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Commento al Vangelo VI domenica di Pasqua. Abbiamo un nuovo nome: “amici”

Commento al Vangelo, VI domenica di Pasqua

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Di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano

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Giotto, Ultima cena (particolare), affresco, Cappella degli Scrovegni, Padova

VI domenica di Pasqua
At 10,25-27.34-35.44-48; Sal 97; 1Gv 4,7-10; Gv 15,9-17

Questa domenica siamo condotti ad una cima altissima della rivelazione di Dio in Cristo Gesù…meglio: siamo condotti ad una profondità inaudita su cui è tanto difficile dire parole. Sia il tratto della Prima lettera di Giovanni che il passo del Quarto Evangelo, che oggi risuonano nelle nostre assemblee, avrebbero bisogno solo d’essere ripetuti nel cuore, masticati, “ruminati”,  perché lo Spirito ci faccia assaporare il senso più profondo e vitale che essi possono avere per noi uomini, per le nostre vite, per la possibilità di attraversare questa storia concreta in modo altro, diverso, sensato… gioioso!

Al centro del passo del Quarto Evangelo, infatti, c’è la gioia… la gioia di Gesù, la gioia eterna del Figlio che Gesù vuole sia la nostra! La gioia! Parola difficile in ore di crisi, di dolore, di dubbi, di delusioni, di stanchezze, di peccato, di solitudine, di morte. Parola difficile in questo tempo di pandemia, tempo terribile, diverso, instabile, colmo di paure e di terrori, di solitudini e di morte!

Eppure per Giovanni tutto deve condurre lì… alla gioia… a quella gioia che è il senso della vita, che è pienezza della vita. Il Quarto Evangelo fa dire a Gesù proprio di questa pienezza di gioia e lo fa con il verbo greco pleròo, che è un verbo di compimento, per dirci che la gioia è meta e “compimento” di ogni vita.

Gesù, con la sua rivelazione di Dio, con il suo amore, non solo ci ha narrato l’amore ma ce lo ha anche dato; ci ha dato la possibilità di vivere una vita nella gioia più vera! Non di quella gioia che deriva dal fatto che le cose vanno bene, che non ci sono affanni e dolori, ma di quella gioia che ha altre radici e altre dimore.

Le parole della Scrittura che oggi ci vengono consegnate sono una grande meta di tutta la rivelazione di Dio… parole non da capire intellettualmente ma da farsi entrare dentro, parole da sussurrarsi nel cuore, da ripetersi incessantemente perché plasmino il nostro mondo interiore: «Amatissimi, amiamoci gli uni gli altri perché l’amore è da Dio… perché Dio è amore».

Ecco la “casa” dell’uomo, l’amore di Dio! È da lì, da quella “casa” che noi proveniamo ed è a quella “casa” che è necessario tornare per rimanervi, per dimorarvi, appunto!

All’inizio del capitolo, con l’allegoria della vite e dei tralci, che la scorsa domenica abbiamo meditato, Gesù ha cominciato, nel Quarto Evangelo, a proclamare la assoluta necessità a rimanere in Lui, a dimorare in Lui per prendere vita da Lui… oggi la Chiesa ci propone di continuare la lettura di quel capitolo e qui, il Gesù di Giovanni, ci dice cosa è concretamente questo rimanere, quale è questa “casa”. Il rimanere è rimanere “nel suo amore”. Un’espressione questa di una profondità grande; pensiamoci bene: ha detto nel mio amore…non cioè in un amore qualsiasi, che potrebbe avere le facce infinite delle nostre mistificazioni e dei nostri interessi, no! Nel suo amore…è lì che bisogna rimanere. In primo luogo nell’amore con cui ci ha amati…il che significa che è necessario rimanere nella capacità di lasciarsi amare…rimanere nel suo amore è allora lasciarsi avvolgere dal primato del suo amore… nella sua Prima lettera Giovanni lo ha ribadito: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi… questo ci libera da ogni atteggiamento “religioso” per cui vogliamo fare delle cose per Dio, per essere amati e beneficati… Dio non ha bisogno di queste miserie fatte di calcolo… il suo è amore che previene e Gesù ne è icona lampante: Dio non ha aspettato la nostra conversione per inviare il suo «Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati», ma – direbbe Paolo – «mentre eravamo ancora peccatori Cristo morì per noi» (Rm 5,8). Nell’ Evangelo di oggi Gesù ci conduce a questo stesso primato dell’amore parlando della nostra elezione, della nostra chiamata a Lui: non noi abbiamo scelto Lui ma Lui ha scelto noi…

Rimanere nel suo amore allora è dare questo primato al suo amore per noi lasciandosi amare e plasmare ogni giorno dalla sua presenza nelle nostre vite; significa riconoscere la nostra chiamata all’intimità con Lui come assolutamente gratuita. Tutto questo, però, in una condizione stabile, dimorando, restando in Lui!

Rimanere nel suo amore, poi, vuol dire che bisogna rimanere in quell’amore che ama fino all’estremo…solo quello così è il suo amore; non ha misura! La misura di quel suo amore è colma solo all’estremo…il suo amore è quello che lo ha condotto fino ai piedi dei suoi, a contatto con le loro miserie e vergogne, è quello che sulla croce gli farà gridare tetélestai (“è compiuto” che è come dire “fino all’estremo”).  Il suo amore è quello che dà la vita; Gesù ha detto, nel testo giovanneo di oggi, «nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita».

Rimanere nel suo amore è entrare in questa dinamica di amore che nasce dall’essere amati fino all’estremo ed essere amati così nella più pura gratuità preveniente; rimanere nel suo amore è dimorare in questa “casa” dell’amore di Gesù che è “casa” dell’amore che è la vita stessa di Dio…

In questo testo di Giovanni c’è continuamente un “come”: «Come il Padre ha amato me così anch’io ho amato voi»… «Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato il comandamento del Padre mio e rimango nel suo amore»… e più avanti: «Che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi»… Questo “come” non è un invito all’imitazione, ma è rivelazione di una fonte: L’amore del Padre è fonte dell’amore del Figlio, l’obbedienza del Figlio alla volontà del Padre è fonte di una nostra rinnovata possibilità di obbedienza, l’amore del Figlio per noi è fonte del nostro amore reciproco!

Comprendiamo allora che in questa via dell’ “uomo nuovo” non è il volontarismo che ci salva, ma è l’accoglienza di ciò che Dio ha “nel cuore” per noi, di ciò che il Figlio ha immesso nelle “vene” della storia, nelle “vene” dell’umanità!

L’ “uomo nuovo” è colui che accoglie il “nome nuovo” che il Figlio gli dà: amico!
Davvero straordinario! L’amico è chi è ammesso nell’intimità dei propri pensieri, dei propri sogni, dei propri progetti… l’amico è colui per cui si dà la vita! Sentire su di sé questo nome nuovo di amico può rivoluzionare la nostra esistenza perché questo ci fa conoscere ( sperimentare!) la fonte di una possibilità nuova e concreta di umanità…
In questo nome di amico, che è nome dato dall’amore, bisogna rimanere… questa è la “casa” del discepolo di Cristo!

Il nostro profondo ripeta con stupore: «Amatevi come io vi ho amati!»

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