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Da Piedimonte a Letino. Quanto contano i legami? La formazione dei giovani in parrocchia. IL RACCONTO

Animatori ed educatori della parrocchia Santa Maria Maggiore di Piedimonte Matese hanno partecipato a una piacevole giornata formativa in compagnia dei giovani della parrocchia San Giovanni Battista di Letino

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Animatori ed educatori della parrocchia di Santa Maria Maggiore, i quali hanno curato anche le attività dell’estate appena trascorsa, si sono ritrovati a Letino, lo scorso 18 settembre, per una piacevole giornata di formazione. I giovani hanno partecipato alla riflessione dai toni psicologici guidata da don Davide Ortega, parroco di Dragoni, e con la presenza attiva di don Domenico Iannotta, parroco di Letino, e don Domenico La Cerra, parroco di Santa Maria Maggiore. Il recupero dell’umanità e del dialogo come valori fondanti delle relazioni interpersonali, di quell’apertura verso l’Altro, nonostante i propri limiti, che dà come “ricompensa” la salvezza in Cristo cui si richiama il passo del Vangelo di Matteo che ha ispirato la meditazione. (Cfr Mt 10, 35-45)

 IL RACCONTO
Anna Mannillo – Nella luminosa e ormai fresca mattinata del 18 settembre, noi ragazzi dell’Azione Cattolica della parrocchia di Santa Maria Maggiore di Piedimonte Matese ci accingiamo a raggiungere Letino, piccolo comune del Parco regionale del Matese, per incontrare i giovani della parrocchia San Giovanni Battista. La giornata si è aperta all’insegna della riflessione: dispostici in cerchio, abbiamo ascoltato con grande interesse le veritiere parole del parroco di Dragoni ed esperto in Psicologia, don Davide Ortega, che con sensibilità ha toccato tematiche a noi vicine, di cui spesso non abbiamo consapevolezza. Questi ha dapprima introdotto le problematiche legate ai rapporti interpersonali e al servizio, che può essere tanto quello rivolto ad una comunità parrocchiale quanto quello rivolto un qualsiasi gruppo, per poi analizzare nello specifico le principali concatenazioni causa-effetto che innalzano muri nell’atto comunicativo tra generazioni diverse.

 Da una generazione all’altra 
La generazione 1.0, ci ha spiegato Don Davide, durata circa un secolo, è quella dell’industria, del carbone, che si colloca quindi nel 1700; a seguire la 2.0, durata qualche decennio in meno è la generazione dell’elettricità, bene di primo consumo a cui oggi le società più avanzate non potrebbero mai rinunciare. I nati a partire dal Secondo Dopoguerra sono poi coloro che maggiormente si avvicinano, in termini di stili di vita, agli under 20: si tratta dei nostri nonni e genitori, i quali hanno visto sotto i loro occhi l’accelerarsi di un processo in divenire il cui protagonista è la tecnologia. L’avvento di nuove macchine, quali la lavatrice, ad esempio, ha inevitabilmente influenzato il modus vivendi del nucleo familiare e della società industrializzata in genere. È la generazione del fatidico computer, il nostro caro amico che ci ha tenuto compagnia nei mesi di quarantena, antenato di quei sistemi sempre più efficienti che in pochi decenni hanno raggiunto risultati eclatanti, spopolando nella nostra generazione, ossia la 4.0.
A partire dal 1985-1990 la rete Internet e i nuovi browser hanno impedito che ogni tipo di élite potesse occultare informazioni inerenti ad ogni campo della conoscenza. Potremmo dire che il XX secolo si posizioni agli antipodi rispetto al Medioevo, in cui ristrette caste sociali attingevano allo scibile umano, per alcun motivo accessibile alla “massa non filosofa”. Internet e il network hanno ribaltato la situazione, generando una vastissima libreria condivisa a livello globale dagli “users”, che continuamente mettono in comunione ogni tipologia di contenuto (mendace o veritiera che sia).

 “Allargamento di orizzonti”: quali gli effetti collaterali? 
Il risultato di questo “allargamento di orizzonti” ha prodotto nella 4.0 una rottura di quegli schemi mentali di cui ancora erano succubi le precedenti. Gli scienziati spiegano come in toto la formamentis di noi giovani sia stata modificata: basti pensare al sistema rapido di passaggio da un link ad un altro attraverso uno smartphone, basta un click. Questi voli pindarici da un cassetto ad un altro della libreria del network corrispondono alla prerogativa del nostro cervello: passare senza un apparente filo conduttore da una finestra di pensiero ad un’altra, portando come è chiaro ad una frantumazione di quei paradigmi mentali e dogmi di pensiero a cui erano ancora ancorati i nati prima di noi, non abituati ad una tale rapidità e globalizzazione.
Quali sono gli effetti collaterali? Il deficit della 4.0 è dimostrato essere, di contro, un’estrema fragilità: abituati a pigiare su uno schermo per ottenere nell’immediato ciò di cui abbiamo bisogno, diversi studi ci classificano come i giovani non abituati al do ut des, al sacrificio.

Inoltre, bombardati di stereotipi di bellezza e bravura dai social e dalle pubblicità e spinti ad essere sempre più competitivi in questa società capitalista fino al midollo, il tasso di ragazzi che si suicidano, masochisti, affetti da depressione o altri disturbi della personalità è nettamente aumentato rispetto al secolo precedente. Don Davide ci spiega allora, in conclusione, che l’unico modo per sì che lo sviluppo tecnologico vada di pari passo con quello della persona e perché non ci faccia suoi schiavi, è affidarci alla memoria storica. Recuperare e tenere a mente tutto il buono del passato è ciò che ci permetterà di rielaborarlo in chiave innovativa, come una sorta di imitatio-aemulatio: processo che i romani adottavano nel riprendere e contestualizzare la letteratura greca ai loro tempi. Stare in società è ciò che ci distingue dagli animali: la capacità comunicativa è il motivo per cui Aristotele ci definisce ζῷον πολιτικόν, dal greco “animali sociali”, che per questo hanno necessità di rapportarsi al prossimo e vivere in relazione al prossimo. Da ciò deriva il sistema “gruppo”, che può essere un gruppo di lavoro, di amici, adesso vanno di moda i gruppi whatsapp. Il primo più deducibile motivo per cui si sceglie di stare in un gruppo, dunque, è far del bene a se stessi, sopperire ad una nostra fisiologica propensione. Vivere da soli senza un continuo rapportarsi al mondo significherebbe la morte sociale, specialmente nei nostri tempi.

 Nel dialogo il riscatto 
Proprio per questo, ciò che maggiormente conta è il dialogo, cercare di problematizzare e confrontarsi con le generazioni passate, tenendo conto delle enormi differenze storiche nonché di impostazione di pensiero che ci vengono dal contesto sociale in cui si è cresciuti. Dopo quest’appassionante introspezione di cui si è fatto partecipe il nostro caro seminarista Fernando D’Andrea nella sua veste di intermediario e operoso al fianco di entrambe le parrocchie, abbiamo gustato il delizioso pranzo offertoci dai ragazzi di Letino per poi incamminarci verso il meraviglioso lago di Letino, godendo dell’aria e dei suoni della natura. Don Domenico Iannotta e don Domenico La Cerra, parroci delle parrocchie riunitesi in questo splendido luogo, hanno assistito attivamente al dibattito e pranzato insieme a noi, lasciandoci il loro saluto e onorandoci della loro presenza.

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