Nel 2015 alla nostra Redazione giungeva inaspettatamente la telefonata di Vincenzo Mennea, fratello del campione di atletica leggera Pietro Mennea, la “freccia del Sud”, il giovane che aveva raccolto titoli e trofei sulle piste di gara sorprendendo il mondo intero, fissando nuovi e inaspettati record…
In quei giorni era da poco andata in onda una fiction su RaiUno che raccontava la vita del giovane sportivo di Barletta e sulle nostre pagine avevamo lavorato ad una recensione. Da allora non è più venuto meno il contatto con la famiglia Mennea che oggi nuovamente torna a proporci uno “spaccato” della vita sana e genuina, di sacrifici, di onore e di lavoro ma in particolare il ricordo di Carlo Vittori, allenatore dei record del campione Pietro, o più profondamente suo angelo custode, scomparso nel 2015.
Vincenzo Mennea – Giorni addietro, ho appreso che, con immenso piacere, hanno donato al Comune di Ascoli Piceno un busto bronzeo di Carlo Vittori che lo ritrae con il cronometro al collo come fosse in una seduta di allenamento. Ho trovato il dono una bella idea, intenta a ricordare un uomo che, forse a volte dimenticato, ha dato ed ha fatto tanto per lo sport italiano ma anche un’opera che nella sua rappresentazione è riuscita, a mio parere, a riprodurre non solo l’attimo ma ad incarnare lo spirito e l’essenza che lo contraddistinguevano. Diversa sorte, ahimè, è toccata a mio fratello Pietro ed al busto che lo ritrae nella stazione di Barletta. Non voglio in questa sede entrare in polemica con alcuno e per questo mi limiterò a far scendere un velo pietoso su di un’opera che, se così si può chiamare, nulla ha a che vedere con quella dedicata al suo grande allenatore.
Molteplici potrebbero essere i miei aneddoti sul grande Vittori, alcuni privati e più intimi, lì serbo in me custodendoli gelosamente, altri, invece, meno riservati, per così dire, amo condividerli. Ricordo, ad esempio come se fosse ieri, quando veniva a casa mia ospite dei miei genitori, allora io ero ancora piccolo ma rammento con vivida memoria di quando lo accompagnavo al caffè dei fratelli Mazzocca (Franco e Vito). Mi viene in mente il suo modo di fumare, di parlare, la sua pacata saggezza; era un uomo che, malgrado fosse alle volte di modi spicci e genuini, serbava in sé una profonda sapienza frutto di una spiccata umanità e sensibilità. Solitamente, quando andavamo al bar si univa a noi Pietro e ricordo il capannello di gente che si faceva intorno a lui, l’allegria delle persone che lo incontravano, il piacere dei miei concittadini di vedere un figlio di Barletta che era divenuto un campione ed era riuscito a dare lustro alla città. Credo, in cuor mio, che mio fratello abbia rappresentato altro per i barlettani, sono sicuro che in lui si sia incarnato la voglia di riscatto di una intera comunità che, attraverso le sue gesta e le sue vittorie, ha fatto conoscere al mondo intero la sua esistenza. La cosa bella in tutto questo che, e sorrido a ripensarci, il caffè o quel che era veniva sempre offerto dai proprietari del bar. Ora che mi trovo qui a scrivere queste poche righe, nella mia memoria si affastellano rimembranze che consideravo sopite, ricordi a cui non pensavo da tempo forse coperti dalla polvere degli anni o dagli avvenimenti infausti che accompagnano l’esistenza d’ogni uomo su questa terra. Rammento la fidanzata di Pietro, Patrizia, quando veniva a Barletta, spero che non me ne vorrà se ho fatto il suo nome, ma ancora impressa è, negli occhi del ragazzo che ero, la sua bellezza, la sua voglia di vivere, l’allegria che sapeva infondere con il suo sorriso, rammento quella capacità, comune a sole poche persone, di riuscire rischiarare tutto con la sola presenza, mi vengono in mente gli amici di mio fratello Gianpaolo di Roma, studente di giurisprudenza, e Francesco di Ponza, studente di scienze politiche.
Ricordo e rivivo quei momenti, io posso farlo perché, a differenza di tanti che scrivono di cose che non sanno, quegli istanti gli ho vissuti in prima persona e nessuno me li ha raccontati.
Ho letto, anche di recente, e di questo mi dolgo che, ancor’oggi, c’è chi parla della mia famiglia, dei miei genitori, c’è chi, ritenendo di dover parlare per un diritto di cronaca o cultura inesistente, pensa di poter argomentare su persone e fatti a lui estranei ma personali ed intimi per altri. Ebbene, credo che il miglior vaccino contro i supponenti, contro i millantatori, contro chi si arroga il diritto di entrare senza permesso nella privacy di una famiglia, sia quello di affrontarlo sul suo stesso terreno, descrivendo e raccontando fatti reali, vissuti in prima persona da chi scrive e veri senza paura di smentita alcuna.
È così, in questo piccolo excursus, mi salta agli occhi la figura di mio padre Salvatore, bravissimo sarto, persona precisa ed onesta, uomo di grande caratura morale. La c.d. Barletta bene era sua cliente, come lo era anche una nobildonna, contessa di Margherita di Savoia, se la memoria non m’inganna. I miei erano genitori esemplari, forse ogni figlio dirà la stessa cosa, ma lui era un uomo completamente dedito alla famiglia ed al lavoro, ci ha amato incondizionatamente non si è mai aspettato nulla in cambio, rigido, forse, nell’educazione ma ha sempre preteso che l’onestà fosse la virtù principale di ognuno di noi, mi diceva: “se l’uomo non è onesto, ricorda figlio mio, non è niente”, queste sue parole mi risuonano ancor oggi nel cervello. Di quelle frasi, delle sue perle di saggezza, come dico io, ma soprattutto con il suo esempio di uomo, marito e padre, ha intriso la personalità di ognuno di noi. Fumava le Nazionali senza filtro che io stesso gli andavo a comprare dal tabacchino sotto casa. Rammento Tonino il proprietario, ricordo di mio padre mentre fumava e lavorava e del suo passaggio dalle Nazionali alle MS. Forse chi legge non può comprendere sino in fondo quanto intimi e personali siano certi momenti del passato, sicuramente chi scrive di altri senza conoscere appieno la realtà delle cose non si preoccupa della violenza che certe parole suscitano nell’animo di chi, come me, ha vissuto quei momenti ed ha amato profondamente quelle persone.
Carlo Vittori era spesso ospite, come dicevo, a casa nostra ed amava, come mio padre, gli spaghetti che mangiava con ogni condimento. Rammento ancora la prima volta che vide mio padre Salvatore mangiarli con la forchetta ed il cucchiaio, per lui era una novità assoluta, quel modo, forse contadino, sicuramente verace di mangiarli lo colpì molto tanto che in seguito, ogni volta che veniva a casa mia e mia madre preparava gli spaghetti, anche lui li mangiava come mio padre. Posso dire che, senza paura di poter essere smentito, a casa mia ha assaggiato per la prima volta in vita sua i gamberi e gli scampi, a volte anche crudi, una prelibatezza che colpì molto positivamente Vittori divenendo un amante di quello che noi chiamiamo “il crudo di mare”. Carlo per me e non solo era divenuto uno di casa, uno zio acquisito, una persona molto rispettata dai miei genitori e da Pietro che seguiva incondizionatamente ogni suo consiglio. Vittori è stato un grande uomo, senza dubbio alcuno un grade allenatore di atletica leggera che ha avuto la fortuna di trovare sulla sua strada mio fratello, Pietro, talento unico ed ha saputo tirare fuori da quel ragazzo acerbo qualità che credo neanche mio fratello immaginava di avere. Mia madre era solita dire che nella vita gli angeli si incontrano e sono quelli che ti aiutano a migliorarti, soccorrendoci nelle scelte, proteggendoci quando siamo più fragili.
Ecco cosa è stato Carlo Vittori per mio fratello Pietro Paolo Menna e forse lo è stato un po’ per tutti noi che lo abbiamo conosciuto veramente ed amato.
Credo che queste parole siano la chiosa finale di questo mio breve scritto, non c’è qui spazio per descrivere momenti brutti e difficili che ci sono sempre nella vita di ognuno di noi, questo è il momento di celebrare un grande uomo e allenatore e con lui il campione che è riuscito a far conoscere Barletta al mondo.