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Maresciallo Luigi Ciaburro: anche il Matese ricorda il suo “eroe” contro la Camorra nel giorno dedicato alla memoria di don Peppino Diana

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La Campania oggi ricorda la morte di don Peppino Diana ucciso dalla camorra a Casal di Principe nel 1994; questa data, con forza, si è imposta alla riflessione collettiva diventando simbolo di denuncia, lotta alla criminalità, riscatto, legalità…
È cresciuto negli anni l’impegno di cittadini, associazioni e familiari delle vittime innocenti della camorra affinché la memoria e il ricordo di chi ha ingiustamente subito la morte non svanisse ma diventasse voce e seme buono…
Tra coloro che avevano preferito sporcarsi le mani, non di sangue, ma di fatica per una società più giusta, c’è il maresciallo dei Carabinieri Luigi Ciaburro di Sant’Angelo d’Alife morto nel 1975 a Villa Literno. La sua storia è una di quelle scelte di recente per il libro di Raffaele Sardo La sedia vuota.
Dal nostro primo incontro con lui, volentieri torniamo a parlarne ogni volta che gli eventi ci impongono uno “stop” alle giornate distratte e talvolta poco impegnate per il bene comune.
Tutta Villa Literno è in lacrime per la morte del suo comandante maresciallo maggiore. (…) Le campane della chiesa di Villa Literno suonano ogni mezz’ora a mesti ritocchi, la piazza principale del paese è affollata e muta, tutti gli uffici e gli esercizi pubblici sono restati chiusi. I contadini sono tornati dalle campagne, anche gli edili hanno fermato il lavoro. Le porte delle case che affacciano sulle strade sono rimaste chiuse a metà. Villa Literno ha dato prova di saper rispettare la morte e di saperla piangere con un dolore che sa di tragedia antica. (Giovanni Motti, Il Mattino, 10 settembre 1975)

ciaburro_villa-literno_carabinieriLa Redazione – Luigi Michele Ciaburro nacque a Sant’Angelo d’Alife il 24 maggio 1923. La sua missione si compì definitivamente a Villa Literno, nella notte del 9 settembre 1975, quando una telefonata anonima lo inviò sulla quella ferrovia dove qualcuno avrebbe dovuto bloccare e sequestrare la merce di un treno di passaggio tra Casapesenna e Villa Literno. “Una prassi consolidata da quelle parti”, ci racconta la figlia Anna Gloria, che all’epoca dei fatti aveva 14 anni, e che ricorda bene, fin troppo, quelle terribili ore. “Il giorno prima avevamo sentito alla televisione dell’uccisione ad Angri (SA) del brigadiere Gioacchino D’Anna. Mio padre, a quella notizia, aveva pronunciato sommessamente queste parole: oggi a te, domani a me, come ad immaginare la sua imminente tragica fine”.
Il Maresciallo Ciaburro sognava una famiglia unita: per troppi anni, durante gli spostamenti richiesti dall’Arma, aveva vissuto lontano dalla moglie e i 4 figli; il suo sogno era quello di andare presto in pensione, garantire un futuro sereno ai suoi ragazzi permettendo loro di studiare, e per lui sognava il ritorno a Sant’Angelo d’Alife, il suo paese natale di cui era innamorato. Non avvenne così.
Il suo servizio nell’Arma dei Carabinieri, in ambienti come quello di Villa Literno e Casal di Principe stavano segnando inevitabilmente l’equilibrio della famiglia: troppe tensioni, troppe paure nascoste o solo in parte rivelate ai figli: “Tante volte mio padre ritornava in Caserma, dove vivevamo tutti, con la camionetta trivellata di colpi da arma da fuoco, o stanco senza nemmeno un filo di voce.  La mia adolescenza procedeva così, tra queste paure e l’irrefrenabile voglia di vivere che è tipica dell’età. Non ero a conoscenza del fatto che i miei compagni di classe e di giochi appartenevano alle famiglie di Cutolo e Bardellino. E molti di quei ragazzi oggi non ci sono più: tutti vittime dello scontro fra clan, o finiti dietro le sbarre. Tuttavia ero felice di quella vita e orgogliosa talvolta di essere accanto a mio padre in occasioni ufficiali di rappresentanza.
Il maresciallo Ciaburro aveva a cuore la vita della gente, della povera gente di quei paesi. Il forte senso di solidarietà lo aveva avvicinato al mondo dei contadini locali ottenendo per essi diversi vantaggi economici soprattutto per coloro che facevano i conti con i problemi legati allo smaltimento della sovrapproduzione di pomodori e pesche. Tramite l’Aima (Azienda Interventi Mercato Agricolo), istituita presso l’allora Ministero dell’Agricoltura, aveva spianato la strada agli agricoltori locali per l’ottenimento di fondi economici dal Governo. Il suo era un impegno sociale oltre che di ordine pubblico. Forse non fu gradito a tutti.carabinieri_clarus
Nel 1942 era entrato a far parte dei Carabinieri. Fu assegnato alla stazione di Scoglitti in Sicilia, dove in occasione dello sbarco degli anglo-americani presidiò il posto, nonostante il forte bombardamento. Una brillante carriera la sua, fino alla selezione per far parte della scorta del Presidente della Repubblica Giovanni Leone. Un altro incarico a cui rinunciò per rimanere con la famiglia; i figli stavano crescendo e la presenza del padre si rivelava oltre che importante, una responsabilità a cui non poteva sottrarsi. Tra le diverse destinazioni assegnategli, in cui la famiglia cercò di seguirlo sempre, scelse in ultimo Villa Literno, ben consapevole della difficoltà di un territorio difficile da gestire e tutelare.
La sera dell’8 settembre il Maresciallo aveva partecipato ad una riunione con gli agricoltori locali, era rincasato, poi nella notte la telefonata anonima che lo allertava a correre lungo la ferrovia.
“Mio padre è morto alle 2.50 del 9 settembre, mentre rincorreva un uomo, mentre cercava di aggredire anche fisicamente il malaffare diffuso in quelle terre. Per tutta la notte non avemmo alcuna notizia; mia mamma più di una volta venne a svegliarmi preoccupata per il suo mancato rientro. Solo all’alba, alle 7.30, ritornarono in caserma – dove vivevamo anche noi – alcuni uomini in divisa. Ci bastò guardare fuori dalla finestra e vedere gli occhi di tutti, anche della gente che si era raccolta, puntare verso di noi. Il silenzio che aveva coperto improvvisamente ogni rumore sembrò urlare più di ogni pianto che dopo si sprigionò”.
Villa Literno, la città delle mamme e dei padri preoccupati per il futuro dei propri figli lo pianse amaramente. La moglie coraggiosamente, sull’esempio del marito tenne unita la famiglia.
Purtroppo nessuna autopsia sul corpo di Ciaburro: chi lo abbia aggredito o ferito non si sa. I malviventi lungo la ferrovia? Il treno in corsa? Dopo quarant’anni nessuna verità. La salma venne restituita alla famiglia dopo 4 giorni dall’accaduto; la moglie chiese la sepoltura e non altro che avrebbe potuto ancora ferire il corpo di quell’uomo.
Un esempio di dedizione, di valore e onore; di amore per la famiglia, per la propria terra natìa dove il suo corpo riposa, perché è lì che voleva ritornare.
Memorie di uomini di cui spesso si perde traccia, ma che in realtà hanno lasciato un segno inciso nella terra e nella carne di chi ne ha conosciuto le gesta eroiche e la carità. (pubblicato su www.clarusonline.it del 5 giugno 2014)

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