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Occhio allo schermo. L’incredibile storia dell’Isola delle Rose: Giorgio Rosa e la sua isola che non c’è (più)

Disponibile su Netflix il film di Sydney Sibilia su una vicenda italiana fuori dall’immaginario

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Noemi Riccitelli Il racconto di questa storia potrebbe iniziare con il più classico e sognante C’era una volta”, perché L’incredibile storia dell’isola delle rose di Sydney Sibilia sembra essere un’affascinante favola di un mondo lontano, invece è stata la realtà, proprio qui in Italia.
Il film, disponibile su Netflix dal 9 dicembre, prodotto dalla piattaforma internazionale e dalla casa di produzione Groenlandia (dello stesso Sibilia e Matteo Rovere), racconta la reale vicenda dell’ingegnere bolognese Giorgio Rosa che, fresco di esame di stato abilitante alla professione e con la testa piena di sogni e aspirazioni, nel 1968 decide di costruire un’isola tutta per sé, al largo della riviera romagnola.
Elio Germano interpreta quest’uomo dallo sguardo vispo e curioso, orgoglioso della sua professione e dalla creatività irrefrenabile, che come molti giovani del tempo fatica a rispettare i limiti imposti dalla società: Giorgio vive in un “mondo tutto suo”, un’alienità per cui viene stigmatizzato dai genitori e anche dall’ex fidanzata Gabriella (Matilda De Angelis) con l’invito ad essere realista e a trovare una posizione rispettabile.
Tuttavia, sono pur sempre gli anni dell’utopia al potere e Giorgio Rosa si dà da fare: insieme all’amico e collega Maurizio (Leonardo Lidi) , tra una piadina e l’altra, idea e realizza una piattaforma di cemento al di fuori dalle acque territoriali italiane, a sei miglia dalla costa riminese.

Ben presto la piattaforma diventa più di un vezzo ingegneristico: grazie all’aiuto di Rudy Neumann (Tom Wlaschiha), ex soldato tedesco, diventato poi una sorta di affascinante PR rinnegato dalla propria nazione, la piattaforma prende il nome di Isola delle Rose, diventando la nuova frontiera della libertà di giovani provenienti da tutta Europa.
Giorgio, però, vuole di più: scrive alle Nazioni Unite e al Consiglio d’Europa per ottenere il riconoscimento dell’isola come stato indipendente, con un ordinamento e una lingua propria, l’esperanto.

L’entusiastica aspirazione di Giorgio Rosa e del gruppo di amici che riesce a coinvolgere, ha in sé l’allure di anni di grandi speranze e di un certo benessere diffuso, di cui il film evoca il fascino con musiche, scenografie e riferimenti culturali precisi (la citazioni a Diabolik e al film La notte dei morti viventi di George Romero).
L’Isola delle Rose, ovviamente, non sfugge all’attenzione del governo italiano, allora guidato da Giovanni Leone (Luca Zingaretti) che, sollecitato dal ministro dell’interno Franco Restivo (Fabrizio Bentivoglio), con decisioni un po’ maccheroniche e, infine, una strategia infida, pone fine all’ambizione tanto desiderata.
Al regista Sibilia il plauso per aver raccontato una storia forse non a tutti nota, che i più giovani hanno potuto scoprire e altri, invece, ricordare con un sorriso; probabilmente un racconto che non ha l’effervescenza delle più recenti avventure narrate dal giovane regista nella serie di film di successo Smetto quanto voglio, ma che contribuisce a colorare quegli anni irripetibili, in cui si poteva sognare persino di avere un’isola.

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