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Ma Rainey’s Black Bottom: la madre del blues tra musica e politica, e un premio ai Golden Globes

Il film Netflix con protagonisti Viola Davis e Chadwick Boseman, nel suo ultimo ruolo

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Nel nostro elenco di proposte di cinema sulla piattaforma Netflix era in programma anche Rainey’s Black Bottom che nella notte dei Golden Globes di qualche ora fa si è aggiudicato un singolare riconoscimento: all’attore 43enne Chadwick Boseman, scomparso prematuramente lo scorso agosto, prima del rilascio del film stesso, è andato infatti il premio postumo come migliore attore protagonista drammatico. A ritirare virtualmente il Golden Globe è stata sua moglie Taylor Simone Ledward.
Riconoscimento anche all’Italia premiata per la canzone Io Sì (“migliore canzone originale 2020”) interpretata da Laura Pausini nel film “La vita davanti a sé” di Edoardo Ponti in cui è protagonista Sofia Loren.

Noemi Riccitelli – Volti concitati, madidi di sudore, corpi frementi, sensuali: fibrillazione, entusiasmo e tensione.
Il viscerale blues si fa corpo e anima nel film Ma Rainey’s Black Bottom, uscito su Netflix il 18 dicembre: il regista George Costello Wolfe si rifà all’omonima opera teatrale del 1984 di August Wilson, secondo capitolo del Ciclo di Pittsburgh, una raccolta di dieci opere teatrali scritte dal drammaturgo che ruotano intorno ai cantanti afroamericani degli anni ’20.
La donna cui il titolo del film fa riferimento è, infatti, la cantante jazz e blues Ma Gertrude Rainey, la “madre del blues”  che, realmente esistita, è interpretata dall’attrice premio Oscar Viola Davis.


Il film presenta al pubblico la cantante quando è già nel suo momento d’oro e si appresta a registrare un disco in una casa discografica di Chicago, gestita da due impresari “bianchi”, dove la attende la sua band di accompagnamento, composta da quattro uomini: Toledo (Glynn Turman), Cutler (Colman Domingo), Slow Drag (Michael Potts) e il giovane Levee, interpretato dall’attore Chadwick Boseman, scomparso prematuramente nel 2020, prima del rilascio del film stesso.

Sarà quest’ultimo a tessere le fila degli avvenimenti, creando agitazione e scompiglio: infatti, il giovane Levee, particolarmente entusiasta e desideroso di successo, cerca con ostinazione di far utilizzare un suo arrangiamento per una delle canzoni da registrare (la stessa che dà il titolo al film), sostenendo come esso incontrasse di più il gusto del pubblico “bianco”.
Tuttavia, nonostante gli avvertimenti e gli inviti ad una placida resa da parte degli altri membri della band, il giovane sosterrà la sua posizione anche contro la stessa Ma, orgogliosa e decisa quanto lui.

La pellicola però non è solo questione di tafferugli musicali, ma molto di più; la musica, il blues in particolare, assurge alla sua originaria essenza: melodia concreta e disperata, unica consolazione delle esistenze degli afroamericani nel periodo più oscuro della loro storia, quello della schiavitù.
La sala di registrazione diventa, così, una sorta di confessionale dove le dolorose ed intime esperienze di vita dei protagonisti si alternano: si tratta di episodi legati al razzismo e al sopruso dei bianchi di quegli anni.
Nonostante tutti i personaggi risultino essere ben caratterizzati e trovino un loro posto nella narrazione, sono due le anime che spiccano su tutte: Levee e Ma.

Ma, cui Viola Davis ha conferito la grinta e lo spessore di altre sue interpretazioni, oltre che un’immedesimazione fisica sorprendente, in un dialogo con Cutler, rivela la sua vera indole: il suo atteggiamento altero è dovuto alla necessità di farsi rispettare in una realtà dove tutti si interessano solo alla sua voce, biasimando la sua personalità.
E’ lei, inoltre, che pronuncia le battute che forse racchiudono meglio il senso del film: “La musica fa questo, riempie i vuoti. Quanta più musica c’è nel mondo, tanto meglio. […] I bianchi non riescono a capire il blues. Sentono la musica, ma non sanno da dove nasce. Non si rendono conto che è così che parla la vita. Tu non canti per stare meglio. Tu canti perché in quel modo prendi la vita.”
La storia del giovane Levee è, invece, una stretta al cuore, enfatizzata dall’interpretazione di Chadwick Boseman che, impossibile da guardare senza commozione, ha recitato nel suo ultimo film con lo stesso slancio e passione che animano Levee nei suoi sogni di gloria.
Rimangono impressi i suoi occhi: gioiosi nell’acquisto del paio di scarpe gialle appena arrivato a Chicago, pieni di lacrime di dolore e rabbia nel racconto della vicenda della sua famiglia, spalancati nella cocente delusione quando l’impresario cui aveva affidato i suoi testi gli comunica di non voler vendere le canzoni da lui scritte, disperati e spaesati nel finale che lo conduce a un gesto estremo.

Il finale beffardo del film fa indignare e amareggiare lo spettatore e oltre alla realtà narrata dal film, coinvolge punti ancora pericolosamente caldi della nostra società, ma in particolare di quella americana.
Infatti, dopo una storia di soprusi e dinamiche politico-sociali crudeli, il popolo afroamericano si trova ancora oggi a dover gridare “Io conto!” e a non vedersi riconosciuto il fondamentale e accorato apporto alla stessa cultura americana.
Quest’ultima mostra così i suoi limiti e paradossi, su cui la visione del film induce, inevitabilmente, a riflettere.

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