenia, l’abulia, la vacuità. Non è mai semplice il lavoro con le famiglie, sia per la mole di difficoltà e dinamiche che comporta un investimento del genere sia per la svariata complessità di problemi strutturatisi nel tempo. Ma è pur vero che ribaltare, attraverso un lavoro di analisi, un sistema e vederlo non più fermo, statico, impassibile, ma pieno di dinamicità, regala anche a livello professionale delle soddisfazioni. Il lavoro non consiste nel modificare o riparare il sistema corrente. Bisogna puntare verso un livello molto più alto: è la costruzione di un nuovo sistema di significati. È da essi che ciascuno parte. “Conosci tutte le teorie, domina tutte le tecniche. Tuttavia per toccare un’altra anima umana, devi semplicemente essere un’altra anima umana”. (Carl Gustav Jung)

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