Presentato all’ultimo Festival del Cinema di Venezia, prodotto da Netflix e che vede come produttore esecutivo Martin Scorsese, Pieces of a woman del regista ungherese Kornél Mundruczó, è disponibile sulla stessa piattaforma di intrattenimento dal 7 gennaio. Un film di disperazione e delicata resistenza.
Martha Weiss (Vanessa Kirby) è felice con il suo compagno Sean (Shia LaBeouf), stanno per diventare genitori e tutta la famiglia, specie la madre di Martha, Elizabeth (Ellen Burstyn) si prepara all’avvento di una bambina.
Tuttavia, l’entusiasmo dei due giovani si spegne ben presto: poco dopo essere nata, la bambina muore a cause di alcune complicazioni durante il parto avvenuto in casa con un’ostetrica, Eva (Molly Parker).
Il tragico episodio rivela un delicato e instabile equilibrio familiare che non regge al dolore.
La fotografia del film in tal senso è molto esplicativa: la vicenda si svolge in una Boston dalla luce fredda e opaca, il cielo è grigio, sotto al quale nessuno sembra trovare pace dopo la sciagura.
Martha, però, è lì: Vanessa Kirby (che, probabilmente, il pubblico conosce per aver interpretato la principessa Margaret nella serie di successo The Crown) dà corpo e sentimento a una giovane donna che, benché stanca e disperata, trova il suo modo di reagire. L’attrice ha ricevuto per questo ruolo la Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile al Festival del Cinema di Venezia.
Il compagno, invece, soccombe alla disperazione e perde sé stesso nel tentativo di cercare giustizia e un senso alla perdita della figlia: Shia LeBeouf interpreta bene l’entusiasmo dell’attesa e poi la disperazione della mancata paternità, ma non rimane un personaggio memorabile;
la madre di Martha, invece, si mostra ostile al comportamento e alla personale reazione della figlia e in un serrato e teso confronto (uno dei momenti “clou” del film) la incita alla battaglia legale contro l’ostetrica, per avere la giustizia di cui lei necessita per trovare pace e andare avanti.
Tuttavia, Martha affronta il suo dolore con discrezione e pazienza e sebbene chiusa in sé stessa, si guarda intorno: osserva altri bambini, pensa alla sua piccola tenuta tra le braccia per così poco tempo e ne trattiene un ricordo, tenero e buffo: l’odore di una mela.
La sceneggiatura di Kata Wéber racconta una storia dura e amara, che è anche l’intima storia familiare della sceneggiatrice e dell’allora marito, lo stesso regista Mundruczó: lo spettatore può faticare ad accettare la vicenda narrata senza riserve, ma la luce, la speranza c’è; ha la forma e il colore di un maestoso albero di mele che, nell’epilogo, si staglia contro un cielo azzurro e una bambina che, allegra, vi si arrampica, cogliendone un frutto.
Il dolore segna un solco sì, ma da come lo si riempie, può sempre fiorire una possibilità.
Il film, da cui è difficile non essere colpiti, sarà probabilmente tra i titoli in corsa per i prossimi premi Oscar.