Dimmi tra lacrime esitanti,
tra sorrisi titubanti,
tra dolore e dolce vergogna,
il segreto del tuo cuore!
Tagore
di Rosaria De Angelis
I solchi rossi
Francesca (nome di fantasia), incede a passo lento, subito dopo la madre e il padre.
La sua postura è ricurva su se stessa. Strofina continuamente le dita…una mano contro l’altra; un pollice che graffia l’altro… Della madre avverto anch’io una oppressione in crescendo durante il colloquio…e non la faccio smettere. Ho sentito il bisogno di capire “fin quando” è possibile resisterle.
Riferita a Francesca parla di attacchi di panico, di ansia, di depressione, di confusione: è tutto così confuso e fluido. La presenza del padre non è palpabile. Se non fosse che lo avevo nel mio raggio visivo, non avrei percepito la sua presenza. Vacuità. Inconsistenza. Trasparenza. Questi gli unici aggettivi che mi vengono in mente pensando a lui.
Francesca è figlia unica: è l’unica unicità che ha sperimentato finora nella sua vita. Francesca è poco più che maggiorenne, frequenta il primo anno di università e non ha autonomia né gestionale né decisionale.
Il compito affidatomi dalla famiglia è stato: “far di pezzi, uno!” Francesca sembrava essere la carceriera di se stessa. Enigmatica. Claustrofobica. Evitante. Da qualche malore manifestato è passata, nel tempo, ad essere seguita da uno psichiatra “privatamente”. Quel privato, però, che sa di nascondimento. Di vergogna. Di silenzi. Lo sconforto che ha devastato Francesca è stato un crescendo che l’ha portata a tagliarsi, a ferirsi, a farsi del male. Ha raccontato il suo inferno e la voglia di uscirne.
“Su cosa posso contare per una tua aderenza al trattamento psicoterapeutico?”
“Ho fatto una scommessa con me stessa: non voglio più vivere nell’inferno. Voglio scommettere su questo per ripartire”.
RI-partire. Re-inventarsi. Sperimentarsi nuovamente. È anche questo il percorso della psicoterapia. L’obiettivo postomi con Francesca non è stata quello di giungere ad un cambiamento del suo pensiero. Ho puntato al cambiamento comportamentale; sganciarla da quegli automatismi lesivi che l’hanno tenuta intrappolata in un mondo in bianco e nero e con fiamme rosse. Ho scelto di condividere la storia di Francesca perché è una storia comune: l’autolesionismo è molto più diffuso di quanto si possa immaginare. E molte famiglie ignorano. Ignorano quando vedono i tagli sulle braccia dei figli. Ignorano quando sanno di non saper intervenire. Quell’ignorare che assume la pesantezza di lunghi silenzi. Sono dolori a intermittenza. Per tutti. E per ciascuno. Con Francesca siamo andate sempre più a fondo nei ricordi della sua vita…un capitombolo continuo, ma tenendola per mano.
Il codice a barre
Quali sono state le relazioni che Francesca ha instaurato nel corso del suo sviluppo?
“I bambini vengono educati da quello che gli adulti sono e non dai loro discorsi” (Jung). Qual è stata e come è stata quell’impronta, quel marchio a fuoco sulla sua anima e nei suoi pensieri?! È proprio da quel marchio che tiriamo fuori pian piano la sua storia di vita. Sono quei codici a barre che hanno determinato i suoi sogni, i suoi obiettivi, i suoi desideri. Tutto ciò che è, che è stata e che vuole essere. La trascuratezza delle sue figure accudenti, ha verosimilmente inciso, insieme ad altre condizioni coesistenti, generando una situazione di natura traumatica che ha reso Francesca vulnerabile anche rispetto a certe dinamiche emotive.
Francesca ad un certo punto del suo percorso è arrivata ad uno stop.
Sua madre quell’intuito l’ha avuto: la frammentarietà. La sua richiesta: Far di pezzi, uno!
Ma includerla nel processo di ricostruzione di “pezzi” è stato complicato tanto quanto portarla alla consapevolezza che anche lei è stato il pezzo mancante di quella famiglia.
Spesso mi ritrovo di fronte famiglie, spesso ancora mamme, che mi “portano” i propri figli, quasi come fossero dei pacchi. Dei giochi da sistemare. Degli oggetti rotti o lesionati. “Questo figlio ha un problema”. Il figlio. Di contro, spesso individuo anch’io “il problema” di quel figlio: quel problema sono quei genitori. O meglio, l’incapacità di quei genitori di “incidere” positivamente nella vita dei propri figli.
Torniamo a Francesca. Questo bellissimo “pezzo” da riparare. Con lei abbiamo lavorato sulle sue emozioni che erano disfunzionali. Ha dovuto imparare nel tempo a riconoscere i suoi stati emotivi. A dare loro un nome.
Monitorare quello che si prova ci dà la possibilità di utilizzare emozioni che siano funzionali ad una crescita personale, al benessere, a tutto. E Francesca ha lavorato davvero tanto per tutto questo. Stavolta è lei a dare il passo alla sua famiglia. Anche quando entrano nello studio di terapia. Ho visto cambiare disposizione dei posti durante le terapie, nel tempo… mutare il sentire e trasportarlo nel mondo. Il timbro di voce poi!
Mi capita, talvolta, di chiudere un attimo gli occhi. Ascoltare senza guardare. Amplifica il senso dell’udito e della ricezione del suono. Che bel timbro ha Francesca. Ha cambiato passo. È passata dall’imprimere segni sul suo corpo, nel tentativo esasperato di far uscire da essi la sua storia, dall’esasperato bisogno di provare a sentire emozioni, a liberare, finalmente, se stessa. “Liberava endorfine”, ma nel modo sbagliato.
Ha lasciato cadere e morire ciò di cui doveva liberarsi, per prepararsi e preparare anche il suo corpo ad una rinascita.
Si è allenata alla mancanza, per sperimentare la nascita.
Per rinascere bisogna prima lasciar morire qualcosa.
Ha imparato a dialogare senza usare il suo corpo per attirare l’attenzione e per procurare nell’altro una risposta magari accuditiva, magari persuasiva, o ancora aggressiva.
Ad oggi Francesca vive sola per motivi di lavoro, ma torna ogni due settimane a casa. Ancora non è pronta, dice, per cercare un amore… Per trovare un amore bisogna fargli spazio nel proprio spazio intimo. Collocarlo. Dargli stabilità. Donargli un luogo.
Attraverso sedute di psicoterapia si giungerà anche a questo. Si inizia, pian piano, a lavorare sulle relazioni. I suoi genitori seguono un percorso di terapia familiare insieme con lei. Con loro abbiamo lavorato innanzitutto sul concetto di delega…mi avevano portato il “pacco”.