Home Attualità Giornata per la sicurezza sul lavoro: gli operatori sanitari i più colpiti...

Giornata per la sicurezza sul lavoro: gli operatori sanitari i più colpiti dalla pandemia

In un anno segnato dal coronavirus, gli infermieri rimangono la categoria più a rischio, anche in Italia, mentre si pensa ai danni psicologici dello smartworking. Il presidente delle Acli Manfredonia: più tutela e sicurezza per gli invisibili del lavoro, come caregivers e riders

791
0

Michele Raviart – Città del Vaticano Oltre un anno di pandemia ha reso ancora più sensibili i temi richiamati dalla Giornata mondiale per la sicurezza e la salute sul lavoro, promossa dall’Onu. Una Giornata che si celebra oggi insieme a quella internazionale della memoria per i lavoratori deceduti o che hanno subito infortuni, disabilità e malattie durante la loro attività. Nel mondo, ha ricordato l’Organizzazione internazionale del lavoro, sono 136 milioni i lavoratori che, solo nel campo della salute, sono a rischio di infezione da Covid-19. Il 14% di tutti i positivi sono stati finora medici, infermieri o lavoratori del settore sanitario, pari al 25% in Europa. Settemila le vittime, duemila e cinquecento solo nelle Americhe.

Anche in Italia il settore sanitario è quello più colpito

In Italia, secondo i dati dell’Inail aggiornati al 31 marzo 2021, i contagi di origine professionale dall’inizio della pandemia sono stati oltre 165 mila, principalmente durante la seconda ondata dello scorso autunno. 551 i morti, la maggioranza dei quali durante la prima ondata del 2020. Come nel resto d’Europa, il settore sanitario è stato il più colpito, con due terzi dei contagi professionali – in maggioranza infermieri –  e un terzo delle morti sul lavoro. Secondo per numero di morti – pari all’11% – il mondo del trasporto e dei magazzini.

Sono diminuite del 15% in Italia le denunce di infortuni sul lavoro rispetto allo scorso anno, ma si tratta di un dato positivo solo in apparenza. “È stato un anno molto difficile, sinceramente”, spiega a Vatican News Emiliano Manfredonia, presidente delle Acli, le associazioni cristiane dei lavoratori italiani. “Gli infortuni complessivamente sono diminuiti se andiamo a vedere le statistiche,  però sono dati un po’ ‘drogati’, perché comunque tante persone sono purtroppo in cassa integrazioni o comunque non hanno lavorato perché le loro attività sono state chiuse”. “Se facciamo invece un calcolo sulla base di chi ha lavorato, gli infortuni sono aumentati e in modo particolare quelli derivati dal Covid-19, con il problema aggiuntivo di non sapere quali siano le conseguenze sul lungo periodo della malattia e le ripercussioni in ambito lavorativo

I danni psicologici della pandemia

Oltre ai problemi di salute strettamente legati al virus, la pandemia ha causato anche dei danni psicologici che si fa fatica a quantificare nel lungo periodo. Un lavoratore sanitario su cinque nel mondo ha riscontrato sintomi riconducibili ad ansia e depressione, mentre il 65% delle aziende interpellate dall’Oil ha riferito che i propri dipendenti hanno avuto disagi difficili da sostenere durante i periodi di lavoro in smartworking.

Lo smarworking non è un “sottolavoro”

Un fenomeno riscontrato anche dalle Acli. “Lo smartworking – spiega ancora Manfredonia – dovrebbe andare incontro alle esigenze del lavoratore e della lavoratrice, ma in questo caso è stato obbligatorio”. E ci sono state “delle difficoltà e degli abusi”. “Penso ad esempio all’utilizzo dei device perché la persona era sempre connessa”. Il carico famigliare rispetto anche all’educazione dei figli e all’attività lavorativa “è stato molto pesante e spesso non vengono neanche riconosciuti i permessi per congedi famigliari e questa è un’ingiustizia: lo smartworking non è un sotto-lavoro”.

Più sicurezza per gli invisibili

Ancora più decisivo, in questa fase della pandemia, è far rispettare la sicurezza sul lavoro ed applicare i necessari protocolli, soprattutto nei luoghi chiusi, in cui le possibilità di contagio, rivela l’Oil, sono quasi 19 volte superiori rispetto ai luoghi di lavoro all’aria aperta. “Rispetto all’inizio della pandemia – prosegue il presidente delle Aclii – i protocolli di sicurezza sia all’interno delle strutture sanitarie sia all’interno delle aziende si sono un po’ standardizzati e hanno trovato anche le giuste forme di tutela del lavoratore”. “Bisogna continuare con questi protocolli e bisogna fare un’alleanza con le imprese. Poi bisogna cercare di tutelare gli invisibili. Penso alle centinaia di migliaia di persone che sono nelle nostre case a curare i nostri cari. Penso a chi lavora in nero, ma penso anche ai rider e a chi lavora nella ‘gig economy’ e la logistica che sono molto ‘appesantiti’ di carico lavorativo in termini di orario e di quantità di lavoro, che spesso non aiuta a quella prudenza che serve alla tutela dei lavoratori”.

Fonte vaticannews.va

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.