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Commento al Vangelo di domenica 22 novembre, Cristo Re dell’Univero

Commento al Vangelo della XXXIV domenica del tempo ordinario, solennità di Cristo Re

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Di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano
Giudizio finale, Beato Angelico, Firenze Museo di San Marco

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XXXIV domenica del Tempo ordinario, solennità di Cristo Re dell’Universo
Ez 34, 11-12.15-17; Sal 22; 1Cor 15, 20.26.28; Mt 25 31-46

Questa solennità nell’ultima domenica dell’anno liturgico fu voluta da Papa Pio XI nel 1925; il Papa fu spinto a creare questa festa da molteplici riflessioni e non ultima da quella di voler rendere relative le suggestioni dei regimi che in quel tempo pretendevano dai popoli un’adesione personale ed assoluta.

Soffermarsi sulla regalità di Cristo è meditare sulla sua signoria sulla storia e sulla vita dei credenti…una signoria che Paolo, nel passo della sua Prima lettera ai cristiani di Corinto che oggi si legge, collega alla Croce e alla Risurrezione di Cristo. Non è una signoria solo di natura (“Credo in un solo Signore Gesù Cristo”) ma è una signoria che Egli ha conquistato, nella storia, a prezzo del suo sangue…una signoria che ha lo scopo di liberare e non di schiavizzare; una signoria, infatti, che ha lo scopo di vincere i nemici dell’umanità, quei nemici che rendono meno uomo l’uomo…e l’ultimo nemico che dovrà essere annientato è quello che Gesù già ha vinto a Pasqua: la morte.

Una signoria così è una signoria che per il solo fatto di essersi rivelata a pieno sulla Croce, nell’amore fino all’estremo, è una signoria che giudica il non-amore dell’uomo.

Anche Ezechiele, nel suo oracolo, che ha costituito la Prima lettura, ci mostra un pastore buono che ha cura amorosa per le sue pecore, le raduna, dà loro la vita e per questo la sua presenza è giudizio e discernimento tra pecore e capri…un’immagine questa che tornerà nel racconto di Matteo della parabola del Giudizio finale; in questa grande parabola di Matteo la signoria di Cristo si rivela nel giudicare tutta l’umanità con il metro dell’amore.

Il veniente è il Figlio dell’uomo ed è re…sappiamo bene, però, che il Figlio dell’uomo è Gesù di Nazareth, rifiutato, perseguitato, assassinato sulla croce come un malfattore…è dunque sì un re ma un re che ha condiviso con l’uomo la fame, la nudità, la solitudine, l’abbandono. E un re che allora può legittimamente identificarsi con i poveri e gli ultimi, con i più umili. È un re che pure nella sua funzione di giudice universale non rinunzia alla logica che ha guidato tutta la sua esistenza terrena; è la logica dell’Emmanuele, la logica del sedere alla mensa dei peccatori e dei piccoli, la logica di mettersi dalla parte delle vittime e dei curvati.

È un re che ha continuato ad essere presente nella storia anche dopo la sua “partenza”… vi è rimasto “in incognito” sotto le spoglie dei suoi fratelli più piccoli.

È chiaro, dunque, che non c’è contrasto tra questa pagina “gloriosa” e la croce; qualcuno ha anche detto che alla logica dell’amore (la croce) qui si sostituisse quella del trionfo e della potenza (il giudizio).
È assolutamente falso!
Questo Giudice fa perfettamente quello che fa il Crocefisso: svela il senso dell’amore, un amore che appare paradossalmente perdente mentre, in realtà, è vincente! Il Crocefisso, infatti, apparve agli occhi del mondo un essere inutile e maledetto, un fallito; invece fu salvezza e benedizione, fu rivelazione di senso; il Crocefisso apparve abbandonato persino da Dio che così pareva dire parole di smentita su tutta la sua vita…quell’amore nascosto e disconosciuto diventò invece salvezza e benedizione e da quell’amore grondante sangue e solitudine fiorì la risurrezione e la speranza. Così è in questa pagina: il Giudice seduto sul trono della sua gloria svela l’uomo all’uomo e lo fa alla luce della croce! Questo Giudice è il Crocefisso e proclama che solo l’amore dona all’uomo umanità e consistenza, solo l’amore fa entrare nella vita (Venite, benedetti dal Padre mio!).

In questa terza parabola, dopo il grande discorso escatologico, la vigilanza appare come capacità di sporcarsi le mani per quelli che sono i piccoli, gli esclusi, per quelli che non contano per nulla, per quelli che sono oppressi e curvati sotto il peso del bisogno. Se nella parabola delle Dieci vergini il vigilare era l’essere equipaggiati per il tempo lungo, se per la parabola dei Talenti il vigilare era assumersi responsabilmente il quotidiano rischiando di persona, qui il vigilare è amare fattivamente sporcandosi le mani per i più piccoli…è mettersi dalla loro parte, come fece Gesù!

L’amore si esprime concretamente, sottolinea Matteo, anche in questo racconto…anche nel Discorso sul monte (proprio nella sua conclusione!) Matteo ci aveva tenuto a mettere il sigillo a tutto quel discorso inaugurale del ministero profetico del Figlio dell’uomo con quel monito: Non chiunque mi dice ‘Signore, Signore!’ entrerà nel Regno dei cieli ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli (cfr Mt 7, 21).

Ora, al termine dell’Evangelo, la volontà del Padre brillerà chiara e chi legge l’Evangelo sa che il Figlio dell’uomo, seduto sul trono della sua gloria, non è uno che si è solo riempito la bocca di belle e suggestive parole ma uno che, per gridare la verità di tutte quelle parole, ha steso le sue braccia sulla croce e si è sporcato le mani per tutti noi, piccoli e bisognosi…la volontà del Padre è che la fraternità tra gli uomini venga sanata per sempre e la fraternità è sanata lì dove si fa carico veramente (non a parole!) dell’altro e del suo dolore. Di qualunque altro!

Il monito va alla Chiesa che conosce l’Evangelo della Croce e che sa che quella via è la via che anch’essa deve percorrere; senza perdere tempo e senza addolcire i precetti del Signore crocefisso…ma a tutti gli uomini, anche a quelli che l’Evangelo non lo hanno conosciuto, brilla, da questa pagina, una grande speranza: la benedizione del Figlio dell’uomo giunge a tutti quelli – credenti o meno – che hanno accolto ed amato…questo Giudice – notate – non chiede ragione di nessun atto di culto o di tipo “religioso”…il Giudice, glorioso perché trafitto, dice che questi “lontani” che hanno accolto ed amato, anche se inconsapevolmente, hanno accolto ed amato Lui!

Martino di Tours ne fece esperienza profonda quando in sogno vide il Cristo rivestito di quel mezzo mantello che lui aveva dato al povero intirrizzito dal freddo… l’avete fatto a me

Il Cristo è allora re perché così svela il senso di tutto l’universo; il senso è l’amore senza confini…

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