Home Chiesa e Diocesi Comunicare ai tempi del Covid19, intervista ed esperienze

Comunicare ai tempi del Covid19, intervista ed esperienze

Sempre più cruciali durante l’attuale emergenza sanitaria globale, le reti sociali sono divenute uno dei canali di informazioni più utilizzati dalla Chiesa cattolica, permettendole di raggiungere le comunità in isolamento

1277
0

Riportiamo l’intervista a Vincenzo Corrado, direttore dell’Ufficio Comunicazioni sociali della Cei, in cui vengono messe in evidenza la funzione svolta dai canali di comunicazione e social network durante il periodo più critico della pandemia, ma anche i punti deboli, quelle criticità sulle quali occorre lavorare. (Da vaticannews.va)

Isabella Piro – Città del Vaticano

Italia. Vincenzo Corrado (Cei): comunicazione è esistenziale
Infine, l’Italia. Qui, nel mese di marzo, il più critico della pandemia, la Chiesa locale (Cei) ha creato il sito web https://chiciseparera.chiesacattolica.it, per “dare segni di speranza e di costruzione del futuro”. Si tratta di “un ambiente digitale che raccoglie e rilancia le buone prassi messe in atto dalle diocesi, offre contributi di riflessione e approfondimento, condivide notizie e materiale pastorale”, divenendo così un vero punto di riferimento per i fedeli. “Le criticità, lo smarrimento, la paura non possano spezzare il filo della fede – è stato ribadito dalla Cei – ma annodarlo ancora di più in speranza e carità”. In questo contesto, è emersa con forza una caratteristica essenziale della comunicazione, ovvero il suo essere “primariamente esistenziale”, come afferma Vincenzo Corrado, direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della Cei: riferimento per i fedeli. “Le criticità, lo smarrimento, la paura non possano spezzare il filo della fede – è stato ribadito dalla Cei – ma annodarlo ancora di più in speranza e carità”. In questo contesto, è emersa con forza una caratteristica essenziale della comunicazione, ovvero il suo essere “primariamente esistenziale”, come afferma Vincenzo Corrado, direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della Cei.

“La pandemia ha messo in risalto, ancora una volta, l’importanza del comunicare, l’importanza di una comunicazione che sia intessuta di storie e di quell’aspetto narrativo che Papa Francesco ha focalizzato nel Messaggio per la Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali di quest’anno. Credo che la pandemia, con tutte le ferite profonde che ha prodotto, abbia messo in luce, ancora una volta e maggiormente, che ora ci attende un compito delicato di progettare un cammino comunitario che favorisca un maggior coinvolgimento di genitori, giovani e adulti. Questa progettazione è imprescindibile che avvenga attraverso il mondo della comunicazione. Abbiamo sperimentato, durante i giorni bui del lockdown e lo stiamo vivendo ancora adesso, che la comunicazione non è qualcosa di meramente strumentale o di accessorio, ma appartiene alla nostra stessa esistenza. Credo che questa sia la consegna primaria, maggiore che abbiamo ricevuto da questo tempo difficile: la comunicazione non è qualcosa di altro, non è qualcosa di esterno a noi, ma è primariamente esistenziale. Questa è una riflessione che io ho fatto a maggior ragione tenendo conto delle reti sociali che, in questo periodo, hanno favorito un certo tipo di comunicazione e di collegamento.”

Vincenzo Corrado

Durante il lockdown, le reti sociali hanno avvicinato di più i giovani alla Chiesa?
“Hanno favorito un loro maggior coinvolgimento, soprattutto nel momento in cui ci siamo tutti ritrovati chiusi nelle nostre case ed abbiamo riscoperto di far parte di una comunità che va oltre le barriere restrittive. In questo senso, le community hanno favorito una sorta di avvicinamento che, in quel momento particolare, non era possibile. Ovviamente, ora bisogna riflettere sull’utilizzo che è stato fatto delle reti sociali, perché abbiamo chiaramente scoperto che ancora persiste una sorta di analfabetismo digitale. Per cui, il fatto che i giovani si siano sentiti maggiormente coinvolti, oppure abbiano risposto in maniera notevole a determinati input che venivano dalle reti sociali ci deve far riflettere su un impegno educativo e formativo che non può essere più disatteso.”

In tempo di pandemia, possiamo parlare concretamente di “nuova evangelizzazione”, così come la definiva San Giovanni Paolo II, ovvero nuova soprattutto “nei metodi e nell’espressione”?
“Credo che la nuova evangelizzazione sia qualcosa che si rinnova di giorno in giorno. Naturalmente, bisogna riflettere moltissimo e tematizzare, anche all’interno delle nostre comunità, il fatto che questa nuova evangelizzazione avvenga con modalità rinnovate, cioè tenendo conto anche dei codici linguistici che le reti sociali hanno. Questo serve a non ingenerare confusione tra un messaggio, quello evangelico, che conserva la sua freschezza nel tempo, e la riduttività che può passare attraverso la concisione di messaggi più stringenti. La domanda che mi pongo sempre è proprio questa: può l’instantaneità comunicativa delle reti sociali contenere il messaggio evangelico che ha proprio nella freschezza la sua natura e che non viene svilito dal tempo, bensì si rinnova nel tempo? Ovviamente, la risposta può essere sì, ma il nostro impegno deve essere quello di rintracciare quei codici linguistici, capirli, saperli usare al meglio, proprio per non creare quell’effetto di mera trasposizione di contenuti di fede all’interno di una comunicazione che ha modelli e codici specifici. E qui entra in campo la nostra capacità di saper leggere, informare e formare sulle novità della comunicazione per poter far aderire al meglio il messaggio del Vangelo all’interno dei nuovi contesti.”

Gli strumenti di comunicazione sociale hanno portato la Chiesa vicina a tutti, nel periodo più difficile del lockdown. Hanno permesso anche alle persone di crescere nella consapevolezza della fede?
“Credo che, nel momento in cui abbiamo vissuto una sorta di buio totale a causa del lockdown, la fiamma della fede sia passata anche attraverso questi strumenti. Penso che essi abbiano favorito e catalizzato degli interrogativi che hanno a che fare con la nostra esistenza. Ci hanno permesso di prendere sempre più coscienza del fatto che siamo parte di un tutto, siamo parte di una comunità e che questa comunità era sulla stessa barca. Una barca che ha navigato anche nel mare delle reti sociali, tra sofferenze e speranze. E lì dove il dubbio, la domanda, la sofferenza hanno intravisto quel barlume che deriva dalla luce della fede, credo che una sorta di crescita ci sia stata.”

Durante il lockdown Clarus si è occupato di dar voce a diverse testimonianze che traducono la volontà del fare squadra tra Scuola, associazioni, volontari, ecc., che hanno continuato a impegnarsi anche nella fase più complessa, per amore del territorio. Eccone alcune:

Da “alunni a distanza” ad “alunni invisibili”. Luci e ombre sulla scuola al tempo del Covid19 (CLICCA QUI)

Coronavirus. I giovani accanto alle povertà. La Caritas della Diocesi di Alife-Caiazzo tra aiuti ed emergenze (CLICCA QUI)

Festa del Lavoro / Matese. “Ricomincerò da dove non mi sono mai fermato…” (CLICCA QUI)

 

 

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.