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Commento alla V domenica di Pasqua. Ci vuole coraggio per rimanere innestati in Gesù vera vite!

Commento al Vangelo della V domenica di Pasqua - anno B

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Di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano

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V domenica di Pasqua
At 9,26-31; Sal 21; 1Gv 3, 18-24; Gv 15, 1-8

Il nostro cammino nella Pasqua di Cristo che abbiamo celebrato ci conduce oggi ad una parola di Gesù che ci rivela quale deve essere il segreto profondo del vivere quotidiano del discepolo. Dopo averci rivelato se stesso quale pastore bello-buono, che conosce ciascuno di noi con quella stessa conoscenza con cui il Figlio conosce il Padre (vertiginoso!), con l’allegoria della vite, in questa domenica, Gesù ancora ci rivela se stesso per rivelarci ancora noi stessi; dove ci vuole Gesù? Non dinanzi a Lui e neanche più dietro di Lui…ci vuole in Lui! E così ci parla di una vite e non come pure avevano fatto i profeti (cfr. Is 5, 1-7; Ger 2,21) che spesso avevano paragonato Isarele ad una vigna spesso deludente e capace solo di fruttificare uva aspra e selvatica…una vigna che aveva di continuo bisogno d’essere visitata dal Signore; ricordiamo il Salmo: «Dio potente, ritorna e visita questa vigna» (cfr. Sal 80,15). Ora, in questo testo giovanneo, che oggi ascoltiamo, sulle labbra di Gesù risuona una parola in cui si autodefinisce proprio a partire da questa categoria: «Io sono la vite!». Si badi bene: non dice di essere la vigna, ma la vite. Mi pare che tutto si faccia chiaro: il Figlio di Dio, nella visione del Quarto Evangelo, si è fatto vite nella vigna infedele perché tutta la vigna possa prendere vita nuova da Lui.

Da sé quella vigna darebbe solo frutti aspri e selvatici, da sé diverrebbe (e di fatto è avvenuto ed avviene!) luogo di devastazione di ogni “cinghiale” selvaggio, di ogni mondanità che travolge e calpesta tutto (cfr. Sal 80, 13-14)… Gesù, vite vera, è venuto a rendere possibili i frutti, a rendere possibile il vino della gioia, il vino delle nozze (non a caso l’Evangelo di Giovanni si era aperto con il segno di Cana con l’abbondanza del vino messianico!). La vite vera è Lui e rende fecondi i tralci che hanno il coraggio di farsi alimentare dalla sua stessa linfa! Sì, il coraggio! Coraggio perché quella linfa vitale è esigente, li rende simili a Lui, li conduce ad essere dono, ed essere pronti a farsi espropriare.

Se non si dimora in Lui che è il ceppo vitale ci si secca, si diviene non solo infecondi ma anche totalmente inutili e «buoni solo per essere bruciati»… e si badi che qui non c’è alcuna minaccia dell’inferno – come qualcuno vorrebbe vedere! – c’è solo l’amara affermazione che il vignaiolo, proclama con tutta la forza: è Lui, infatti, che toglie questi tralci che non hanno avuto il coraggio di vivere della stessa linfa del Figlio suo Gesù… è Lui, il Padre, che non riconosce in quei tralci il volto amato e tutto fatto dono del Figlio! Il discorso, naturalmente, è tutto rivolto a chi è nella Chiesa, non è per quelli “di fuori”… il rimanere è per i discepoli, il rimanere è per chi Cristo l’ha incontrato, è per chi presume di stare “dentro” ma poi con il “cuore” è fuori, latita e cerca vie continue di fuga dall’Evangelo.

Il Padre che viene e visita questa vigna, come dice il Salmo, fa però anche un’altra operazione; un’operazione questa davvero dolorosa per chi ha avuto il coraggio di rimanere nella vite che è Gesù: pota! Che sono queste potature? sono quelle diminuzioni, quelle richieste di tagli, di rinunzie; sono quei “no” necessari a chi ha il coraggio di rimanere in Cristo! Quali siano specificamente le potature non si può dire in astratto e in assoluto. Non c’è un elenco di potature.: ciascuno si deve e si può porre davanti alla sua esistenza per riconoscerle (quelle che già il Padre ha operato) e per rendersi disponibile a quelle ancora necessarie ed ulteriori; come fa in natura la vite, chi è potato piangerà ma vedrà aumentare i suoi frutti e si renderà conto che quei frutti derivano solo da Colui che è la vita e che fa scorrere verso ogni tralcio, in ogni tralcio, la sua stessa vita!

Capiamo bene allora che i frutti che Gesù ci permette non sono i frutti che il mondo si attende…un uomo che porta frutto, per il mondo, è un uomo di successo, un uomo che possiede, un uomo che ha fatto carriera, che tutti guardano con ammirazione, invidia e (perché no?) con timore… Paolo parlerà in tal senso di opere della carne opposte ai frutti dello Spirito (cfr. Gal 5, 19-26). I frutti dello Spirito vanno in tutt’altra direzione da quella del mondo: si deve essere disposti a farsi perdenti per il mondo! Ecco perché, come dicevo al principio, ci vuole coraggio per rimanere innestati in Gesù vera vite!

L’uomo è stolto e miope e tante volte preferisce la certezza dell’immediato, dell’effimero, ai frutti che rimangono… l’uomo vuole gustare nell’oggi il frutto delle sue scelte e dei suoi successi, non importa che siano effimeri… l’uomo mondano eleva a legge quell’invito del poeta latino Orazio: Carpe diem, “afferra il giorno, l’attimo, l’immediato, il fruibile, il visibile!” E così ci si ritrova nelle fiamme del non-senso più bruciante, quello senza domani, quello che non rimane! Il Quarto Evangelo sa invece che la vita con Cristo o si versa in una scelta di stabilità in Lui o, prima o poi, svanisce. Solo chi rimane, chi trova davvero e per sempre dimora in Gesù porta frutto e può fare tutto! Non nel senso che diventa “onnipotente” ma nel senso che può vivere ogni vita, può gustare la sola cosa che importi veramente: il senso del vivere! E questo perché sa dove vivere.

Il rimanere ci conduce ad un “grembo” caldo in cui l’uomo nuovo può essere formato; fuori dal grembo – per passare ad un’altra metafora – si diventa “aborti” informi e senza vita! Dimorare in Cristo Gesù! È aver scelto la propria casa e averla scelta in modo irrevocabile! Le nostre vite cristiane, ecclesiali, comunitarie sono piene di uomini e donne che, non avendo ancora fatta questa scelta del rimanere, hanno sempre le “valige pronte” per andarsene, per sbattere la porta magari in nome di una libertà che non hanno (ne mancano dentro!) o di una delusione subita da parte degli altri (ma non pensano mai alla delusione che essi infliggono agli altri!). Sono quelli che non hanno il coraggio di rimanere e non portano frutto e non sono mai diventati davvero discepoli. Sono i cristiani della soglia, che no entrano mai per prendere dimora tra i discepoli di Cristo; spesso stanno sulla soglia a verificare se gli altri cadono in fallo e per poter dire che con loro non vuole rimanere; i cristiani della soglia sono gli eterni immaturi della vita ecclesiale, quelli che mai prendono su di sé le responsabilità e le scelte costose; i cristiani della soglia sono spesso solo “uomini religiosi” che però non vogliono davvero compromettersi con l’Evangelo e dunque con la vita di Cristo Gesù; non la vogliono quella vita: preferiscono i loro pantani di mediocrità.

Rimanere è vivere della stessa linfa vitale di Gesù e in Gesù scorreva solo il “sì” al Padre, (cfr. 2Cor 1,19-20), il “sì” agli uomini suoi fratelli… fino a dare la vita! «Fino all’estremo!» (cfr. Gv 13,1). Il punto è sempre e solo lì! Porta frutto solo chi con Gesù, in forza di Lui, in Lui, dà la vita (cfr. Gv 12,24)! In fondo i cristiani della soglia e proprio questo quello che non vogliono! Stiamo in guardia tutti: restare sulla soglia è tentazione che può insidiare ognuno di noi! Nessuno escluso.

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