“Non uccideteci” è l’appello dei Ristoratori del Sannio e Alto Casertano, un gruppo di giovani e adulti che nei mesi del lockdown primaverile ha alzato la voce provando a spiegare come il loro lavoro (e la loro vita) stava cambiando.
Si sono aggregati in 500 per fare appello, in forma civile e competente, alle autorità politiche di ogni livello spiegando che l’essere piccoli o confinati in aree di periferia non è il limite ma il valore aggiunto al patrimonio di un’intera regione.
Anche ristoratori di Piedimonte Matese, Alife, Caiazzo, San Gregorio Matese…nel gruppo dei 500.
Il loro appello è ritornato due giorni fa, ancor prima dell’annuncio di ieri da parte del Governatore della Campania Vincenzo De Luca, in cui anticipa una nuovo blocco totale.
Un nuovo lockdown mirato a chi o a cosa la popolazione campana è in attesa di conoscerlo e nel frattempo si affida alle ipotesi di peggior futuro in termini di economia, sviluppo, relazioni, salute…
È un sabato mattina denso di contenuti, forse troppi a causa del sovrapporsi di umori contrastanti e di parole superflue, ma di sicuro non sono superflue le preoccupazioni.
C’è una richiesta precisa da parte di questa fetta di artigianato: che la politica riconosca la differenza tra le aree a bassa densità di popolazione e quelle dei centri metropolitani e a tal proposito prenda decisioni adeguate e differenziate.
Il piccolo commercio locale è altra cosa rispetto a quello preso di mira per contagi causati nelle ultime settimane nei luoghi più affollati…esso si distribuisce nelle ore, è lento, è pacato, moderato dalla normale necessità dei clienti di non rientrare tardi la sera.
“Noi siamo uno dei moltissimi paesini di 2000/3000 abitanti, una di quelle fantastiche cartoline che vi piace vedere la domenica“, hanno scritto duo giorni fa i Ristoratori del Sannio e Alto Casertano, portando all’attenzione della politica una chiara lettura dei fatti e del malessere di questo momento, chiedendo più serietà, chiedendo di non essere sfruttati come comodo biglietto da visita quando di questa Regione bisogna mostrare il meglio da vendere e tutelare e promuovere.
“Noi siamo quell’area dimenticata che ostentate per le biodiversità della Campania. Noi siamo la terra del vino riconosciuto in tutto il mondo. Paesini con almeno 10 km di distanza, nuclei urbani e metropolitani inesistenti, senza centri commerciali, con solo in rarissimi casi le piazze affollate che restano comunque facilmente gestibili. (…) Noi oggi chiediamo e pretendiamo urgentemente venga riconosciuta la differenza tra le aree a bassa densità di popolazione e quelle dei centri metropolitani e costieri. Chiediamo un connettore con la Regione o un rappresentate costante per poter dialogare nell’interesse comune. Chiediamo la messa in campo di strumenti finanziari per contrastare l’emergenza. Chiediamo vengano analizzate e comprese le perdite del Wedding e come sostenerle”.
Appello che sintetizza la voce di proprietari, dipendenti e famiglie: non considerare le realtà commerciali campane al pari tra loro, ma distinguere piani e strategie politiche a seconda dei territori, delle densità urbane, delle necessità di un luogo o di un altro, del costo della vita in un contesto piuttosto che in un altro. È l’appello ad una politica che sappia concretamente essere vicina alla gente, ma non secondo i criteri del marketing applicato in campagna elettorale (come nella ultima propaganda in vista del rinnovo del Consiglio regionale affidandosi a dispendiose agenzie “pubblicitarie”).
Cosa caratterizza questo appello? L’essere in tanti, l’essere persone semplici legate ai luoghi di origine e grazie alle quali quei posti – in nome del buon cibo – hanno ancora l’alibi (talvolta è tristemente solo un alibi) per non essere dimenticati (peccato considerare la “bontà” di un paese solo per la sua pizza o carne alla brace piùttosto che per i suoi monumenti, che ci sono ma l’incuria lascia decadere… Ma questa è materia di un futuro racconto).
“Chiediamo alla task force della Regione di venire a visitare quello ad oggi voi non conoscete: il territorio del Sannio ed Alto Casertano. La nostra disponibilità, dopo anni di sacrifici, non può essere un suicidio dato da regole incomprensibili. Noi oggi non chiediamo di sopravvivere ma di far sopravvivere un intero territorio. Che ci è troppo caro per poterlo lasciar morire. Dialogando, o combattendo, perché rimanga la primizia d’Italia e del Mondo”.
Parole che si sommano a quelle emerse ieri da più parti in tutta la Regione e con altrettante esigenze di fondo, ma non di certo dalla folla agitata e pericolosa di Napoli che ha preso d’assalto Polizia e giornalisti dando della Città e dei lavoratori locali l’immagine di un’indomita e sorda società. Peccato non essersi mai ribellati così violentemente ai tanti altri mali che feriscono a morte la Città!
Si solleva da stanotte un altro coro: un numeroso grido dai cittadini e dai politici di ogni schieramenteo che prendendo le distanze dalla violenza manifestata nel capluogo di regione, difende i lavoratori che civilmente provano a spiegare orari di lavoro e di vita diversi da tutelare nonostante il Covid. Peccato che ad interrompere il tentato dialogo tra essi – i lavoratori – e la Politica si interponga ormai da qualche mese una fetta di popolazione delirante che al rispetto delle regole proprio non ci sta e appena gli è riuscito, ha calpestato il sacrificio sofferto da quegli stessi baristi, ristoratori, cantanti alcuni mesi fa. Erano necessarie tante misure e tante soluzioni. Era necessario anche il senso civico di ognino.
“Ogni giorno ci viene offerta una nuova opportunità, una nuova tappa” ha scritto di recente Papa Francesco nell’enciclica “Fratelli tutti”. “Non dobbiamo aspettare tutto da coloro che ci governano, sarebbe infantile. Godiamo di uno spazio di corresponsabilità capace di avviare e generare nuovi processi e trasformazioni”. Una riflessione che viene fuori proprio dalla esperienza che il Pianeta sta vivendo dallo scorso febbraio. E Napoli e la Campania, sono parte di quel pianeta.
Prudenza, regole, rispetto, responsabilità: abbiamo imparato ancora poco.