Giuseppe appartiene alla schiera dei tanti giovani del Sud, convocati al Nord per insegnare: uno dei tanti che dalla sera alla mattina ha dovuto fare le valigie, fare i conti con una nuova esperienza lavorativa, e con quella nuovissima della Didattica a distanza.
Da Pratella fino a Chiavenna (SO) per insegnare Diritto alle Scuole superiori, ma anche per donarci questa riflessione: “Non sarà, però, una didattica a distanza a far venire meno le nostre identità”.
Per lui, Studiare e amare sono “una giusta correlazione”.
Giuseppe Bisceglia – È cosi strana la vita. Inaspettatamente ti travolge come un fiume in piena senza permetterti di pensare pienamente in quali posti ti condurrà e, soprattutto, quali persone nuove incontrerai.
Il bello, però, sta nella scoperta e nel non fermarsi mai esplorando sempre nuovi mondi.
Così è stato per me, posto difronte ad una classe di giovani adulti che si accingono ad affrontare il tanto temuto esame di maturità in un periodo che proprio bello non è.
Una scommessa fatta con me stesso e soprattutto con quanti ritengono che oggi i giovani studenti non siano più quelli di una volta. Perché prima si studiava, si era più intelligenti, più responsabili. Tutto era diverso e meglio di oggi.
Non è così. Siamo noi adulti a dover dare loro il significato di quanto si accingono a leggere in un libro, a fornirgli tutte le nostre conoscenze affinché possano impiegarle nel loro domani.
C’è chi sostiene che ogni loro nome sia un elemento singolo che, declinato nella collettività, contribuirà a rendere il mondo migliore.
Così sarà possibile fargli capire che una legge esiste perché fondamentale per la regolamentazione della convivenza civica, che un tribunale è il luogo di confronto tra posizioni assunte da uomini e donne e che il diritto è un’enorme tela bianca che il giurista è chiamato a colorare.
La diffusione epidemiologica che stiamo vivendo da moltissimi mesi, però, sembra aver messo in discussione le nostre vite. Tutto è stato sovvertito, soprattutto le relazioni umane. Ci accompagna una strana sensazione di solitudine che, se non adeguatamente misurata, rischia di sfociare in un accentuato individualismo.
Le scuole sono diventate silenziose.
Non si sentono più nei corridoi le voci continue di tanti giovani ragazzi desiderosi di cogliere quanto di buono la vita possa offrirgli. Tante volte ci siamo lamentati dell’inadeguatezza degli strumenti messi a diposizione: i banchi erano sempre troppo vecchi per poter permetterci di studiare al meglio; la lavagna troppo incupita dagli aloni lasciati dai gessetti; le sedie palesemente usurate, tali da rovinare i nostri jeans nuovi.
Tutto questo sembra improvvisamente mancarci e da tale assenza abbiamo avuto la possibilità di compiere una scoperta e capire che, forse, quello che prima avevamo non era proprio così male.
L’interrogazione tanto temuta si è tramutata in piacevole ricordo, una storia da raccontare caratterizzata dalla condivisone, dalla volontà di esorcizzare una paura comune sapendo che i nostri compagni erano lì presenti e che, nello stesso attimo, stessero vivendo il nostro identico sentimento.
Non sarà, però, una didattica a distanza a far venire meno le nostre identità.
L’insegnamento digitale, infatti, è solo un mezzo di trasmissione del sapere gestito dall’uomo chiamato ad operarsi affinché quest’ultimo non venga interrotto.
Se riusciamo ad operare nella logica della scelta comune sarà possibile raggiungere un risultato condiviso.
Oggi la scuola si trova ad affrontare una nuova battaglia che potrà essere superata solo attraverso l’abbandono della burocratizzazione della didattica.
Attraverso l’impiego di uno strumento informatico è difficile garantire la giusta correlazione tra la conoscenza e l’amore, ma qualcuno oggi ci avrebbe ricordato che studiare significa amare e l’amore non conosce barriere, né confini. Chi trasmette conoscenza deve impegnarsi affinché questo sentimento possa durare per sempre.