Fonte vaticannews.va
Riscoprirsi più uniti, più vicini a chi soffre, sentirsi fratelli per superare assieme la crisi mondiale causata dalla pandemia. All’inizio dell’intervista al Tg5, trasmessa domenica sera 10 gennaio, Francesco ribadisce che “da una crisi mai si esce come prima, mai. Usciamo migliori o usciamo peggiori”. Per il Papa, “si deve fare la revisione di tutto. I grandi valori ci sono sempre nella vita, ma i grandi valori vanno tradotti nella vita del momento”. Enumera dunque una serie di situazioni drammatiche, dai bambini che soffrono la fame e non possono andare a scuola alle guerre che sconvolgono molte aree del pianeta. “Le statistiche delle Nazioni Unite – sottolinea – sono spaventose su questo”. Avverte che se noi usciremo dalla crisi “senza vedere queste cose, l’uscita sarà un’altra sconfitta. E sarà peggiore. Guardiamo solo questi due problemi: i bambini e le guerre”.
Vaccinarsi è un’azione etica
Il Papa risponde poi ad una domanda del giornalista Fabio Marchese Ragona sui vaccini. “Io – afferma – credo che eticamente tutti devono prendere il vaccino. Non è una opzione, è un’azione etica. Perché ti giochi tu la salute, ti giochi la vita, ma anche giochi la vita degli altri”. E spiega che nei prossimi giorni inizieranno le vaccinazioni in Vaticano e anche lui si è “prenotato” per questo. “Sì, si deve fare”, ripete, “se i medici lo presentano come una cosa che può andare bene e che non ha dei pericoli speciali, perché non prenderlo? C’è un negazionismo suicida, in questo, che io non saprei spiegare”. Per il Pontefice, questo è il tempo di “pensare al noi e cancellare per un periodo di tempo ‘l’io’, metterlo tra parentesi. O ci salviamo tutti con il ‘noi’ o non si salva nessuno”. Su questo parla diffusamente offrendo la sua riflessione sul tema che gli è caro della fraternità. “Questa – osserva – è la sfida: farmi vicino all’altro, vicino alla situazione, vicino ai problemi, farmi vicino alle persone”. Nemica della vicinanza è “la cultura dell’indifferenza?”. Si parla – constata – “di un sano menefreghismo dei problemi, ma il menefreghismo non è sano. La cultura dell’indifferenza distrugge, perché mi allontana”.
È il “tempo del noi” per superare la crisi
“L’indifferenza – osserva – ci uccide, perché ci allontana. Invece la parola chiave per pensare le vie di uscita dalla crisi è la parola vicinanza”. Se non c’è unità, vicinanza, ammonisce il Papa, “si possono creare delle tensioni sociali anche all’interno degli Stati”. Parla così della “classe dirigenziale” nella Chiesa come nella vita politica. In questo momento di crisi, è la sua esortazione, “tutta la classe dirigenziale non ha diritto di dire ‘io’ … deve dire ‘noi’ e cercare una unità di fronte alla crisi”. In questo momento, riafferma con forza, “un politico, un pastore un cristiano, un cattolico anche un vescovo, un sacerdote, che non ha la capacità di dire ‘noi’ invece di ‘io’ non è all’altezza della situazione”. E soggiunge che i “conflitti nella vita sono necessari, ma in questo momento devono fare vacanza”, fare spazio all’unità “del Paese, della Chiesa, della società”.
Aborto è questione umana prima che religiosa
Francesco rileva che la crisi dovuta alla pandemia ha acuito ancora di più la “cultura dello scarto” nei confronti dei più deboli, siano essi poveri, migranti o anziani. Si sofferma in special modo sul dramma dell’aborto che scarta i bambini non voluti. “Il problema dell’aborto – avverte – non è un problema religioso, è un problema umano, pre-religioso, è un problema di etica umana” e poi religioso. “È un problema che anche un ateo deve risolvere in conoscenza sua”. “È giusto – si chiede il Pontefice – cancellare una vita umana per risolvere un problema, qualsiasi problema? È giusto affittare un sicario per risolvere un problema?”.
Capitol Hill, imparare dalla storia: mai la violenza
Il Papa non manca di commentare i drammatici fatti di Capitol Hill del 6 gennaio scorso. Confida di essere “rimasto stupito”, considerata la disciplina del popolo degli Stati Uniti e la maturità della sua democrazia. Tuttavia, rileva, anche nelle realtà più mature, sempre c’è qualche cosa che non va quando c’è “gente che prende una strada contro la comunità, contro la democrazia contro il bene comune”. Ora che questo è scoppiato, prosegue, si è potuto “vedere bene” il fenomeno e si può “mettere il rimedio”. Francesco condanna la violenza: “Dobbiamo riflettere e capire bene e per non ripetere, imparare dalla storia”, questi “gruppi para-regolari che non non sono ben inseriti nella società, prima o poi faranno queste azioni di violenza”.
La fede, un dono da chiedere al Signore
Il Papa risponde infine su come personalmente stia vivendo le restrizioni dovute alla pandemia. Confida di sentirsi “ingabbiato”, si sofferma sui viaggi annullati per evitare gli assembramenti, parla della speranza di visitare l’Iraq. In questo tempo, dedica più tempo alla preghiera, a parlare attraverso il telefono e ribadisce quanto siano stati importanti per lui alcuni momenti come la Statio Orbis in San Pietro il 27 marzo scorso, “un’espressione di amore a tutta la gente” e che fa “vedere strade nuove per aiutarsi l’un l’altro”. Offre così una riflessione sulla fede nel Signore, che – dice – è innanzitutto “un dono”. “Per me – afferma – la fede è un dono, né tu né io né nessuno può avere fede con le proprie forze: è un dono che ti dà il Signore”, che non si può comprare. Riprendendo quindi un passo del Deuteronomio, Papa Francesco esorta a invocare la “vicinanza di Dio”. Questa vicinanza “nella fede è un dono che dobbiamo chiedere”. L’intervista si conclude con l’auspicio che nel 2021 “non ci siano gli scarti, che non ci siano atteggiamenti egoistici” e che l’unità possa prevalere sui conflitti.