Sant’Alfonso Maria de’ Liguori toccò con la sua santità anche le terre dell’attuale Diocesi di Alife-Caiazzo. Visse infatti a Liberi (piccolo centro del Monte Maggiore) dove nella frazione di “Schiavi” diede vita alla prima casa della Congregazione del Santissimo Redentore (1734). Questa foto lo ritrae nel suo studio, nel gesto di scrivere, in una scena del presepe napoletano di proprietà del prof. Marcellino Angelillo di Alife.
Debora Donnini – “È necessario sempre trovare la strada che non allontani, ma avvicini i cuori a Dio, così come fece” sant’Alfonso Maria de’ Liguori, “maestro e patrono dei confessori e dei moralisti”, offendo “risposte costruttive alle sfide della società del suo tempo, attraverso l’evangelizzazione popolare, indicando uno stile di teologia morale capace di tenere insieme l’esigenza del Vangelo e le fragilità umane”. E’, dunque, sull’esempio di sant’Alfonso, “rinnovatore della teologia morale”, che Papa Francesco esorta a sostenere i più abbandonati spiritualmente nel cammino verso la redenzione. Un cammino dove “la radicalità evangelica non va contrapposta alla debolezza dell’uomo”. Una mappa per orientarsi il Papa la offre nell’odierno intenso messaggio in occasione del 150.mo anniversario della proclamazione di Sant’Alfonso Dottore della Chiesa, indirizzato a padre Michael Brehl, superiore generale della Congregazione del Santissimo Redentore e Moderatore Generale dell’Accademia Alfonsiana.
“Sull’esempio di Alfonso – è la sua esortazione – invito i teologi moralisti, i missionari ed i confessori ad entrare in rapporto vivo con i membri popolo di Dio, e a guardare all’esistenza partendo dalla loro angolazione, per comprendere le difficoltà reali che incontrano ed aiutare a guarire le ferite”. Il Papa si richiama al periodo vissuto dal Santo e alla stessa Bolla di proclamazione del dottorato di sant’Alfonso che “ne evidenzia la specificità della sua proposta morale e spirituale, avendo saputo indicare «la via sicura nel groviglio delle opinioni contrastanti del rigorismo e del lassismo»”. E ricorda che il suo messaggio è “modello per tutta la Chiesa in uscita missionaria” indicando “la strada maestra per avvicinare le coscienze al volto accogliente del Padre, perché «la salvezza che Dio ci offre è opera della sua misericordia»”, rimarca Francesco citando, la Evangelii Gaudium, testo programmatico del suo Pontificato, che permea tutto questo Messaggio.
Di fronte alle sfide attuali formare le coscienze al bene
Lo sguardo del Papa si volge all’attualità delle sfide di questo tempo: dalla pandemia alla questione del lavoro nel mondo del post Covid, a quella delle cure da assicurare a tutti, alla difesa della vita, agli input che ci vengono dall’intelligenza artificiale. E ancora la questione della salvaguardia del creato, la minaccia antidemocratica e l’urgenza della fratellanza. “Guai a noi se in tale impegno evangelizzatore, separassimo il ‘il grido dei poveri’ dal ‘grido della terra’”, afferma.
A livello di teologia morale, forte l’invito del Papa affrontare “il grido di Dio che chiede a tutti noi: «Dov’è tuo fratello?». Dov’è il tuo fratello schiavo? Dov’è quello che stai uccidendo ogni giorno nella piccola fabbrica clandestina, nella rete della prostituzione, nei bambini che utilizzi per l’accattonaggio, in quello che deve lavorare di nascosto perché non è stato regolarizzato?”. Dinnanzi a passaggi epocali come quello attuale, “si evidenzia concreto il rischio di assolutizzare i diritti dei forti, dimenticando i più bisognosi”.
“Meta indispensabile per ogni cristiano” è quindi “la formazione delle coscienze al bene”: “dare spazio alle coscienze – luogo dove risuona la voce di Dio – perché possano portare avanti il loro personale discernimento nella concretezza della vita è un compito formativo a cui bisogna restare fedeli”. E l’atteggiamento del Samaritano indicato in Fratelli tutti, “sprona in questa direzione”.
Dall’ascolto all’evangelizzazione
Il Papa ripercorre, dunque, le orme della vita di sant’Alfonso, nato a Napoli nel 1696. La sua proposta teologica, ricorda, nasce dall’ascolto e dall’accoglienza della fragilità degli uomini “più abbandonati spiritualmente”. “Formatosi in una mentalità morale rigorista, si converte alla ‘benignità’ attraverso l’ascolto della realtà”, nota Francesco soffermandosi proprio sulla “graduale conversione verso una pastorale decisamente missionaria” capace di saper accompagnare il popolo condividendone la vita, che “spinse Alfonso a rivedere, non senza fatica, anche l’impostazione teologica e giuridica ricevuta negli anni della sua formazione: inizialmente improntata ad un certo rigorismo, si trasformò poi in approccio misericordioso, dinamismo evangelizzatore capace di agire per attrazione”.
Il Papa, dunque, rileva come proprio “l’esperienza missionaria nelle periferie esistenziali del suo tempo, la ricerca dei lontani e l’ascolto delle confessioni, la fondazione e la guida della nascente Congregazione del Santissimo Redentore, e ancora le responsabilità come Vescovo di una Chiesa particolare” lo portarono a “diventare padre e maestro di misericordia, certo che il «paradiso di Dio è il cuore dell’uomo»”.
Né lassista né rigorista
Nelle dispute teologiche non si fermò “alla formulazione teorica dei principi”, ma si lasciò interpellare dalla vita stessa e “avvocato degli ultimi, dei fragili e degli scartati dalla società del suo tempo” difese il “diritto” di tutti, specialmente dei più poveri. “Questo percorso – sottolinea Francesco – lo ha condotto alla scelta decisiva di porsi al servizio delle coscienze che cercano, pur tra mille difficoltà, il bene da fare, perché fedeli alla chiamata di Dio alla santità”. Sant’Alfonso, dunque, “non è né lassista né rigorista. Egli è un realista nel vero senso cristiano”, nota ancora Francesco. L’annuncio del Vangelo in una società che cambia rapidamente richiede, dunque per Papa Francesco, “il coraggio dell’ascolto della realtà, per «educare le coscienze a pensare in maniera differente, in discontinuità con il passato»”.
L’insegnamento morale cristiano deve essere sempre una risposta “al Dio che ci ama e che ci salva”, prosegue il Papa, e quindi “la teologia morale non può riflettere solo sulla formulazione dei principi, delle norme, ma occorre che si faccia carico propositivamente della realtà che supera qualsiasi idea”. “Questa è una priorità”: la sola conoscenza dei principi teoretici “non basta per accompagnare e sostenere le coscienze nel discernimento del bene da compiere” ma è necessario che “la conoscenza diventi pratica mediante l’ascolto e l’accoglienza” di chi è considerato scarto dalla società.
Una Chiesa adulta capace di rispondere a fragilità sociali
Il punto è, dunque, quello di andare incontro “a chi è privo di soccorso spirituale”, cosa che “aiuta a superare l’etica individualistica e a promuovere una maturità morale capace di scegliere il vero bene”.
“Formando coscienze responsabili e misericordiose – sottolinea – avremo una Chiesa adulta capace di rispondere costruttivamente delle fragilità sociali, in vista del regno dei cieli”. Inoltre, l’andare incontro ai più fragili “permette di combattere la logica “della competitività e della legge del più forte” che “considera l’essere umano in sé stesso come un bene di consumo” dando così luogo alla cultura dello scarto.
Fonte Vatican