Agensir – “Carlo è passato in mezzo a noi come una meteora. Morto a soli quindici anni: quale disgrazia e quale strazio per i suoi e per quanti gli volevano bene! Ma nei disegni di Dio, quella disgrazia nascondeva una grande grazia. Quella meteora ha lasciato una scia di luce che lo rende ancora vivo e operante in mezzo a noi”. Lo ha detto il vescovo di Assisi–Nocera Umbra–Gualdo Tadino, mons. Domenico Sorrentino, al termine della santa messa che ha dato avvio agli eventi collaterali alla beatificazione di Carlo Acutis, in programma il 10 ottobre, nella basilica di San Francesco.
Al termine della celebrazione nel santuario della Spogliazione, alla quale hanno preso parte anche i genitori di Carlo, è stata aperta la tomba con il corpo del giovane che resterà visibile fino al 17 ottobre. Carlo, ha aggiunto il vescovo, “è stato mandato come uno dei discepoli dei quali ci ha parlato il Vangelo; quelli che avevano il compito di battistrada, per preparare la via a Gesù, ed erano mandati ad annunciare la pace: ‘Pace a questa casa’. Inviati come agnelli in mezzo ai lupi, ma sapendo di essere i portavoce del buon Pastore”.
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Emozioni da custodire insieme a quel volto. Fede semplice e tenace. Dolce. Tanta gente (con distanziamento) dentro, altrettanta fuori il santuario della Spogliazione, qui ad Assisi. E quando il vescovo apre la tomba, la gioia nel bel pianto di qualcuno. Il volto ragazzino (ricostruito) di Carlo Acutis che si rivede quattordici anni dopo, la luce all’interno che fa le bizze, non s’accende per un po’ e non importa a nessuno, quel volto fa tenerezza.
Poi il pellegrinaggio che comincia, prima di chi era a Messa, poi, nelle ore seguenti, di chi viene a salutare questo quindicenne morto nel 2006 che sarà proclamato beato il 10 ottobre e già più di qualcuno propone come patrono di Internet. Intanto sua mamma, Antonia, sorride. «Carlo ha combattuto – racconta lei –. Si è modificato, si è rafforzato nella fede. Aveva magari troppa chiacchiera, aveva un po’ la… gola e s’è tolto quelli che erano i suoi difetti. Ha combattuto, ha fatto uno sforzo, si metteva i voti da solo sul diario. Aveva questa priorità, mettere al centro della sua vita Gesù.
Ha avuto questa sua grande fede, ma ha fatto i suoi sforzi. Dobbiamo farlo tutti, possiamo. Affidandoci alla Chiesa, come Carlo». Gioca a pallone, è tipetto vivace, fisicamente prestante, ha un mare di amici, ogni giorno non manca alla Messa, alla recita del Rosario e all’adorazione eucaristica. Fa la Prima Comunione a sette anni (con un permesso speciale). La sua famiglia è più che benestante, lui non si scompone, né perde la sua umiltà, che è grandissima. Ha rispetto profondo e sincero per chiunque, però non rinuncia mai, confrontandosi con i suoi amici, a testimoniare la sua fede: «Non io, ma Dio», ripete spesso. E anche «tutti nascono come degli originali, ma molti muoiono come fotocopie».
Naviga spesso su Internet. Il suo mito digitale è Steve Jobs, gli piace molto una sua frase: «Il vostro tempo è limitato, non sprecatelo vivendo la vita di qualcun altro ». All’inizio dell’ottobre 2006 s’ammala, diagnosi terribile: leucemia fulminante. Carlo Acutis muore il 12 dello stesso mese e lo aveva in qualche modo visto prima: «Morirò giovane», aveva detto. Gli stessi medici che lo curano sono stupiti dai suoi ultimi giorni e dal suo coraggio.
Oggi, sul web, due o tremila siti (in tutto il mondo) raccontano di lui. Mirco ha ventinove anni ed è con sua madre Maria, appena arrivati da Potenza Picena: «Siamo venuti qui – dice lui – perché avevamo seguito Carlo tanto, anche sui social, su Facebook». Noi giovani usiamo i social spesso per le cavolate, invece Carlo mi aveva veramente colpito». Così ha deciso di prendere la macchina e venire con la madre. Lei non era decisissima, magari non voleva partire, è periodo assai duro per loro, «abbiamo avuto un dramma familiare col Covid », spiega: suo marito, il papà di Mirco, è morto da poco per il coronavirus. Stamane sono qui, «ed è stata una ‘chiamata’ provvidenziale », dice ancora lei, sorridendo: «Perché quando ho assistito alla cerimonia dell’apertura della tomba di Carlo, le lacrime mi scendevano quattro a quattro… Mi ha mosso il cuore vedere un giovane così bello già beato. Mi ha dato pace».
Non sono i soli ad essere arrivati da fuori. C’è gente da mezza Italia: molti giovani, molti anziani. Si fermano qualche istante, guardano Carlo, pregano, qualcuno s’inginocchia, vanno via sorridendo. Carlo amava l’Eucaristia, «è la mia autostrada verso il Cielo, se le ci si accosta ogni giorno, si va dritti in Paradiso », spiegava. Amava gli altri, amava i poveri, lo ricorda l’arcivescovo, monsignor Domenico Sorrentino, nell’omelia. Nella tomba, Carlo indossa jeans e felpa. Il Rosario intrecciato fra le mani…
Fonte avvenire.it