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La morte non è l’ultima parola. 2 novembre, nel ricordo di tutti i defunti

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In quanti modi i Papi della modernità hanno risposto all’angoscia esistenziale dell’uomo circa il trascorrere del tempo e la limitatezza della vita? Ciascuno in relazione alle tragedie del proprio tempo che, se da un lato hanno variamente confermato tale finitudine, dall’altro continuano a trovare risposta nella medesima certezza della resurrezione.

Questa mattina il sito d’informazione Vatican News ci mette a disposizione preziosi documenti: direttamente dalle parole dei Pastori della Chiesa di Roma, un riflessione che apre alla speranza e ci avvicina all’esperienza delle Resurrezione di Cristo.

 PAOLO VI 
Poi pensiamo ai Morti; ai nostri Defunti. È una memoria doverosa: tutto ciò che siamo ed abbiamo, si può dire, ci viene da loro. È una memoria benefica, che ci fa buoni, saggi e pii. Ci riempie di ricordi, che non finiscono in una desolata nostalgia del passato; ma ci aiutano a vivere bene, a sperare, a pregare.
Così papa Paolo VI all’Angelus del 1° novembre 1968. La ventata rivoluzionaria di quell’anno sconvolto da violente contestazioni giovanili rischiava di annientare con un colpo di spugna le testimonianze delle generazioni passate. Tutto ciò che sapeva di passato doveva essere distrutto. Quale migliore occasione per ribadire al contrario il valore della memoria.
Questa memoria è una pietà molto umana: dai morti noi abbiamo ereditato la vita. Ed è memoria molto saggia; ci è maestra della storia; ci dice il prezzo pagato per la nostra civiltà, in molti casi anche per la nostra libertà; e ci riconduce sulle rive di quel fiume prezioso, che si chiama la tradizione, fiume spesso dimenticato e disperso dalle rivoluzioni, ribelli e poi conservatrici tenaci; e fiume, per noi sempre indispensabile, quando ci porta l’acqua sempre pura e viva del Vangelo. Poi la lezione dei ricordi diventa lezione di filosofia della vita, circa la sopravvivenza dell’uomo oltre la morte.

2 novembre dell’Anno Santo 1975.
E’ proprio dalla tradizione, dalla custodia della memoria di chi non c’è più che viene rafforzato il senso del Vangelo, la continuità e l’eternità dell’annuncio di Cristo. Tanto più in un tempo che… “brucia il tempo”, nel cosiddetto secolo breve.
Ecco: il pensiero della morte diventa pensiero sul tempo e sull’eternità….

La morte diventa il cardine di giudizio circa il tempo, circa i valori che il tempo genera e poi divora, e circa quei valori che vanno al di là del tempo, primissimo fra essi la nostra stessa esistenza; l’anima umana non è forse immortale? e non trasferisce forse il nostro destino oltre il tempo, oltre la morte del corpo? E non è questo il massimo problema della nostra esistenza? problema così grande, la cui soluzione positiva sostiene l’uomo, anche nella valutazione della sua vita presente, e così misterioso che solo la Parola vivente della fede rischiara di luce e di speranza? Ed è proprio in virtù di questa luce e di questa speranza, che ci sono care le tombe dei nostri Defunti.

Ogni epoca testimonia la morte in contesti diversi. La metà del secolo scorso la vide con violenza diffondersi nelle città di mezzo mondo a causa della guerra. Distruzioni e macerie, dolore senza fine…
La morte vi ha spezzato il cuore e inflitte ferite lente a rimarginarsi. Il pensiero a care tombe lontane rimaste forse sconosciute, l’ansietà per gli scomparsi o dispersi, il sospiro bramoso di riabbracciare i vostri amati prigionieri o deportati, vi mettono in una pena che accascia il vostro spirito, mentre un avvenire grave ed oscuro incombe su tutti, genitori e figli, giovani e vecchi.

 PIO XII 
Così nel pieno del conflitto Pio XII diffuse un accorato radiomessaggio natalizio. Era il 24 dicembre 1943 e alla pietà delle tombe lontane rimaste forse sconosciute fece corrispondere l’invitabile richiamo a ciò che identifica con certezza noi cristiani.

…la morte e le sofferenze di questa vita terrena perdono la loro dolorosa amarezza per coloro, che possono con tranquilla e serena coscienza far propria la commovente preghiera della Chiesa nella Messa per ì defunti : « Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita viene cambiata, non tolta, e quando è disciolta la dimora di questa abitazione terrena, sta preparata in cielo un’abitazione eterna » Mentre gli altri, che non hanno speranza, si trovano davanti ad un abisso pauroso, e le loro mani, brancicando alla ricerca di un punto di appoggio, palpano il nulla, non dell’anima loro immortale, ma di una sfumata felicità oltremondana; voi invece, per la grazia e liberalità di Dio misericordioso, oltre la morte certa… avete l’ineffabile divina consolazione della promessa d’immortalità….

L’abisso pauroso: così papa Pio XII descrive il nihilismo del Novecento che spesso attanaglia l’agnostico, incapace di quella speranza che per il cristiano passa anche attraverso la memoria rispettosa e pietosa di chi non c’è più, attraverso la consapevolezza della dignità che caratterizza ogni esistenza.

 GIOVANNI PAOLO II 
Anni Ottanta. Il liberismo occidentale sembra avere avuto la meglio su modelli di vita più austeri. Edonismo e consumismo riducono le persone a soggetti consumatori, a semplice valore economico. Ma non può limitarsi a questo il senso di ogni vita umana.

Oggi, fratelli e sorelle carissimi, noi preghiamo per i defunti: in questi giorni ci rechiamo in visita ai cimiteri, quali pellegrini oranti, per implorare pace eterna ai nostri cari. Davanti a quelle tombe s’afferma dentro di noi l’aspirazione a vincere la morte, prende consistenza il respiro di eternità che abita nei nostri cuori.

Noi decoriamo, infioriamo, abbelliamo quelle tombe, perché il nostro cuore ci dice che un corpo avvolto nell’immobilità fredda della morte non è, non può essere, l’ultima parola di una vita. Un’immensa trama di progetti, di potenzialità solo parzialmente espressi, le attese di un mondo più giusto e più umano, il calore degli affetti, la fatica delle quotidiane fedeltà, tutto questo tesoro di bene non può essere murato nel silenzio implacabile del nulla.

E’ il 2 novembre 1986. In anni di materialismo sfrenato, papa Giovanni Paolo II ci ricorda quale occasione può rappresentare la morte per confidare nella Resurrezione, e anche per coltivare la virtù teologale meno frequentata nei nostri tempi…

Nella mia Enciclica sulla speranza cristiana, mi sono interrogato sul mistero della vita eterna (…) Mi sono chiesto: la fede cristiana è anche per gli uomini di oggi una speranza che trasforma e sorregge la loro vita (…)? E più radicalmente: gli uomini e le donne di questa nostra epoca desiderano ancora la vita eterna? O forse l’esistenza terrena è diventata l’unico loro orizzonte? In realtà, come già osservava sant’Agostino, tutti vogliamo la “vita beata”, la felicità. Non sappiamo bene che cosa sia e come sia, ma ci sentiamo attratti verso di essa. E’ questa una speranza universale, comune agli uomini di tutti i tempi e di tutti luoghi…

 BENEDETTO XVI 
2 novembre 2008, Angelus di Benedetto XVI. Proprio la certezza della morte ci fa interrogare sulle aspettative dell’uomo contemporaneo, sulla sua sostanza spirituale, sulla sua capacità di confidare nella immortalità dell’anima. Proprio grazie al pensiero della morte affiora dunque la speranza dell’eternità.

Rinnoviamo quest’oggi la speranza della vita eterna fondata realmente nella morte e risurrezione di Cristo. “Sono risorto e ora sono sempre con te”, ci dice il Signore, e la mia mano ti sorregge. Ovunque tu possa cadere, cadrai nelle mie mani e sarò presente persino alla porta della morte. Dove nessuno può più accompagnarti e dove tu non puoi portare niente, là io ti aspetto per trasformare per te le tenebre in luce.

 GIOVANNI XXIII 
Tra le tenebre della disperazione e la luce della speranza si gioca nel cuore dell’uomo un conflitto eterno, fin dall’alba della storia. Fino a quando, nella storia umana, qualcosa è cambiato per sempre. Lo ricorda papa Giovanni XXIII nell’omelia della Pasqua del 29 marzo 1959:
….in Cristo Gesù (…) la morte e la vita si batterono in un duello tremendo. Il Padrone della vita trionfa sulla morte: e la vittoria di Lui è la vittoria della sua Chiesa nei secoli. Sgombriamo dunque il nostro spirito da ogni sgomento : ed apriamo il cuore alle più belle speranze verso l’avvenire. (…) Sul sepolcro glorioso di Cristo vogliamo deporre l’augurio che nella luce di Lui, sorgente della vita, vincitore della morte, la buona volontà di tutti gli uomini più responsabili delle sorti dei popoli voglia trovare, nello spirito prevalente di giustizia e di collaborazione, la soluzione concorde di ogni dissidio, per il superiore interesse della pace del mondo.

di Laura De Luca – Vatican News

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