Di padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano
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III domenica del Tempo ordinario, anno B
Gn 3,1-5.10; Sal 24; 1Cor 7,29-31; Mc 1,14-20
L’Evangelo di questa domenica inizia con il buio: Giovanni Battista è stato arrestato; il mondo cerca di far tacere la voce del profeta, pare che la speranza sia zittita e invece ecco che, sul Mare di Galilea irrompe l’assoluta novità di Dio e la voce della speranza diventa Parola che svela un compimento, che chiede conversione e diventa parola di chiamata concreta, che chiede di coinvolgere la vita nel progetto di Dio: «Il tempo è compiuto, il Regno di Dio si è avvicinato, convertitevi e credete all’Evangelo!».
Poche parole ma di una dirompente novità e di vastissimi orizzonti, parole alle quali questi secoli cristiani ci hanno malamente abituati, assuefatti (come è accaduto per tante altre parole e misteri della rivelazione cristiana!); parole che irrompono nuove nella storia e portano luce lì dove sembrava che il buio avesse vinto (con l’arresto del Battista), parole nuove ma con radici nel passato (Gesù ripete, in qualche modo, l’invito alla conversione che Giovanni, suo maestro, gridava dal Giordano!) ma con la forza di un compimento e con la certezza che è scoccata un’ora da cui non si può più tornare indietro. Insomma la storia ha avuto una svolta… «Il tempo è compiuto», cioè: l’attesa è finita! C’è dunque un oggi in cui Dio, superando quello che si poteva immaginare, compie tutte le sue promesse; scriverà Paolo che «tutte le promesse di Dio sono divenute “sì” in Gesù Cristo» (2Cor 1,20) e, nella sua Lettera ai cristiani della Galazia affermerà ancora lo stesso compimento in una pienezza del tempo che corrisponde alla venuta nella carne del Figlio di Dio (cf. Gal 4,4).
Questa pienezza è ora visibile nel Regno che si è avvicinato; il Regno è il farsi storia di Dio, è la sua venuta nella storia perché la storia divenga luogo del suo primato; in Gesù questo è davvero avvenuto perché in Lui, sulla faccia della nostra terra, ha camminato un uomo in cui Dio regna pienamente e che ha un solo desiderio: contagiare all’umanità dei suoi fratelli quello stesso regnare di Dio. Perché questo “contagio” accada è necessario convertirsi, è necessario lottare, è necessario ingaggiare un vero combattimento, come ha fatto il Figlio nel deserto per quaranta giorni per dare spazio pieno a Dio (il suo digiuno prolungato è proprio segno di voler dare spazio solo a Dio! Cf. Mc 1,12-13).
La conversione è volgere tutta la propria vita a Dio (in ebraico conversione di dice teshuvà che significa “inversione di direzione”;), significa cambiare la propria mente con la mente di Dio… quello che deve avvenire è un vero “rovesciamento” come annunzia Giona nel testo che oggi si legge quale prima lettura: «Ancora quaranta giorni e Ninive sarà capovolta» (così alla lettera che è parola volutamente ambigua: sarà “capovolta” perché distrutta o “capovolta” perché convertita?)…certo cambiare la nostra mente con la mente di Dio è una meta immensa, ma per il Nuovo Testamento la metànoia è il rovesciare (metà) la mente (nous), ma in un mutamento che non è da pensieri peggiori a pensieri migliori, il mutamento è cambiare i nostri pensieri con i pensieri di Dio… quando questo avviene, il Regno si compie in colui che ha messo fiducia in questa straordinaria possibilità di novità che è l’ Evangelo di Gesù (ecco il «credete all’Evangelo» che Gesù proclama!).
Marco fa seguire a questo irrompere della Parola di Gesù che viene a ridare speranza al mondo e viene a fare domande grandi al cuore dell’uomo, la scena della vocazione dei primi quattro discepoli.
Gesù, che ha proclamato la prossimità del Regno e il tempo ormai compiuto, si avvicina ad alcuni uomini e li chiama… li ha trovati nel loro quotidiano e da lì li chiama ad un quotidiano diverso, un quotidiano fatto di assoluta assiduità con Lui. Non si tratta di fare una cosa tra le altre ma di impostare la propria vita in modo altro mettendo al centro la sua persona e ciò che Lui è venuto a fare: trarre gli uomini dagli abissi del male e della morte. I quattro, infatti, sono chiamati a diventare pescatori di uomini, a lavorare all’opera di trarre gli uomini dal mare, luogo simbolo del male e del caos.
L’invito a “seguirlo” (deûte opίso mou cioè «venite dietro di me») è di capitale importanza nella sua formulazione («dietro di me»); si tratta di seguire Lui e di seguire Lui facendo le sue scelte. Chi legge l’evangelo sa che le scelte di Gesù andarono tutte verso un solo punto: offrire se stesso, «servire e dare la vita in riscatto» (Mc 10,45). Seguirlo significherà questo per quei quattro e per tutti quelli per i quali nei secoli risuonerà l’invito alla sequela; non si tratta di seguire una dottrina, dei bei pensieri, una “filosofia di vita”… si tratta di seguire Lui, Gesù di Nazareth e tutta la sua vicenda, il suo stile, le sue scelte…
Come diverso è ciò che chiede il Rabbi Gesù di Nazareth da quello che chiedevano gli altri rabbi di Israele… nel discepolato dei rabbini, in primo luogo, era il discepolo che sceglieva il rabbi, cosa che Gesù non tollera per sé… sarà infatti sempre Lui a scegliere i discepoli ed il Quarto Evangelo glielo farà dire in modo esplicito: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv 15,16); in secondo luogo era la dottrina ad avere il primo posto; i discepoli facevano vita con il rabbi, per lo meno in alcune ore del giorno, e certo per questo facevano molte rinunzie, ma per impossessarsi della dottrina e per diventare poi, a loro volta, dei rabbi, dei maestri.
Il discepolo di Gesù entra invece in una condizione permanente di discepolato, non diventerà mai maestro ma rimarrà sempre discepolo, discepolo chiamato a fare vita con Gesù fino in fondo; più farà vita con Lui, fino a dare la vita, e più sarà solo e sempre discepolo.
Ricordiamo a questo proposito le parole del grande martire Ignazio di Antiochia che, nella sua Lettera ai cristiani di Roma, scriverà, alla vigilia del martirio, che quando per la sequela di Cristo sarà dato in pasto alle belve, «sarà veramente discepolo» (Lettera ai Romani IV,2).
Il discorso che la liturgia di oggi ci fa fare è di una radicalità assoluta… e la radicalità è la via dell’Evangelo; per l’Evangelo non c’è altra via che quella radicale! Vie mediane Gesù non ne tollera perché le vie mediane diventano subito mediocri. Il Nuovo Testamento sa che il tempo si è fatto breve e dunque non si può perdere tempo; se il tempo è compiuto questo è vero fino in fondo e non sopporta nessun procrastinare; Marco sottolinea che le chiamate presso il lago hanno una risposta immediata; rimandare significherebbe solo dire “no”!
Se questo fosse chiaro in tante storie di vocazione o presunte tali!
Paolo, nel tratto della sua Prima lettera ai cristiani di Corinto, che oggi si legge come seconda lettura, mostra la vita cristiana come un guardare all’orizzonte ultimo; si deve sapere che «passa la figura di questo mondo», cioè il mondo passa come passa una “scena”, come qualcosa di provvisorio e, se è così, bisogna volgersi a ciò che è assoluto e definitivo e definitivo e assoluto è Cristo con il suo Regno veniente.
Allora nessuna via mediana; dobbiamo purtroppo constatare che anche nello spazio cristiano che c’è gente che crede in Dio e in una dottrina religiosa ma, se si scava profondo (e neanche tanto profondo!), ci si accorge che non si tratta del Dio che si è rivelato in Gesù Cristo; a volte si può trattare di un Dio “tappa-buchi”, di un Dio che serve a risolvere conflitti e ansie psicologiche ma non è quello dell’Evangelo, non è Colui che chiede cioè di misurarsi su un progetto che è quello di Gesù Cristo, che chiede di entrare in un discepolato che porta su vie imprevedibili la cui sostanza sarà sempre e solo dare la vita con Gesù e come Gesù.