Di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano
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Natale del Signore, 25 dicembre 2020 / Anno B
Notte: Is 9,1-3.5-6; Sal 95; Tt 2, 11-14; Lc 2, 1-14
Aurora: Is 62, 11-12; Sal 96; Tt 3, 4-7; Lc 2, 15-20
Giorno: Is 52, 7-10; Sal 97; Eb 1, 1-6; Gv 1, 1-18
Natale è giorno di luce, è giorno di gioia radicale e profonda, lo è perché il Natale ci dice che su questa nostra terra è esploso un evangelo, una bella notizia: Dio si è fatto come noi! E non dobbiamo temere di dirlo! È proprio così: come noi! La nostra natura umana è stata assunta da Dio che ha scelto di nascere nella nostra carne, che ha scelto, incredibilmente, di farsi “un frammento” di questa umanità di cui siamo parte. Questa è davvero una bella notizia: la natura umana non solo è salvata, ma è anche nobilitata, di essa è proclamata una dignità assoluta, non condizionata da nulla! È l’essere uomo e basta che è colmo di una dignità infinita e non solo perché creato ad immagine e somiglianza di Dio ma perché questo stesso Dio ha scelto la natura umana assumendola facendosi carne in Gesù di Nazareth.
Questa scelta di Dio riempie di stupore chiunque si accosti in verità a questo mistero di amore. Il Natale ci narra di un Dio assetato di comunione con l’uomo sua creatura. L’Incarnazione, e tutto il mistero che ne deriva, non è solo generato dalla volontà di redimere dal peccato ma, in primo luogo, dal desiderio di Dio di una comunione perfetta d’amore con l’uomo sua creatura e attraverso l’uomo con tutto il creato! Straordinario!
In Gesù all’uomo viene rivelata la via per essere davvero uomo, come scrive Paolo nel passo della lettera a Tito che passa nella Santa Notte della Natività! È un passo che ci dice il cuore del mistero che si celebra: è venuto a «insegnarci a vivere in questo mondo…semplicissimo e immenso! Guardando all’umanità di Gesù noi sappiamo quale sia l’umanità da realizzare in noi! Guardando a Lui conosciamo Dio e conosciamo l’uomo. Chi vede Gesù vede il Padre (Cf. Gv 14,9) ma vede anche l’uomo vero; chi vede Gesù, può dire le parole di Pilato: «Ecco l’uomo!» (Gv 19,5) Per Lui, per Gesù, davvero possiamo alzare la fronte e assumere per sempre la posizione eretta dell’uomo come fu sognato dal Creatore (Cf. Lc 21,28).
La Chiesa, come è noto, scelse la data del 25 di dicembre, vicinissima ai giorni del solstizio d’inverno, i giorni più bui dell’anno, per celebrare la nascita di Gesù e questo lo fece di certo per sostituire la popolarissima festa pagana della nascita del “Sole invitto” (cioè che non può essere vinto perché la sua luce che è decresciuta inizia di nuovo a crescere) con quella della nascita del vero sole, Gesù Cristo, ma questo certamente fu fatto anche per dire che la nascita di Gesù porta vita, luce, gioia e calore nel buio e nel freddo, anche se piove o nevica…simbolo potente questo dei cuori che «giacciono nelle tenebre e nell’ombra di morte” (Lc 1,79).
Quest’anno il Natale ci trova immersi in un’ora di buio, di tenebra, di «ombra di morte»; l’atmosfera che stiamo vivendo non è quella che sogniamo per il Natale; per tanti c’è solitudine, paura, mancanza di vicinanza con chi si ama…questa pandemia ci ha tolto tantissimo, ci ha tolto il calore delle relazioni, ci ha imbevuti di paure, di lutti, di sospetti, di recriminazioni, di timore forte della povertà, ci ha privati perfino di poter vivere la fede nei modi e nelle forme che la liturgia ci offre…il quadro è fosco e temiamo che la situazione si prolunghi … eppure dobbiamo far festa, dobbiamo celebrare il Natale, come credenti non ne possiamo fare a meno!
Nei giorni scorsi qualcuno diceva, nel bombardamento di notizie sui media, per invogliare a stare a casa e a non rischiare i contagi: «Quest’anno non c’è niente da festeggiare!»…no! Per noi credenti c’è da far festa perché la nascita di Gesù è il principio di ogni speranza, quella generata da una vicinanza definitiva con Dio che davvero in Lui è per sempre l’Emmanuele, il Dio-con-noi!
Dobbiamo celebrare il Natale per tutti, anche per quelli che pensano che non c’è più nulla da festeggiare, anche per quelli che non hanno più né speranza, né sguardo che penetri gli orizzonti di morte e di buio che ci circondano. Dobbiamo celebrare il Natale lasciandoci pervadere come sempre da una grande tenerezza, da uno stupore che mai può abbandonare il discepolo di Cristo Gesù; ricordiamo sì i “Natali fatati” della nostra infanzia, le dolcezze di quelle vigilie colme di attesa attorno al presepe, ma poi – da cristiani maturi – andiamo al cuore del mistero fonte di tanta tenerezza e lì troveremo le grandi esigenze di questo mistero, vi troveremo le grandi domande alla nostra umanità, domande che vogliono risposte assolutamente costose e compromettenti. Ad un Dio così compromesso con noi, dalla mangiatoia di Betlemme alla croce del Golgotha, come rispondere senza compromettersi e compromettersi seriamente?