Pierluigi Reveglia – Durante il mio primo anno di dottorato in Australia condividevo l’appartamento con una giovane donna australiana, di soli due anni più grande di me, all’epoca avevo 27 anni. Un giorno mi raccontò la sua storia: finita la scuola si era resa indipendente dai suoi genitori lavorando in un grande negozio di CD e vinili a Sydney. A 26 anni decise di cambiare vita e di seguire la sua passione per l’agricoltura iscrivendosi ad un’università rurale cambiando città e stile di vita. Per mantenersi lavorava in varie fattorie dell’entroterra australiano nelle vicinanze della sede dell’università. Mentre lei raccontava questa storia, la mia mente vagava alle condizioni lavorative di molti giovani italiani, che pur percependo uno stipendio si trovavano ad essere dei working poors e che, senza il supporto economico da parte della propria famiglia, non riuscivano ad avere una vita dignitosa. L’attuale crisi ha favorito l’allargarsi dei divari sociali, ma essa è anche una grande opportunità di cambiamento.
I numeri di ottobre di due riviste che la Biblioteca diocesana San Tommaso d’Aquino mette a disposizione degli utenti riportano interessanti articoli sulle politiche del lavoro e su come esse possano orientare positivamente la società del futuro. Si tratta di “Ricerca. Nuova serie di Azione Fucina” ed “Aggiornamenti Sociali”
Ricerca
In un articolo su “Ricerca” Tiziano Treu, Presidente del Consiglio Nazionale dell’Economica e del Lavoro, riporta che in Europa ci sono oltre sei milioni di giovani Neet, e che l’Italia mantiene un triste primato perché la percentuale dei working poors oscilla tra il 13 ed il 20 %, con un tasso di occupazione fermo al 59%. A destare preoccupazione, è anche la condizione delle donne lavoratrici, che vengono penalizzate dalla difficile conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. La percentuale di occupazione femminile è ferma al 49,7%, ben al di sotto della media europea del 60,4%. Infine, Treu, definisce le problematiche del lavoro in Italia strutturali. La parola “strutturale” è rimasta impressa nella mia mente. Difatti, il suo uso implica che le politiche del lavoro attuate nel nostro Paese, nel corso dei passati decenni, siano state del tutto inadeguate. Vorrei quindi porre una domanda alle generazioni precedenti, che quelle politiche le hanno viste nascere ed in certi casi anche avallate: Dove eravate? Dove eravate quando il futuro di figli e nipoti veniva ipotecato? Nella stessa rivista Domenico Cerosimo e Francesco Raniolo entrambi Professori Ordinari all’Università della Calabria, descrivono le disparità sociali e territoriali nel sistema universitario italiano. Gli autori riportano che da oltre un decennio si assiste in Italia ad una marcata del 20% riduzione dell’investimento pubblico nel sistema universitario. Come risultato questo ha condotto ad una diminuzione di un quinto del numero dei corsi di studio, una riduzione del 13% del numero di docenti e ricercatori e ad un notevole divario tra la percentuale europea di laureati tra i 25 ed i 34 anni – 39% – e quella italiana ferma al 27%. Infine, il sistema di finanziamento ordinario che, dopo l’ultima riforma, ha assunto sempre più caratteristiche premili, ha favorito di fatto la segmentazione tra atenei considerati “eccellenti” – quasi tutti al Nord – ed atenei “scarsi” al Centro e al Sud. Questa categorizzazione ha ulteriormente acuito i divari territoriali in termini di capitale umano altamente qualificato, ad esempio vi sono 31 laureati ogni 100 giovani in Lombardia contro i 20 in Campania. I due autori, lungo tutto l’articolo però ripetono una frase ancora più inquietante rispetto ai numeri: “I dati non sembrano destare allarme”. Quando dati allarmanti sul lavoro e sulla formazione non destano alcuna preoccupazione nei legislatori e negli amministratori vuol dire che: “Houston abbiamo un problema”. Un dibattito fattivo sulle politiche inclusive per i giovani e per le donne nel mercato del lavoro in Italia è fondamentale.
Aggiornamenti sociali
Dirk Gently il detective olistico protagonista dell’omonima serie di romanzi scritta Douglas Adams è solito affermare “everything is connected”, tutto è connesso, tutto è dipendente in maniera diretta o indiretta e che quindi, per sbrogliare la complessa matassa sociale, c’è bisogno di soluzioni complesse ed innovative.
A tal riguardo “Aggiornamenti sociali” offre importanti spunti di riflessione. Nell’ editoriale scritto dal direttore Giacomo Costa SJ sono descritte le intuizioni emerse nel progetto internazionale “The future of work -Labour after Laudato si”. Il titolo del rapporto finale –in fase finale di redazione – di questo progetto porta un nome interessante “Care is work, work is care”, che può essere tradotto come “prendersi cura vuol dire lavorare, lavorare vuol dire prendersi cura”, ed affonda le sue radici nell’ enciclica Laudato si’ “che al punto n. 125 afferma “qualsiasi forma di lavoro presuppone un’idea sulla relazione che l’essere umano può o deve stabilire con l’atro sé”. Quindi se il lavoro è prima di tutto prendersi cura, la protezione sociale dei lavoratori non può essere considerata un peso, e lo stesso discorso vale per l’impatto sull’ambiente e la sostenibilità. Un’altra idea molto interessante è quella delle “Reti comunitarie globali” che vengono indicate come attori principali per il cambiamento. In pratica questi soggetti sono in grado di unire il radicamento locale con l’articolazione globale tipica delle reti. L’intuizione sull’importanza delle reti comunitarie è infatti fondamentale anche per ripensare gli inarrestabili (si sono inarrestabili che vi piaccia oppure no) processi di Globalizzazione. Il primo passo da fare è quello di rendersi conto che, attraverso un uso corretto dei social media, aree geografiche o condizioni sociali che erano marginali sono state portate al centro del dibattito politico grazie a reti comunitarie come” Friday for Future” o “Black Lives Matter”, che hanno avuto un certo peso nell’orientare le politiche internazionali negli ultimi anni. Lo stesso discorso può valere per le politiche del lavoro, l’intervento di reti comunitarie che promuovano una rifondazione dei principi del capitalismo verso un approccio etico che riconcili l’interesse pubblico e la responsabilità privata è assolutamente necessario ed auspicabile. Miles Kington, famoso giornalista inglese, una volta disse “La Conoscenza è sapere che il pomodoro è un frutto, la Saggezza è non mettere il pomodoro nella macedonia”. Le idee raccolte nel rapporto restano proposte che poi dovranno essere recepite ed attuate dalla classe dirigente mondiale, ed includo in questa categoria anche le reti comunitarie. Il loro compito sarà quindi quello di trasformare conoscenza in saggezza, e chissà che non riusciremo ad avere finalmente una società stabile e giusta come le configurazioni elettroniche dei gas nobili.
Per avere informazioni su questo materiale ed altro a disposizione, contatta la Biblioteca diocesana San Tommaso d’Aquino
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