Non esistono i casi nella vita, ma la benevolenza della vita quella sì.
Incontri da cui impari qualcosa, o incroci di storie che ne generano una nuova.
Ma anche più semplicemente incontri che offrono motivo per riflettere…come nel nostro caso, e lasciare che i valori emersi attecchiscano e siano semi di bene da disperdere, esempi di bontà da far rivivere.
Oggi (ma anche nei giorni scorsi), nei Commissariati di Polizia di tutta Italia (per una circolare del Dipartimento di Pubblica sicurezza) viene piantato un ulivo in ricordo di Giovanni Palatucci, Vicecommissario a Fiume impegnato a salvare la vita di centinaia (migliaia!) di Ebrei, poi morto il 10 febbraio 1945 nel campo di concentramento di Dachau. Oggi la Biblioteca diocesana San Tommaso d’Aquino ospita don Michele Di Martino, sacerdote della Diocesi di Salerno e parroco di Bracigliano mentre è alle prese con la stesura di un libro dedicato allo studio dell’archivio di mons. Giuseppe Maria Palatucci vescovo di Campagna dal 1937 al 1961 impegnato al Sud ad accogliere ebrei, zio di quel giovane dichiarato dallo Yab “Giusto tra le Nazioni”… Un testo, quello di Di Martino, edito dall’Associazione “San Bonaventura Onlus” che avremo il piacere di sfogliare tra poche settimane.
Una presenza quella di don Michele non di certo programmata su questa circostanza, bensì dettata semplicemente da esigenze di studio e di ricerca; tuttavia, in questa data, averlo come “testimone” dei due Palatucci (zio e nipote) è sicuramente un segno di benevolenza che la Vita oggi ci riserva per ricordare il valore di quel giovane poliziotto che offrì se stesso.
Il lavoro di Di Martino, docente di Storia della Chiesa antica e moderna presso il Seminario arcivescovile di Salerno, si inserisce nel genere di studi che completano la sua formazione: il lavoro di rilettura dell’archivio del Vescovo offre, nel nostro caso, la possibilità di cogliere il legame che vi fu tre gli ebrei internati a Campagna (tra cui quelli di Fiume inviati dal giovane poliziotto) e mons. Palatucci, rinvenendo un legame che durò ben oltre il tempo della prigionia più dolce che essi vissero nel sud Italia: consigliere, consolatore, amico, protettore, padre, così lo chiamavano coloro che avevano avuto la grazia di incontrarlo e ricevuto da lui la disponibilità ad essere accolti… condividendo con lui anche un tempo di accompagnamento spirituale.
Punto di riferimento nella vicenda tra gli Ebrei di Fiume e il Pastore, è appunto il giovane Giovanni, vicecommissario di pubblica sicurezza nella città di confine con la Jugoslavia… Nato a Montella (AV) nel 1909, dopo gli studi liceali svolge il servizio militare e gli studi universitari laureandosi in Giurisprudenza a Torino. Dal 15 novembre 1937 è presso la Questura di Fiume ove negli anni successivi avrà incarichi di Commissario e di Questore reggente: qui assume la responsabilità dell’ufficio stranieri, che lo porterà a contatto diretto con una realtà di rara umanità ed in particolare con la condizione degli Ebrei.
“Ho la possibilità di fare un po’ di bene, e i beneficiati da me sono assai riconoscenti”. scriveva alla famiglia mentre si dedicava alle sorti di quanti vedevano minacciata la propria vita. È appunto dalla corrispondenza con lo zio vescovo che emerge l’impegno di entrambi a dirottare verso Campagna i numerosi ebrei in cerca di protezioni maggiori…
Cresciuto in una famiglia profondamente cattolica, la sua formazione emergeva nel lavoro e nell’attenzione verso i più deboli.
Oltre 5mila è il numero delle persone salvate che si fanno risalire a Giovanni Palatucci, seppur la mancanza di prove dettagliate per tutti i casi abbia messo in discussione il valore di questa figura, ma riabilitata a pieno titolo dalle testimonianze dirette di numerosi ebrei. A tal proposito ci chiarisce meglio don Michele Di Martino: “Di una attività clandestina non è possibile avere concreto riscontro per il fatto che alle vite salvate siano associati documenti falsi difficilmente riconducibili (e giustamente) all’attività di un questore… Resta la certezza, ed è testimoniata dai diretti interessati, che fu intenso il suo impegno per gli Ebrei del posto tanto destinandoli a Campagna quanto cercando per loro altre possibilità di ricovero in loco: centinaia sono le testimonianze di chi ricevette il dono di essere protetto e salvato”.
Dal 1943 la città di Fiume, su un fragile confine, divenuta ormai di totale controllo nazista vide la posizione di Palatucci indebolirsi sempre di più ma non per il venir meno dei suoi impegni nei confronti degli Ebrei, quanto per il potere crescente dei nazisti e per i sospetti sull’attività del giovane questore… Più di un rifiuto da parte sua a voler consegnare prigionieri, gli costò la prigionia e la vita.
Con Don Michele abbiamo la possibilità di ripercorrere gli anni immediatamente successivi alla sua morte per comprendere quanto – da subito – il suo nome sia stato volutamente ricordato: già nel 1953 ben 400 ebrei rientrati in Israele (quelli di Fiume collegati a quelli di altre comunità) vollero omaggiare il questore dedicandogli una strada e un bosco nei pressi di Tel Aviv. Fu presente alla cerimonia il vescovo Mons. Palatucci artefice insieme al nipote dei numerosi atti eroici ricordati da molti.
Ancora riconoscimenti per il giovane Giovanni e questa volta in Italia, a cura della Comunità Israeilitica che il 17 aprile 1955 gli concedeva una Medaglia d’Oro alla sua memoria; nel frattempo in tutta il Paese si moltiplicavano iniziative in suo onore con l’intitolazione di strade, piazze, parchi pubblici…
Nel 1990 lo Yod Vashem lo giudica “Giusto tra le Nazioni”; il 19 maggio 1995 il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro gli conferisce conferito la Medaglia d’Oro al merito civile. Durante la cerimonia – in cui la figura dell’eroe martire era rappresentata da una giovane Vice Commissaria dell’Istituto superiore della Polizia di Stato – il Presidente Scalfaro ha desiderato che la medaglia dalle sue mani passasse, per la consegna, a quelle di Tullia Zevi, presidente delle Comunità ebraiche italiane.
Nel 2000 ha avuto inizio il processo di canonizzazione sulla scorta dei meriti che lo stesso Giovanni Paolo II aveva più volte riconosciuto al giovane Palatucci come quello di “martire del XX secolo” (dal 2002 è Servo di Dio).
Nel 2013 il Centro Primo Levi mette in discussione il titolo di Giusto attribuito a Palatucci, ma di fronte alla reazione che giunge da centinaia di ebrei sparsi oggi in tutto il mondo, e per le tesitimonianze dei discendenti diretti, il nome del giovane questore rientra a pieno titolo tra quelli che operarono per il bene, per la vita, per il futuro di altri giovani come lui…
Su Giovanni Palatucci, ci spiega don Michele Di Martino sono numerosi gli studi e le ricerche che porterebbero (si spera a breve) alla beatificazione: si tratta del minuzioso lavoro della professoressa Anna Foa e del prof. Luigi Matteo Napoletano (incaricato dal Vaticano). Ma non solo! Perché intorno al nome di questo audace e coraggioso italiano del Sud si sono “riuniti” in tanti per dar vita ad una serie di esperienze commemorative di carattere duraturo come il Centro Studi Giovanni Palatucci a Campagna e il Museo – Itinerario della Memoria e della Pace a San Bartolomeo ricavato nella caserma che ospitò gli internati: qui il signor Michele Aiello insieme ad un gruppo di collaboratori, oggi accolgono e offrono la possibilità di rivivere la suggestiva e dolore esperienza del piccolo campo di concentramento ricordando, inevitabilmente, il coraggio di quel Giovanni, che provò (e ci riuscì) a mitigare le sofferenze di tanti fratelli.