Grazia Biasi – Questo 2020, portiamolo con noi. Non facciamone una pagina da cestinare, non un evento da cancellare, e neppure un brutto ricordo da rimuovere per crescere più sani e senza traumi a strascico…
Non sarà una nuova pagina di calendario a dirci che ormai siamo fuori dall’annus horribilis o che solennemente facciamo ingresso in un nuovo tempo di salute e prosperità. Il 2020 è nella storia di ciascuno, è nella valigia in cui, man mano che il tempo passa, si sommano ricordi, scelte, mutamenti, esperienze che ci hanno segnati dalla nascita; è lo spartiacque tra come eravamo e ciò che siamo diventanti. Perché rimanere come prima non è possibile. Oggi più di ieri abbiamo il dovere di essere grati alla vita per averci posto di fronte ad un passaggio, ad un tempo opportuno per guardarci dentro e guardarci intorno, costringendoci – più di quanto eravamo abituati a fare – al rispetto della nostra persona e a quella degli altri, soprattutto dei più fragili.
Siamo nel giorno in cui il mondo, come accade ogni anno, fa i suoi bilanci e sfogliando l’album delle foto si sofferma a guardarne alcune con nostalgia, altre con dolore, altre ancora con entusiasmo, alcune con superficialità, altre fissandole come ad imprimerle per sempre prima di andare avanti…
Sono le storie personali e comunitarie in questo tempo di Covid; sono le foto della didattica a distanza e di un inedito esame di maturità; sono le foto delle code all’esterno dei supermercati e delle saracinesche lungamente chiuse di tutte quelle attività commerciali fermate dalla pandemia (e alcune, fermate per sempre); e poi ci sono le foto di medici ed infermieri e autisti di ambulanze: sono quelle che occupano il maggior numero di ricordi; poi gli scatti ai tanti volontari di Protezione Civile, Croce Rossa, Caritas che hanno percorso chilometri ogni giorno per raggiungere più persone possibili; le foto delle nostre chiese svuotate di volti, di voci ma non di preghiere perché quelle, scaturite dal cuore di ognuno, i nostri parroci le hanno portate ogni giorno sull’altare…
E le foto dei lavori essenziali di uomini e donne che si sono messi a rischio (e con essi le rispettive famiglie) per garantire all’Italia, al nostro Matese, di andare avanti… E gli scatti freddi dei lavoratori in nero, costretti ad una forzata permanenza in casa con meno speranze di ogni altro; e poi le immagini sbiadite degli anziani su cui non sempre siamo stati capaci di mettere a fuoco la nostra attenzione… Le foto degli scontri verbali tra politici e partiti, quelle dei tavoli europei, e quelle di Papa Francesco a carezzare l’umanità.
Questa sera la Chiesa, come ogni 31 dicembre, si raccoglie in preghiera per il Te Deum, l’antico inno di lode a Dio che si recita in questa circostanza e in altre solennità. Una bella tradizione seppur questo momento sia disertato dai più, perché un cenone di fine anno e la sua lunga fase preparatoria prevalgono… Ma in tutte le Parrocchie e in ogni Cattedrale questo momento porta davanti a Dio gli ultimi 365 giorni di ogni uomo o donna… La Diocesi di Alife-Caiazzo ha fatto esperienza di questo momento condividendolo in passato anche con le autorità civili: al termine di un anno, tutti, nelle responsabilità e nelle funzioni di cui sono caricati, Sindaci e cittadini, sono pari nel dire grazie, e nella richiesta “guida e proteggi i tuoi figli”.
L’origine di questo inno ha trovato nel tempo diverse letture e interpretazioni: tradizionalmente veniva attribuito a san Cipriano di Cartagine, oggi gli specialisti assegnano la redazione finale a Niceta, vescovo di Remesiana (Dacia inferiore) alla fine del IV secolo. Secondo una leggenda il Te Deum è stato intonato da Sant’ Ambrogio e Sant’ Agostino il giorno di battesimo di quest’ultimo, avvenuto a Milano nel 386, per questo è stato chiamato anche “inno ambrosiano”.
La preghiera che quest’anno si eleverà a Dio, quali foto porterà davanti a Lui? Quali occasioni per lodare e ringraziare…?
Da troppe parti, da troppe voci viene la richiesta pressante di accelerare verso il 2021, ma il credente, cosciente che la sua storia personale si intrecci ogni attimo con il modello di vita di Gesù Cristo, non teme di sostare un attimo in disparte e di fare della preghiera il momento che vale la scelta di una vita o di tante piccole imprese quotidiane; il credente sa che in quell’attimo di stasera dovrà raccogliere i pezzi di questo anno, caricarseli sulle spalle e portarli per sempre con sé: a quel punto la preghiera sarà per i cari che non ci sono più e per le famiglie segnate da dolori profondi: da tanti di loro abbiamo imparato la mestizia e il dolore contenuto..; e sarà preghiera per i tanti (troppi) giovani e adulti negligenti rispetto alle regole che ci sono state assegnate, ma contemporaneamente pregheremo per noi chiedendo a Dio di essere educatori e testimoni migliori per chi trasgredisce (ma solo perché è più fragile); porteremo davanti a Dio e nella nostra valigia la saggezza degli anziani che ci hanno insegnato che custodire la vita vale…anche pagando con la solitudine. Deporremo nel cuore di Dio l’esperienza di tanti lavoratori che ogni giorno hanno ricominciato da “zero” in questi mesi, e nella nostra valigia metteremo il loro coraggio che a tanti di noi manca.
Pregare è impegnarsi. Ma l’impegno che ci attende non andremo certo a cercarlo sugli oroscopi, no! Un impegno per essere nella pace ci è dato da sempre, ci è stato consegnato nella Nascita di Betlemme che abbiamo da poco ricordato e celebrato e che ci ha chiamati a condividere con il Figlio di Dio la bella esperienza di fare migliore il mondo, di segnare con parole e gesti di amore la vita del Mondo.
In questa giornata l’impegno ci viene riscritto e riassegnato tramite le parole di Papa Francesco che si fa profeta di Dio nel messaggio per la LIV Giornata Mondiale della Pace che ricorre il 1 gennaio, dal titolo La cultura della cura come percorso di pace. Francesco ricongiunge la storia di Adamo ed Eva a quella di Gesù mediante i segni della cura di Dio verso le sue creature. E alle Creature di oggi offre “La bussola per una rotta comune” intravedendo in azioni e impegni un tempo rinnovato rispetto a quello presente ferito dall’esperienza del covid: ecco cos’è la cura per Papa Francesco: promozione della dignità e dei diritti della persona; cura del bene comune; espressione di solidarietà: “La solidarietà esprime concretamente l’amore per l’altro, non come un sentimento vago, ma come «determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti»”. E in ultimo cura è salvaguardia del creato.
C’è un passaggio nel Documento del Papa che è chiave di volta di tutto l’impegno che ci è richiesto: non da soli e mai per noi stessi: “i nostri piani e sforzi devono sempre tenere conto degli effetti sull’intera famiglia umana, ponderando le conseguenze per il momento presente e per le generazioni future”.
Buon anno nuovo! Che sia di impegno ad immischiarsi nel fango della vita altrui ma solo per ripulirla, risalirla dal basso e tornare a farla risplendere della dignità di creatura creata bella come Dio. E buon preghiera per il mondo intero, quello avvolto nelle nostre case, e quello disperso per le strade…