Fabrizio Pepe – Quando l’amica Grazia Biasi mi ha chiesto di scrivere un mio personale ricordo sul Vescovo Mons. Angelo Campagna, in occasione del trentesimo anniversario della sua fine terrena, ho subito pensato al triste Natale del 1980, reso tale dagli effetti devastanti del terribile terremoto del 23 novembre di quell’anno. Tale penosa circostanza rappresenta, infatti, l’occasione di una più attenta conoscenza dell’uomo e sacerdote. Allora ero da pochi mesi Sindaco della Città di Piedimonte Matese e dovetti affrontare l’emergenza che non fu affatto marginale, ma lasciò un segno indelebile nella coscienza non solo mia ma suppongo di tutta la nostra popolazione, seppure l’entità dell’evento non è paragonabile all’esperienza vissuta dalle popolazioni dell’alta Irpinia che piansero, allora, circa tremila morti, 300.000 sfollati, 9.000 feriti e danni incalcolabili al patrimonio edilizio. Fu, credo, la prima vera emergenza dal dopoguerra, con la quale tutti ed in particolare le istituzioni civili e religiose, si dovettero misurare e confrontare.
Allora, però, vennero fuori in modo evidente quei campioni di altruismo e di abnegazione che per giorni e giorni, hanno dormito sotto le tende (quando riuscivano a dormire), dopo giornate di fatiche immani passate con un piccone in mano e silenziosamente, in punta di piedi, quasi, senza cercare pubblicità e gloria alle spalle di chi soffre, ma con il solo intento di salvare vite umane. Ci fu una vera e grande gara di solidarietà. L’attuale concezione della protezione civile viene fuori proprio all’indomani di quella disgrazia.
Anche a Piedimonte Matese i Vigili del Fuoco, coadiuvati da Tecnici locali allo scopo nominati, dichiararono inagibili numerose abitazioni, ubicate nelle aree di particolare fatiscenza edilizia, con conseguente sgombero degli abitanti, molti dei quali trovarono una prima sistemazione abitativa in due sedi scolastiche periferiche ed in due proprietà della Chiesa diocesana (l’ex Palazzo Vescovile di Piazza Ercole D’Agnese, l’edificio in località San Giuseppe), allo scopo requisite. Non fu occasione di scontro ma di dissapore con Mons. Campagna, che lamentò una mancata preventiva informazione. Ben presto, però, ritornammo ad essere più “amici” di prima e lo dimostrò con un gesto che mi procurò anche un leggero disagio: tornato da Roma in una normale occasione di viaggio alla Santa Sede, mi chiamò e mi regalò, sapendomi fumatore, una stecca di sigarette comprate al Vaticano dicendomi “è meglio però che ti togli il vizio, … te lo dico perché sei giovane e ti voglio bene…”. In quella circostanza percepii la sua dimensione paterna, ovvero fu quello anche l’incontro con il Vescovo dalle belle qualità umane. Capivo, allora, il motivo della sua larga popolarità. Era amato da tutta la gente della Diocesi nonostante, confesso, di aver avuto sempre l’impressione che avesse una particolare dedizione per la comunità caiatina. Di sicuro mi sbagliavo anche perché, giova ricordare, Mons. Campagna è stato il Vescovo che ha inaugurato l’avvento della “nuova” Diocesi di Alife-Caiazzo, allorquando nel 1978 la Santa Sede provvide a unire le due preesistenti circoscrizioni ecclesiastiche prima in persona episcopi, nominandolo reggente e, poi, nel 1986, le due diocesi furono ufficialmente unite aeque principaliter, sempre sotto il governo di Mons. Campagna, al quale fu affiancato, come Vescovo ausiliare, da Mons. Nicola Comparone, che gli succedette nel 1990, seguendo la traccia segnata dal suo predecessore, con la stessa intensità spirituale ed intransigenza dottrinale, ma con qualche divergenza in più. È un elemento importante questo, perché la nostra antica Diocesi di Alife, prima della nomina di Mons. Campagna, salutata da un generale entusiasmo di “rinascita” sia da parte del clero che dai fedeli tutti, era stata per ben undici anni sede vacante, sebbene amministrata con saggia attenzione dal Vescovo di Caserta Mons. Vito Roberti, da alcuni non compreso, eppure lo ricordo, in particolare, quale fervente assertore di una laicità vera, fondata sull’innovazione del Concilio Vaticano II e fatta di rispetto, di leale confronto, di ferma schiettezza nella difesa della verità.
In foto, Mons. Angelo Campagna, in occasione di un pellegrinaggio a Roma, chiese ed ottennte per i suoi diocesani il saluto di Papa Giovanni Paolo II che portò la sua benedeizione ai pellegrini a bordo dell’autobus
Mons. Campagna, dunque, si è trovato ad essere pastore e mediatore di due realtà con storia, tradizioni ed usanze per alcuni aspetti diverse fra loro, riuscendo a conciliare esigenze ed aspettative forse non sempre da tutti condivise, come spesso accade in ogni grande famiglia. Ha saputo e spronato gli altri a vivere oltre l’ovvietà e l’appiattimento culturale, ad interpretare in modo creativo le nuove esigenze ed emergenze della società, guardando al futuro con la solida speranza ancorata a Cristo risorto. Le sue omelie, infatti, che volentieri ascoltavo con attenzione nelle grandi occasioni, come le feste cittadine in onore dell’Immacolata e del Patrono San Marcellino, erano sempre decisamente concrete e strettamente legate alla realtà, lasciando percepire, in tal modo, la sua vicinanza e la sua dedizione al popolo affidato alle sue cure. Riusciva, cioè, tanto con la parola quanto con l’esempio di sincera umiltà, a toccare il cuore dell’uomo.