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Sant’Angelo d’Alife. La festa di San Nicola di Bari, sintesi di storia, devozioni e impegni di fede

Una ricorrenza molto sentita nel piccolo comune del Matese, ma in particolare nel rione Rava. Il 6 dicembre, festa di San Nicola, è ripercorsa in questo articolo grazie alle tradizione custodite nella memoria dei santangiolesi

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Michela Visone – Il culto di San Nicola a Sant’Angelo d’Alife affonda le sue origini in un passato molto antico, quando non c’era la luce e l’acqua nelle case, quando i sapori erano veri e si aspettava il giorno di festa per mangiare un po’ di più, quando la famiglia era matriarcale e in una casa si abitava insieme ai nonni e agli zii e il lavoro dei campi era fatto a mano con l’ausilio degli animali.

Il culto è antico, risale a subito dopo l’Editto di Costantino del 313 d.C., si è diffuso in tutta Europa, e lega l’immagine di questo santo alla città di Bari, dove sono deposte le sue spoglie. Tante sono le storie e le leggende che vedono questo santo protagonista: dal dono della dote a tre sorelle; al regalo di una nave di grano alla città di Bari in tempo di carestia impegnando il suo anello di vescovo; al miracolo dei tre bambini che erano stati uccisi e cucinati da un oste e offertigli come pasto; alla tradizione che in questo giorno si fanno regali ai bambini e quindi alla sua assimilazione all’immagine di Babbo Natale.

Come e quando giunse questo culto a Sant’Angelo d’Alife, considerando il fatto che è molto  diffuso nel sud Italia con circa 140 patronati, così come rilevato dallo storico  Galasso nei suoi studi [1], non è ancora stato scoperto.

Nel rione della Rave, uno tra i più antichi del paese, c’è tutt’oggi “l’antichissima chiesa di San Nicola, una delle parrocchie di Sant’Angelo”, la cui costruzione risale secondo lo storico Gianfrancesco Trutta [2] precedentemente all’insediamento normanno nell’allora Contea, quindi intorno all’IX secolo, e “esservi qualche abitazione per la coltura dè campi circonvicini”.

Nei secoli la vita è trascorsa lenta e tranquilla, legata ai ritmi delle stagioni e del tempo.

Quest’anno le celebrazioni si sono tenute nella chiesa parrocchiale di Santa Maria della Valle, come da indicazioni della Diocesi di Alife-Caiazzo circa le norme anticontagio

Prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale, già al tempo dei nonni, durante la consueta novena a san Nicola le donne cantavano con il velo sul capo e il giorno della festa, il 6 dicembre, dodici uomini, appartenenti alla Congregazione di San Nicola, indossavano la talare bianca con sopra una mantellina di colore giallo paglierino, la “mozzetta”, con un nastro verde lungo il bordo e sul petto portavano poggiata l’immagine del Santo e procedevano in processione davanti alla statua. In questa processione, che veniva svolta sempre a mezzogiorno, vi erano anche dei bambini vestiti dalla signora Assunta Ferrazzano, che rappresentavano San Nicola stesso, san Michele, la Madonna, altri santi, gli Angeli e tre donzelle, con la mantellina rosa, che rappresentavano le tre fanciulle che avevano ricevuto in dono la dote dal Santo. Durante questo periodo si usava abbellire il vicolo con archi rivestiti di mirto, le “murtelle”, molto diffuso nella zona. Inoltre la Congregazione, fondata nel 1923 aveva una “banca”, l’avvocato Benedetto Stocchetti, cassiere della stessa, conservava i soldi ricevuti in beneficenza con “il compito di promulgare la fede cristiana” [3].

Tutti i santangiolesi sono legatissimi alla benedizione che il sacerdote impartisce alla fine della messa con la Manna di San Nicola, molte famiglie dalla campagna salgono alla prima messa del mattino per non perdere la tradizione.

Negli anni Ottanta, in seguito al restauro dei tre bambinelli presenti nella statua di San Nicola venne fatta una festa dopo la messa, che tutt’oggi è mantenuta dagli abitanti del rione Rave, durante la quale vengono preparati piatti tipici della cucina povera santangiolese.

Al termine delle tre messe che vengono ancora oggi celebrate il giorno di San Nicola, compatrono di Sant’Angelo d’Alife, si consegna ai fedeli intervenuti il pane benedetto, a memoria del miracolo del grano giunto alla città di Bari, ed è usanza portare i bambini piccoli ad una di queste messe perché c’è il detto che dice “San Nicola scioglie la parola”, cioè i bambini iniziano a parlare speditamente.

Inoltre, sempre legato al culto di San Nicola si usava accendere a lui una fiammella nell’olio, fatta “fetienti [4]”, quando in casa c’era un malato e, in base a come si comportava la fiammella, si capiva come sarebbe andata la vita della persona sofferente.

L’uomo si è affidato a ripetizioni ritmiche” e “vive nel rigurgito del passato [5]”, con l’augurio che queste tradizioni continuino a farci rivivere il passato, non appena la pandemia ce lo permetterà, e che gli abitanti del rione Rave continuino a far rivivere a tutti i santangiolesi il culto di San Nicola e tutta la tradizione a lui legata.

Si ringrazia per la collaborazione: Marilena Marra,  Veronica Greco, Giuseppina Riccio, Maria Rega,  Federica Pinelli,  Vanda Napoletano, Mariano Zazzarino.

(Quest’anno le celebrazioni si sono tenute nella chiesa parrocchiale di Santa Maria della Valle, come da indicazioni della Diocesi di Alife-Caiazzo circa le norme anticontagio. Le foto risalgono ai festeggiamenti del 2013).

Bibliografia
[1] G. Galasso, L’altra Europa, pag. 101.
[2] G. Trutta, Dissertazioni istoriche delle antichità alifane scritte dal canonico arciprete Gianfrancesco Trutta e dedicate a’ suoi amici, 1776, pp. 69-70.
[3] A.M. Napoletano, Ecclesia Sancti Angeli De Ravicanina, pag. 63.
[4] Non ben definiti, identificati o con il cespro erba cappona, oppure con il cestrum foetidissimum, oppure con  il chenodopium vulvaria.
[5] E. De Martino, Sud e magia.

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